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Diritti negati

Iran, la repressione continua

A quasi un anno dalla morte di Masha Amini, la giovane percossa dalla Polizia morale per non aver indossato correttamente il velo, le donne persiane non si sono arrese alla dittatura teocratica. E con loro milioni di iraniani. Il regime risponde però con ferocia alla protesta, anche se il governo degli ayatollah pareva sul punto di voler attenuare le misure coercitive. Il caso Bosch

di Asmae Dachan

Ritratti di Masha Amini durante manifestazione di solidarietà con l'Iran a Washington, 1 ottobre 2022.

La Bosch ha confermato di aver venduto all’Iran circa 8mila telecamere di sorveglianza tra il 2016 e il 2018, ma ha negato che i dispositivi avessero l’opzione del riconoscimento facciale. La dichiarazione dell’azienda è avvenuta in seguito alle polemiche suscitate da un servizio dell’emittente tedesca Ard, secondo cui le suddette telecamere, dotate dell’opzione del riconoscimento facciale, sarebbero state usate per reprimere i manifestanti inermi che scendono in piazza contro il regime degli ayatollah. Secondo la stessa fonte, la Bosch avrebbe anche tenuto un corso di formazione alla Khatam University di Teheran proprio sull’utilizzo dei dispositivi di sicurezza, sorveglianza e riconoscimento facciale.

Il controllo del regime

Amnesty International Iran ha confermato che le telecamere piazzate nelle piazze principali sono a tutti gli effetti strumenti di controllo e repressione della popolazione. Non appena nelle strade si riuniscono più di cinque persone, vengono avvisati i servizi di sicurezza, che intervengono tempestivamente per identificare e in certi casi arrestare le persone radunate. Sono le donne, denuncia Amnesty l’obiettivo principale della polizia. Da quando, lo scorso 16 settembre 2022, è stata arrestata e uccisa la giovane curda Mahsa Amini, detta Jina, per mano della Polizia morale che le contestava il fatto di non indossare correttamente il velo, le donne iraniane che si oppongono al regime e all’obbligo del velo hanno cominciato a scendere coraggiosamente in piazza, scandendo il motto “Donne, vita e libertà”. Al loro fianco sono poi scesi anche uomini, in particolare giovani, stanchi della repressione, della censura e delle imposizioni a cui li costringe il regime.

La speranza: abolire la Polizia morale

Lo scorso dicembre si erano rincorse voci sull’abolizione della cosiddetta Polizia morale, ma a luglio l’attività di controllo sociale, molestie, minacce e gli arresti contro le donne che rifiutano di portare il velo e contro gli uomini che si dichiarano apertamente oppositori del regime sono ripresi con grande intensità. Le pene si sono ulteriormente inasprite e vanno da diversi anni di carcere, fino alla pena capitale, generalmente per impiccagione. Gli attivisti iraniani all’estero continuano la loro lotta per la libertà e la loro opera di denuncia e sensibilizzazione attraverso i social media, come la giornalista Masih Alinejad, fondatrice di #WhiteWednesdays & #MyCameraIsMyWeapon #MyStealthyFreedom e #LetUsTalk. In un tweet del 9 agosto scorso la reporter ha denunciato la nuova strategia di repressione da parte del regime di Teheran: «La nuova tattica della Repubblica Islamica contro le donne che sfidano l’hijab: assumere “Hijab-Ban” (che significa “Hijab Monitor”) con uno stipendio di 12 milioni di Toman al mese. Mentre le donne iraniane si ribellano contro l’hijab obbligatorio, il regime dispiega nuove forze per rimproverarle e molestarle. L’hijab obbligatorio è il muro di Berlino della Repubblica islamica e le donne iraniane abbatteranno questo muro».

Repressione contro le donne, ma anche contro gli uomini. Amnesty International Iran sta seguendo il caso del pugile iraniano Mohammad Javad Vafaei Sani, 27 anni, che è stato condannato a morte dopo un processo gravemente iniquo in relazione alle proteste a livello nazionale che hanno avuto luogo in Iran nel novembre 2019. Attualmente si trova nella prigione di Vakilabad a Mashhad, nella provincia di Khorasan-e Razavi. «Le autorità iraniane continuano a utilizzare la pena di morte come strumento politico di repressione contro i manifestanti. Solo nel 2023, le autorità hanno giustiziato 5 persone in relazione alle proteste a livello nazionale che hanno scosso l’Iran tra settembre e dicembre 2022».

Il confronto con gli Stati Uniti

Secondo altre fonti, il numero delle vittime sarebbe molto più alto. Intanto gli Stati Uniti hanno rafforzato la loro presenza militare nel Golfo proprio in seguito agli scontri con l’Iran, inviando più di 3mila soldati su due navi da guerra, in risposta al sequestro di diverse navi civili da parte dell’Iran. Gli analisti avvertono che il potenziamento militare rischia di portare a uno scontro “pericoloso” con l’Iran. Dal 2019, l’Iran ha sequestrato diverse navi nello Stretto di Hormuz, il canale che fornisce alle navi l’accesso al Golfo, per fare pressione sull’Occidente in merito ai negoziati riguardanti il fallito accordo nucleare di Teheran con le potenze mondiali. Con l’intensificarsi delle tensioni questa settimana, l’Iran ha equipaggiato la marina della sua Guardia Rivoluzionaria con droni e missili con un raggio di 600 miglia. Teheran ha anche propagandato di aver ottenuto la tecnologia dei missili da crociera supersonici. Gli analisti affermano che le politiche del presidente Joe Biden sull’Iran ricordano l’era di Donald Trump, il suo predecessore repubblicano.


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