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Adozioni truffa in Kirghizistan, tutti rinviati a giudizio

Si è tenuta questa mattina a Savona l'udienza preliminare del processo contro i rappresentanti dell'ente Airone, che sono stati rinviati a giudizio. Sei le famiglie che si sono costituite parte civile. L'avvocato Torrisi: «essere arrivati qui dimostra che un problema di controlli sugli enti esiste. Servono un fondo di garanzia e un'assicurazione obbligatoria per gli enti autorizzati»

di Sara De Carli

A Savona c’è stata oggi l'udienza preliminare del processo contro l’ente (ex) autorizzato Airone, di Albenga: la presidente dell’associazione, Silvia La Scala, la collaboratrice Inna Troukhan e i kirzighi Alexander Angelidi e Venera Zakirova sono stati rinviati a giudizio con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata a truffa (la vicepresidente Orietta Maini, che era stata iscritta nel registro degli indagati nel frattempo è deceduta e di conseguenza la sua posizione è stata stralciata). Avrebbero truffato gli aspiranti genitori adottivi, abbinando loro bambini che in realtà non erano nemmeno adottabili, mettendo in scena processi fasulli, sottoscrivendo procure false, affermando falsamente di aver depositato documenti, corrompendo funzionari kyrghizi. Della pratica adottiva di queste famiglie non ci sarebbe nulla, se non i soldi versati ad Airone. Si tratta del primo processo che mette sotto accusa in questo modo le adozioni internazionali. Le famiglie che si sono costituite parte civile oggi sono sei, delle 21 coinvolte: una settima famiglia si è presentata in aula ma ha scelto di non costituirsi parte civile. Una richiesta precisa di risarcimento ancora non c'è, «mi sono riservato di determinarla», spiega all'uscita dall'udienza l’avvocato Pierfrancesco Torrisi, legale di tre coppie. Una cifra possibile a suo parare potrebbe essere attorno ai 100mila euro a coppia: «la mancata adozione è come una mancata maternità, a cui una recente sentenza del Tribunale di Milano ha riconosciuto un risarcimento di 100mila euro», afferma l'avvocato. La prossima udienza è fissata per ottobre 2017.

Era il dicembre 2012 quando lo scandalo Kirghizistan arrivò sulle pagine dei giornali italiani. L’Italia non aveva mai adottato in quel Paese, erano i primi passi. Gli enti hanno una regolare autorizzazione ad operare. Una delle coppie seguite da Torrisi è stata la prima in assoluto a partire. Vanno a Bishkek, la capitale del Kirghizistan e qui incontrano le due bambine che l’ente aveva indicato come loro. Si presentano davanti a un giudice per fare l’adozione. Pagano in contanti il mediatore, con un po’ di sorpresa, rientrano in Italia. Passa il tempo, la famiglia resta in attesa della sentenza, ma questa non arriva mai. Così maturano i primi sospetti. «Abbiamo scoperto che le due bambine che dovevano essere adottate dai miei clienti non erano adottabili, ma ciononostante erano state abbinate addirittura a tre diverse famiglie. Il giudice davanti a cui erano andati era falso e non esisteva traccia di alcun atto adottivo», riassume Torrisi.

Dopo di loro, altre famiglie hanno denunciato. La CAI nel marzo 2013 revocò tutte le autorizzazioni ad operare in Kirghizistan e a luglio 2013 cancellò Airone dall’elenco degli enti autorizzati. Storie simili, di bambini incontrati, a cui è stata fatta la promessa di “torniamo a prenderti presto, siamo la tua mamma e il tuo papà, saremo sempre insieme” e invece poi quella mamma e quel papà sono stati costretti a tradire quella promessa. È questo il dolore più grande. Fabio Selini, anche lui costituitisi parte civile oggi, l’ha ripetuto centinaia di volte in questi quattro anni: «Noi abbiamo rielaborato il lutto di aver perso un figlio, non è questo il punto. La nostra vita viaggia sui binari del presente e non vogliamo accampare nessun diritto verso Vova. Verso di lui non abbiamo diritti, però abbiamo dei doveri: gli abbiamo detto “torniamo presto”, non abbiamo mantenuto la promessa e non ci è stata data neppure la possibilità di chiedergli scusa. Ci sono 21 bambini che sono stati protagonisti di un dramma inaccettabile, nessuno gli ha mai chiesto scusa». Il viaggio da Bergamo a Savona, insieme alla moglie Gessica, è stato tutto in silenzio e poi, in aula, risentendo la loro storia, «non nascondo che ho versato le ennesime lacrime. La nostra è una storia di genitori che volevano adottare, non doveva finire così, in un tribunale», dice ora. In questi quattro anni di silenzio e di solitudine la rabbia e il risentimento sono scemate, lasciando spazio solo all'amarezza e alla sofferenza: «Non siamo in cerca di vendetta, ci siamo costituiti parte civile perché lo abbiamo ritenuto inevitabile, come aver denunciato. Dopo aver denunciato e dopo aver chiesto tante volte che qualcuno si prendesse la responsabilità di quel che è successo, essere qui era per me la cosa da fare, pur rispettando tutti quelli che hanno fatto scelte diverse», spiega Selini. Mesi fa in una lettera al ministro Boschi, presidente della CAI, aveva chiesto che lei si sedesse al suo fianco, in quel tribunale di Savona: «non c'era nessuno delle istituzioni, eppure io credo ancora che sia necessario che le istituzioni prendano in carico questa vicenda, perché le vittime esistono, la mia famiglia e dei bambini hanno subito un danno, questo è il dato di realtà, che rimane».

In questi quattro anni, intanto, a Roma ha fatto il suo iter una causa civile contro Airone e la CAI, che avrà la sua ultima udienza il 18 maggio 2017: «in quel processo è emerso che i presidenti di altri enti autorizzati avevano segnalato che qualcosa non andava in Kirghizistan», torna a dire l’avvocato Torrisi, aggiungendo che «in quel processo la Commissione Adozioni si è sempre opposta alle richieste delle famiglie». Quello di Savona è un processo diverso, penale, la Cai non è coinvolta. Però «il fatto di essere arrivati qui dimostra un problema di adeguati controlli sugli enti esiste, soprattutto per quanto riguarda i referenti esteri», commenta Torrisi. Che chiede due cose, a tutela delle coppie che avviano il percorso adottivo e degli enti stessi: «un fondo di garanzia per le famiglie che adottano, in analogia con il fondo per le vittime degli incidenti stradali, su cui rivalersi e un’assicurazione obbligatoria per gli enti autorizzati, in analogia all’assicurazione professionale che sottoscrivo ad esempio io come avvocato: le truffe no, ma gli errori possono capitare, famiglie ed enti sarebbero tutelati entrambi».

Foto VYACHESLAV OSELEDKO/AFP/Getty Images

Aggiornato venerdì 3 febbraio ore 14,30


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