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Inverno afgano

Solo i Talebani gioiscono, nei loro rifugi tra le montagne del sud est, si stanno curando le ferite e preparando per la grande offensiva di primavera. Di Tommaso Merlo

di Redazione

Il rigido inverno afgano non si è fatto attendere. E dalle vette innevate soffia un tremendo vento gelido. Un inverno che ha raffreddato le ostilità della guerra e i cuori di molti afgani. Solo i Talebani gioiscono, nei loro rifugi tra le montagne del sud est, si stanno curando le ferite e preparando per la grande offensiva di primavera. Per la battaglia finale come riferiscono i loro portavoce esaltati da un?annata straordinaria. Del resto, le nuove tecniche di guerriglia si sono rivelate molto efficaci: le mine piazzate sulle strade mandano i blindati degli infedeli in frantumi, mentre i kamikaze si sono confermati un?arma inarrestabile. Scuola irachena, manodopera locale e le reclute abbondano. Cosi come il consenso tra la popolazione del sud che li copre e alimenta le loro ambizioni politiche. Successi anche sul piano finanziario dove l?industria dell?oppio ha fatto registrare un anno record e i gli aiuti dai facoltosi simpatizzanti esteri sono in aumento grazie al disastro iracheno. Insomma, un momento d?oro per gli ?studenti del Corano? che hanno perfino umiliato il governo filo americano di Kabul rifiutando le sue proposte di mediazione. Clima opposto sul fronte della ?Coalizione dei Volenterosi? che ossessionata da una piena vittoria militare sta scoprendo il gusto amaro di una sconfitta politica. Del resto sono passati sei anni dalla fulminea presa di Kabul, e le aspettative del popolo afgano sono rimaste tali. Anno dopo anno, elezione dopo elezione, dall?occidente arrivano solo soldati, armi e tante buone intenzioni mentre la miseria e la corruzione rimangono tali. Troppi compromessi con il vecchio Afghanistan, troppa paranoia sulla sicurezza e niente sviluppo. Ed è cosi che nel sud il vento ricomincia a soffiare in favore dei Talebani, e in tutto il paese cresce il malcontento per una occupazione militare che appare fine a se stessa. Siamo alla storia recente, le ipocrisie dell?olimpo politico occidentale vengono turbate dalle bare che atterrano da Kabul: 191 i soldati Isaf?Nato morti nel solo 2006, mentre anche per effetto dei bombardamenti, sono 6000 le vittime afgane tra civili innocenti e presunti talebani. Un bilancio di sangue incompatibile con una missione di pace in nome della democrazia. Lo dicono i numeri, in Afghanistan, dopo sei anni, non c?è né pace né democrazia. Ma c?è il mandato ONU e c?è l?Europa con la prima missione Nato fuori dai confini. Un background che non ammette esitazioni peraltro non contemplate nei divini trattati. Ed è cosi che le richieste pragmatiche dei generali vengono prontamente assecondate, più uomini, più mezzi. E che i dubbi interni vengono placati con promesse di svolte politiche e nuove strategie. Quanto basta per accontentare gli animi più irrequieti e rimandare i problemi. Ma fino a quando? Cosa sancirà la sconfitta della democrazia d?esportazione e della lotta al terrorismo fatta con gli eserciti. Come può l?occupazione militare generare un progetto politico alternativo al fanatismo talebano. E come si possono conciliare le logiche militari con la sfida dello sviluppo economico e della democrazia. Come si concilia, poi, una politica estera essenzialmente militare con gli interessi di un paese come l?Afghanistan? Interrogativi che il vento gelido dell?inverno trasporta dai palazzi di vetro d?occidente, fino alle case di fango afgane. Là nei remoti villaggi isolati dalla neve dove seduti intorno al fuoco le famiglie afgane discutono del loro futuro. Stringendosi uno accanto all?altro, si chiedono dove sono finite le loro aspettative. Si chiedono se questa sia la democrazia, e perché da loro non riesca a sconfiggere la miseria e la guerra. Si chiedono perché gli stranieri fanno cosi poco per loro, e se davvero possono delegare ad altri il destino del proprio paese. Tante domande senza risposta, tanti dubbi senza un perché, fino ad addormentarsi sperando che una nuova stagione spazzi via questo tremendo inverno afgano.
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Tommaso Merlo

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