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Lotta alla povertà: cosa dobbiamo imparare dalle sperimentazioni passate

«Non fermiamo la riforma»: è l’appello di Caritas Italiana nel suo terzo "Rapporto sulle politiche contro la povertà in Italia". Che analizza anche il SIA e la Social Card, per capire cosa dobbiamo imparare in vista della nuova misura nazionale che il Parlamento sta disegnando

di Sara De Carli

Non fermiamo la riforma”: è questo l’appello di Caritas Italiana, che aderisce alla Alleanza contro la Povertà nel suo terzo "Rapporto sulle politiche contro la povertà in Italia" (in allegato una sintesi), anticipato in parte nelle sue richieste su Vita nei giorni scorsi. «Il Governo ha avuto l’indubbio merito di “scardinare” lo storico disinteresse della politica italiana nei confronti della povertà, ma ora è il tempo delle scelte concrete. Occorre affrontare la sfida di un progetto di welfare dedicato ai più deboli, del percorso per realizzarlo e di come ci immaginiamo le politiche sociali del nostro Paese ora e negli anni a venire», si legge nel Rapporto.

La povertà assoluta negli ultimi anni è aumentata sino ad esplodere, andando a toccare 4,6 milioni di persone nel 2015 (il 7,6%) contro gli 1,8 milioni del 2007 (pari al 3,1% del totale). La richiesta è quella di procedere con decisione verso una “riforma completa”, non accontentandosi di una “riforma interrotta”. L’Italia cioè è a un bivio e le prossime settimane – con l’esame della legge di bilancio e il ddl di delega sul REI – saranno decisive: «si tratta di capire se quanto realizzato sin qui esaurirà il percorso riformatore – lasciandolo così incompiuto – o, invece, verrà seguito dal passo che ancora manca: decidere la progressiva estensione del REI a tutti gli indigenti, accompagnata da un investimento plu- riennale sulla dimensione realizzativa che sostenga gli attori del welfare locale nella definizione di un adeguato sistema di risposte. Si tratta di decidere, in altre parole, se mettere in campo un Piano che porti il nostro Paese a dotarsi di quella misura contro la povertà assoluta – universalistica e ben congegnata – attesa da decenni».

Senza questo Piano pluriennale e graduale che le associazioni dell’Alleanza chiedono a gran voce, il REI non sarà ancora quella misura universalistica contro la povertà che si attende e di cui c’è bisogno, come ben si evince dalla tabella sotto. Serve invece un Piano, che incrementi progressivamente le risorse e quindi l’utenza, arrivando nel 2020 a stanziare i 7 miliardi necessari per rivolgersi al totale della popolazione povera.

Se è vero che oggi siamo di fronte a una stagione «inedita e promettente», altrettanto vero – ricorda il Rapporto Caritas – è che «non stiamo partendo da zero». Ecco allora alcuni esperti che firmano degli affondi specifici sugli strumenti già messi in atto in Italia per combattere la povertà, seppure in maniera sperimentale e circoscritta nel tempo: ecco che cosa dobbiamo imparare dalle esperienze passate.

La Carta Acquisti (analisi di Alessandro Martelli dell’Università di Bologna)
Nella sperimentazione della Nuova Social Card (50 milioni di euro di finanziamento, di cui erogati circa 26. A Roma ad esempio la fase operativa non è partita per nulla, mentre solo Catania, Palermo e Torino hanno utilizzato tutto il budget assegnato) ci sono essenzialmente tre criticità:

  1. un faticoso coordinamento tra i diversi attori a livello istituzionale (Ministero, INPS e territori) nella costruzione, attuazione e gestione della misura;
  2. una dotazione non adeguata di personale e di professionalità mirate sulle competenze richieste nell’implementazione e nel monitoraggio dell’intervento;
  3. l’accentuata eterogeneità dei contesti socio-economici sede di sperimentazione, con sistemi di welfare locale assai diversificati per grado di maturazione e solidità.

Cosa possiamo imparare? Sono tre gli assi, ovvero l’attuazione sui territori, il monitoraggio e la governance. In particolare la sperimentazione ha messo in evidenza il consistente carico di lavoro per i Comuni che discende dall’adozione di una misura dedicata al contrasto della povertà assoluta, sia a livello organizzativo-amministrativo, sia di competenze da dedicare al lavoro sociale necessario per mettere in campo progetti di inclusione attiva. Sottovalutare questo aspetto metterebbe certamente a repentaglio il raggiungimento degli. Il punto è che il welfare socio-assistenziale locale è storicamente sotto-finanziato: c’è la necessità quindi di potenziare i sistemi locali per rendere effettivamente praticabile la riforma, con una adeguata dotazione di professionalità che la nuova misura richiede. L’orizzonte da perseguire è quello della creazione e manutenzione di una “infrastruttura nazionale per il welfare locale”, che riconosca all’ANCI (e/o alle Regioni) un ruolo di primo piano nella regia.

Il SIA – Sostegno all’Inclusione Attiva (analisi di Lorenzo Lusignoli, Dipartimento Politiche Sociali della Cisl)
Si tratta di una prima analisi di una misura partita soltanto a settembre 2016, che dichiaratamente funge da “sperimentazione su vasta scala” per il prossimo futuro REI. L’estensione di una misura all’intero territorio nazionale è di portata storica, ma solo nel momento in cui la misura diventa strutturale. Non è ancora una misura universale, poiché riguarda solo un target ristretto (essenzialmente famiglie con figli minori). Bisogna rilevare la totale insufficienza dei servizi necessari, almeno in alcune aree del Paese. L’invarianza del beneficio rispetto al criterio territoriale è un elemento di iniquità del SIA, poiché è evidente che il costo della vita è molto diverso nelle varie aree del Paese.

Foto ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images


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