Famiglia
Isatu e Haja: i primi affidi in famiglia della Sierra Leone
Le due bambine, cresciute in un istituto, passeranno il loro primo Natale in famiglia grazie a un progetto di Avsi. In Sierra Leone non esiste un sistema di affido familiare o di adozione: per i bambini abbandonati ci sono la strada o l'istituto. Il progetto "Home" ha già formato 30 famiglie: i primi due affidi sono partiti da pochi giorni
di Marco Rossin
Ci sono alcune storie che partono da lontano: da una jeep che arranca tra le buche di una delle zone rurali più sperdute del mondo. Così, in una nuvola di sabbia rossa, la macchina arriva a destinazione, parcheggiando vicino a quattro muri malridotti e a una traballante pensilina di legno. Giusto il tempo di fermarsi e il mezzo è assalito da un nugolo di bambini che schiamazzano e si accalcano sotto le portiere, ma basta il tempo di vedere gli occupanti e il clamore scema. Probabilmente questi bambini è la prima volta che si trovano di fronte una persona bianca.
Siamo in Sierra Leone, uno dei paesi più poveri e traumatizzati dell’Africa: più precisamente in un orfanotrofio situato nella zona rurale, a est della capitale. La macchina appena arrivata è facilmente riconducibile a una ong e gli occupanti a qualche intervento umanitario. Quello che però non è affatto ovvio per i bambini, è che questa macchina costituisce il primo tassello che permetterà ad alcuni di loro di sperimentare il significato di famiglia.
A luglio del 2021 inizia in Sierra Leone, Costa D’Avorio e Ghana un progetto denominato “Home” e finanziato dalla Commissione Adozioni Internazionali, che ha l’obiettivo di migliorare la qualità di vita di minori in stato di vulnerabilità. Per molti bambini, essere in stato di vulnerabilità significa letteralmente non avere nulla: né una casa, né del cibo a sufficienza, né una famiglia. Parliamo di bambini che vivono ammassati tra poche e scalcinate mura, spesso di lamiera, la cui prospettiva non ha un nome, non esiste.
Essere un bambino in istituto in Sierra Leone molto spesso è una condanna per la vita: nel paese non esiste difatti un sistema strutturato che preveda l’affido familiare o l’adozione. Esiste l’accoglienza, ma a livello quasi esclusivamente informale. Per la stragrande maggioranza dei bambini i cui genitori non possono prendersi cura di loro esiste la strada o, per i più fortunati, un istituto. In questo contesto Avsi sviluppa il progetto “Home”, cercando di creare qualcosa che non esiste: un sistema che permetta di dare un nome alla speranza di migliaia di bambini. Il lavoro è lungo e l’esito incerto. Se da un lato è semplice trovare bambini che abbiano bisogno di una famiglia, dall’altro mancano le famiglie accoglienti e un’istituzione che dia un cappello operativo al processo.
La storia continua. Un jingle passa nelle radio locali e cerca di sensibilizzare rispetto al dramma dei bambini abbandonati. Qualcosa succede: circa 30 famiglie si presentano, pronte ad accogliere un bambino in stato di abbandono. Queste famiglie vengono preparate e accompagnate dallo staff di Avsi e dell’Autorità locale. Parliamo di uno staff italiano e straniero, operatori ai quali normalmente è chiesto di svolgere questo compito nel comodo e rassicurante contesto che ben conosciamo, quello italiano.
L’ultimo breve capitolo di questa storia si svolge il 26 novembre 2022 nel cortile di un ufficio un po’ meno scalcinato di quello dell’istituto da cui siamo partiti. Ci sono i rappresentanti del Ministero locale, dell’Autorità distrettuale, della Comunità, gli operatori di Avsi, il direttore dell’orfanotrofio, le famiglie e, in fondo, due bambine. Oggi Isatu e Haja conosceranno i loro genitori. Sono spaesate e difficilmente hanno chiaro cosa stia per succedere. Gli è stato spiegato che due persone vorrebbero prendersi cura di loro, portarle a casa e volergli bene. Per loro, che hanno da sempre vissuto tra le traballanti ma conosciute mura dell’orfanotrofio, è qualcosa di impensabile, di cui non comprendono la portata, ma che ha bisogno di pochi secondi per essere metabolizzato. Tolti i primi momenti di imbarazzo le bambine si lasciano prendere per mano e, poco dopo, cercano con lo sguardo, tra un gioco e un altro, i loro nuovissimi genitori.
La portata di questo evento non è nei pensieri di Isatu e Haja, ma segna l’inizio di qualcosa di ben più grande. Avsi, oltre ad essere una ong, è un ente autorizzato per le adozioni internazionali e in quanto tale viene identificato come il soggetto che opera in Italia per trovare genitori a bambini in stato di abbandono nel mondo. Ciò che non viene percepito come tratto fondamentale per un Ente è come questo debba essere anche soggetto volto a proteggere i bambini nel loro Paese, a mettere in campo esperienze e risorse perché i bambini possano trovare una famiglia lì dove vivono. L’adozione internazionale è uno strumento di protezione sussidiario, che deve intervenire dove non si riesce a rispondere ad un bisogno, quello del bambino, nel suo Paese. Il progetto “Home” ha come scopo proprio questo: sfruttare l’esperienza maturata in Italia e all’estero per rendere realmente l’adozione internazionale come quel processo che permetta, da un lato, di essere una risorsa ultima per un bambino e, dall’altro, di accogliere il desiderio di genitorialità di una famiglia italiana.
In una visione sicuramente ambiziosa vogliamo guardare Isatu e Haja come quel primo passo che permette di incamminarsi su un sentiero lungo e complesso, ma necessario per ricollocare la funzione di ogni ente autorizzato. In una visione meno ambiziosa, ma sicuramente più evocativa, ci chiediamo invece se l’albero di Natale che Haja e Isatu troveranno nella loro nuova casa sarà altrettanto scalcinato, ma carico di bellezza, come quelle mura traballanti immerse nella sabbia rossa.
*Marco Rossin è responsabile adozioni di AVSI
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