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In Italia gli hospice pediatrici sono soltanto quattro: ecco la mappa

In Italia solo il 15% dei 35mila bambini con malattie inguaribili e bisogni assistenziali complessi riceve le cure palliative pediatriche cui avrebbe diritto. Le reti di cure palliative pediatriche stanno nascendo. Gli hospice ne sono un pezzo, perché molto si gioca al domicilio. Oggi tuttavia in Italia ci sono soltanto quattro hospice pediatrici, più uno che sarà operativo in autunno, uno in costruzione e uno da poco annunciato.

di Sara De Carli

In Italia i bambini come Charlie Gard, cioè i bambini che hanno una malattia inguaribile e un bisogno assistenziale complesso sono circa 30-35mila: lo dice nero su bianco l’ultima Relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 38/2010, del 2015. Scrive che «da un punto di vista numerico la prevalenza di minori con patologie eleggibili alle cure palliative pediatriche è in continuo e progressivo aumento: attualmente si stima una prevalenza di 32 casi per 10.000 minori, prevalenza praticamente raddoppiata negli ultimi 10 anni. Sulla base di questi dati, si stima che in Italia vi siamo più di 30.000 bambini eleggibili alle CPP».

Ognuno di questi 30/35mila bambini avrebbe bisogno di ricevere cure palliative e, nello specifico, cure palliative pediatriche. Ognuno di loro, di più, ha diritto di ricevere queste cure, lo dice la legge, fin dal 2000. Eppure oggi solo il 15% di questi bambini riceve cure palliative pediatriche specialistiche. La probabilità varia in base all’età (è più facile che le riceva un bambino grande che non un lattante), in base alla patologia (è più facile che le riceva un bambino con una patologia oncologica, semplicemente perché le cure palliative sono nate per i pazienti oncologici) e in base al luogo di residenza, cioè è più facile riceverle se vive al Nord, benché poi ci siano rilevanti eccezioni (ne ha parlato qui Luca Manfredini, palliativista dell'Ospedale Pediatrico Gaslini di Genova e nella relazione al Parlamento c'è anche l'elenco delle Regioni che hanno già deliberato la nascita della rete di cure palliative pediatriche).

Qualcosa però sta cambiando. Fino a due anni fa l’unico hospice pediatrico d’Italia era quello di Padova, guidato da Franca Benini, che è stata fra l’altro la responsabile per la Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio del “Progetto Bambino”: si tratta di un percorso iniziato nel 2007 con il Ministero della Salute con l’obiettivo di realizzare in Italia, primo paese in Europa, una rete di cure palliative pediatriche. La Fondazione è il punto di riferiemento italiano per lo sviluppo della cultura delle cure palliative pediatrice e l’obiettivo del progetto, fin da allora, era quello di realizzare una rete domiciliare e un hospice in ciascuna regione d'Italia, perché la gran parte dei piccoli malati veniva inserita nelle terapie intensive e moriva in ospedale: «Un'assurdità, abbiamo uno specialista pediatrico per tutto, tranne che per accompagnare un bambino alla morte», diceva allora la dottoressa Benini.

La Casa del Bambino dell’Ospedale di Padova, aperta nell’autunno 2008, è stato il primo hospice pediatrico d’Italia. La legge 38 piano piano sollecitato una nuova attenzione e così negli ultimi anni sono sorte altre realtà. Restiamo comunque a quota quattro hospice pediatrici in tutta Italia, contro i venti che servirebbero. L’Ospedale Pediatrico Meyer ha dal 2010 una “Struttura Residenziale di Leniterapia” cioè un luogo dedicato a lenire la sofferenza e pensato il più possibile come casa e non come ospedale. Un punto di riferimento pediatrico c’è all’Ospedale Santobono/Pausilipon di Napoli e anche al Regina Margherita di Torino. In autunno sarà operativo un quinto hospice pediatrico, quello dell’Ospedale Gaslini di Genova. «I lavori di edilizia sono terminati, stiamo facendo la selezione e formazione del personale, saremo operativi in autunno, avremo 4 posti letto», spiega Luca Manfredini, referente per la terapia del dolore e le cure palliative pediatriche del Gaslini di Genova.

In arrivo ci sono anche due strutture messe a disposizione dal non profit, che diversamente da quelle esistenti non saranno dentro un ospedale. Pochi giorni fa la Fondazione Hospice MT. C. Seràgnoli ha presentato il progetto del suo hospice pediatrico, firmato da Renzo Piano (nella foto qui sopra): pensato come una “casa sull’albero”, sorgerà a Bologna, avrà 14 camere singole e 8 appartamenti per ospitare i famigliari e sarà pronto nel giro di tre anni. A Milano invece sta sorgendo la Casa Sollievo Bimbi, accanto all’hospice Casa Vidas. Avrà sei mini appartamenti, modulabili, i lavori termineranno entro la fine del 2018 e nella prima metà del 2019 sarà operativo. I minori sofferenti troveranno così in Vidas una risposta completa, in un sistema integrato di cure palliative per l’età pediatrica, articolato su tre percorsi: a domicilio, spazio ideale di cura per il bambino e la sua famiglia (Vidas ha già una équipe pediatrica attiva) e nella Casa sollievo, sia in day hospital sia in degenza.

Giada Lonati è la direttrice sanitaria di Vidas e spiega che la Casa Sollievo «non sarà un posto dove i bambini vengono a morire». Serve anche quello, perché in alcuni casi non ci sono le condizioni per poterlo fare a casa, ma quello dipende da fattori sociali più che clinici, ad esempio la presenza di altri bambini piccoli o la dimensione psicologica. Casa Sollievo sarà innanzitutto «il ponte ideale tra l’ospedale e il domicilio, per favorire un passaggio meno traumatico e più protetto fra le due realtà. «Prendersi cura di questi bambini non significa mettere in atto trattamenti per allungare la vita, ma offrire tutte le cure che migliorano la qualità della vita loro e dei loro famigliari», spiega la dottoressa Lonati. Significa «occuparsi del controllo dei sintomi, rendere autonomi i genitori al di fuori dell’ospedale, offrire sollievo ai genitori, perché stiamo parlando di bambini che hanno bisogno di assistenza H24, complessi da gestire, i genitori smettono di respirare. Questi genitori, se accompagnati, hanno la capacità di gestire questa complessità, imparano a fare cose inimmaginabili, così che possono prendersi cura dei loro bambini nell’intimità delle loro case e seguire lì, a casa, non in ospedale, il percorso naturale della malattia». Una possibilità che a Charlie Gard e ai suoi genitori non è stata data.

Foto di copertina Alessio Lin / Unsplash


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