Mondo
Iraq, così l’Italia pagava i riscatti
Un documento dei Ros prova la partecipazione del governo al mercato degli ostaggi attraverso il Sismi e il commissario straordinario della Croce Rossa, Maurizio Scelli.
di Redazione
In Iraq, l’Italia ha pagato per la vita dei suoi ostaggi. E quando non lo ha fatto è perché non le è stato dato il tempo (Enzo Baldoni) o l’alleato americano è arrivato prima che si chiudesse sul prezzo (le body guard). Un rapporto del Ros dei carabinieri, trasmesso alla Procura della Repubblica di Roma, documenta come, tra l’aprile del 2004 e il marzo del 2005, Palazzo Chigi, attraverso il Sismi e il commissario straordinario della Croce Rossa Maurizio Scelli, abbia accettato di partecipare al mercato degli ostaggi, rimanendo prigioniero di chi ha diretto l’industria dei sequestri e ne ha imposto le tariffe.
Il denaro è corso generoso per riportare a casa Simona Pari e Simona Torretta, come anche Giuliana Sgrena. Finendo sempre nelle tasche “sbagliate” (o forse “giuste”, dipende dai punti di vista), perché lo sceicco sunnita Abdel Salam Al Kubaissi, con cui il governo ha regolarmente negoziato la liberazione degli ostaggi, era lo stesso uomo che in quei sequestri ha avuto parte. Per usare le parole del rapporto del Ros, l’uomo “che ha avuto certamente un ruolo non secondario nel sequestro di Maurizio Agliana, Salvatore Stefio, Umberto Cupertino e Fabrizio Quattrocchi; nel sequestro di Simona Pari e Simona Torretta; nel sequestro e l’omicidio di Enzo Baldoni; nel sequestro di Giuliana Sgrena; nel sequestro della cittadina inglese Margaret Hassan”.
“Se vogliamo dirla in due parole – spiega un alto ufficiale del Ros – in Iraq è accaduto né più e né meno quanto accadeva in Calabria negli anni ’80. Quando i capi-bastone della ‘ndrangheta trattavano le vite dei rapiti con lo Stato, certi che il prezzo, alla fine, sarebbe stato pagato. Neanche fosse una tassa dovuta. Quando ufficiali di polizia giudiziaria si ritrovarono a fare non le indagini per scoprire i responsabili dei sequestri, ma gli ufficiali pagatori di chi quei sequestri aveva organizzato, alimentando nelle cosche una convinzione di impunità”.
Nella catena di “evidenze” in grado di sostenere il sillogismo (l’Iraq come la Calabria, Al Kubaissi come un capo bastone della ‘ndrangheta), l’ultima delle circostanze acquisite dalla Procura di Roma e dal Ros è una nota della polizia irachena. Vi si legge della confessione, l’ennesima, di uno degli uomini arrestati a Bagdad con l’accusa di aver partecipato al sequestro di Giuliana Sgrena e la sintesi di ciò che avrebbe raccontato. Di “un riscatto pagato dagli italiani per la liberazione della giornalista”. Quanto, come e dove, la nota trasmessa a Roma non lo specifica (la Procura di Roma ha chiesto alle autorità irachene ulteriori dettagli). “Una somma ingente”, è il riferimento generico. “Verosimilmente – osserva una fonte investigativa – non meno di quanto costò la liberazione delle due Simone”. Il che significa, intorno ai cinque milioni di dollari.
Stando al rapporto del Ros, infatti, nel caso di Simona Pari e Simona Torretta, il dato investigativo sull’esistenza e l’entità del loro riscatto non è né empirico, né induttivo, perché a documentarlo è un’intercettazione telefonica dell’ottobre 2004. In quei giorni, di poco successivi alla liberazione delle due volontarie di “Un Ponte per”, Nazar Nawar Al Rawas, medico iracheno e stretto collaboratore di Maurizio Scelli, è in Italia. Parla al telefono con Al Kubaissi, convinto di continuare a godere della libertà di manovra e di parola che gli assicura il rapporto tra lo stesso Scelli e Palazzo Chigi. Non sa, né immagina che i suoi telefoni sono intercettati. Nazar ha un motivo per parlare con lo sceicco sunnita: il sequestro dell’operatrice umanitaria inglese Margaret Hassan. La donna è stata rapita a Bagdad il 19 ottobre e Nazar si informa sul prezzo fissato per il suo rilascio. Al Kubaissi chiede 10 milioni di dollari e il collaboratore di Scelli si dimostra scandalizzato. Intavola un abbozzo di trattativa e nel farlo usa come metro di valutazione la cifra pagata per Simona Torretta e Simona Pari. Dice: “Se per la libertà delle due ragazze sono stati pagati cinque milioni, come fate a chiederne dieci per una donna soltanto?”.
Nel suk dei sequestri, il prezzo di un ostaggio tira l’altro. E – come documentano le indagini del Ros – nell’ottobre 2004 è difficile immaginare che ci sia qualcuno, a Palazzo Chigi, come al Sismi, che ignori quanto sta accadendo. Al punto che della conversazione “rubata” tra Nazar e Al Kubaissi viene messa a parte la diplomazia inglese a Roma (Londra, come è noto, non intavolerà alcuna trattativa. La Hassan verrà uccisa e della sua morte verrà data notizia il 16 novembre dall’emittente televisiva araba Al Jazeera). Né si può dire che quanto accade nell’autunno 2004 sia per Palazzo Chigi e la nostra intelligence una scoperta. Nella ricostruzione che propone il rapporto del Ros, il ruolo di Al Kubaissi e del suo consiglio degli Ulema nella fiorente industria dei sequestri appare infatti centrale sin dall’aprile del 2004, quando in gioco sono le vite di Agliana, Cupertino e Stefio. E quando soltanto l’irrompere sulla scena degli americani scombina un canovaccio altrimenti già delineato e di cui lo sceicco tiene i fili.
Aprile 2004-marzo 2005. Sequestro delle body guard-sequestro Sgrena. A leggere il rapporto del Ros, dodici mesi, un secondo omicidio (Baldoni) dopo quello Quattrocchi e un secondo sequestro (le due Simone) non sembrano aver insegnato nulla. Perché quando si tratta di intavolare l’ennesima trattativa per riportare a casa la giornalista italiana a distribuire le carte è ancora una volta Al Kubaissi. I carabinieri sono oggi convinti che sia infatti lui a muovere lo sceicco Hussein della moschea sunnita “Al Kastal” a Bagdad per tirare “in una stessa trappola” e “con identiche modalità” Giuliana Sgrena e la giornalista francese Florence Aubenas, salvo poi proporsi, come sempre, nel ruolo di intermediario di Sismi e Croce Rossa.
Fin qui il lavoro del Ros. Che illumina qualche fatto e propone una domanda che, a questo punto, interpella le decisioni della Procura di Roma. Qualcuno vorrà davvero presentare il conto allo sceicco sunnita Abdel Salam Al Kubaissi? L’uomo alla cui porta, per un anno, hanno bussato a denari gli uomini del Sismi e Maurizio Scelli?
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