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Iran, rapper al patibolo: il regime ha paura

Toomaj Salehi, 33 anni, era stato arrestato per aver appoggiato le proteste che si sono diffuse in tutto il Paese dopo la morte di Mahsa Amini. Stando ai dati del rapporto pubblicato dall’organizzazione Iran Human Right nel 2023 sono state documentate 834 esecuzioni: il 43% in più rispetto all'anno precedente. Dall’inizio del 2024 le condanne a morte eseguite sono state 151

di Anna Spena

Il rapper iraniano Toomaj Salehi è stato condannato a morte dal tribunale rivoluzionario di Isfahan con l’accusa di “corruzione sulla Terra”. Ora ha 20 giorni di tempo per ricorrere in appello.

L’artista

Toomaj Salehi, 33 anni, è un rapper iraniano noto per le sue canzoni di protesta sulle politiche del Governo della Repubblica islamica dell’Iran. Nel corso della sua carriera è stato più volte arrestato per il contenuto dei sui brani. Nell’ottobre del 2022 Salehi era stato arrestato nella provincia di Chaharmahal e Bakhtiari dopo aver rilasciato dichiarazioni pubbliche a sostegno delle proteste nazionali “Donna, Vita, Libertà”. Le contestazioni si sono diffuse nel 2022 in tutto il Paese dopo la morte, in custodia della polizia, di Mahsa Amini, una giovane donna curda iraniana di 22 anni arrestata dalla polizia religiosa perché il velo lasciava intravedere una ciocca di capelli.  Quello stesso mese il rapper aveva pubblicato su YouTube una canzone con questi versi: “Il loro crimine è stato danzare con i capelli al vento. Il loro crimine è stato che lui o lei era coraggioso e criticava i 44 anni del vostro regime. 44 come gli anni del vostro fallimento“.

L’Iran ha paura delle proteste

Nel luglio 2023 gli è stata inflitta una condanna a sei anni e tre mesi di reclusione. Ma lo scorso novembre, dopo più di un anno di detenzione, compresi oltre 200 giorni di isolamento, la Corte suprema lo aveva rilasciato su cauzione: c’era un difetto tecnico nella sentenza. Appena due settimane dopo viene riarrestato da alcuni agenti in borghese: aveva registrato una canzone fuori dal carcere in cui era detenuto, sostenendo di essere stato torturato in prigione anche con iniezioni di adrenalina. L’organizzazione Iran Human Right chiede: «alla comunità internazionale di prestare particolare attenzione all’intensificazione della repressione in Iran». Il direttore dell’organizzazione Mahmood Amiry-Moghaddam ha dichiarato: «Emettere una sentenza di pena di morte per esprimere opinioni e creare opere artistiche è un segno della disperazione del regime della Repubblica islamica e della sua paura delle proteste popolari. La comunità globale e il popolo iraniano devono reagire con forza a questo verdetto disumano». 

Crescono le esecuzioni

Iran Human Right ha pubblicato il report annuale sulla pena di morte in Iran con i dati del 2023. Il 16° rapporto, redatto insieme a Together Against the Death Penalty, rivela che le autorità iraniane hanno intensificato l’uso della pena di morte per instillare la paura nella società nell’anno successivo allo scoppio delle proteste nazionali “Donna, vita, libertà”.

Il rapporto documenta 834 esecuzioni nel 2023, che rappresenta un aumento del 43% rispetto all’anno precedente. Si tratta del secondo numero più alto di esecuzioni annuali registrate in oltre 20 anni in Iran. Secondo l’organizzazione ci sarebbe una «correlazione tra la mancanza di attenzione internazionale e l’uso della pena di morte da parte della Repubblica islamica che è stata particolarmente evidente dopo l’inizio della guerra a Gaza. Il numero medio di esecuzioni giornaliere è passato da due persone prima dell’inizio della guerra a Gaza a una media di 3-4 esecuzioni al giorno durante la guerra».

Commentando il rapporto, Amiry-Moghaddam, ha spiegato: «Il regime iraniano usa la pena di morte per prolungare la propria sopravvivenza. Abbiamo a che fare con un regime oppressivo, corrotto e incompetente a risolvere i problemi quotidiani della gente. Instillare la paura nella società è l’unico modo che il regime ha per mantenere il potere e la pena di morte è il suo strumento più importante. Aumentare il costo politico delle esecuzioni attraverso la pressione internazionale può rallentare la macchina omicida del regime. L’incoerenza della reazione della comunità internazionale alle esecuzioni in Iran è deplorevole e invia un segnale sbagliato alle autorità». 

In apertura: Berlino, una manifestazione per protestare contro la condanna a morte di Toomaj Salehi/AP/Ebrahim Noroozi


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