Cooperazione & Relazioni internazionali

Giorno sette: uno sbarco modello e il saluto alla Aquarius, pronta a riprendere il largo

«Si tocca terra a Trapani, è il momento in cui ognuno prende la propria strada. Che sarà sicuramente migliore di quello che hanno lasciato alle spalle». Ultimo capitolo della rubrica di Daniele Biella, che per sette giorni è rimasto a bordo della nave dell'ong Sos Mediterranee

di Daniele Biella

C’è una cosa che spazza via l’intero turpiloquio mediatico e politico di questa estate sul ruolo delle ong nel Mar Mediterraneo: la forza delle azioni. Ve ne dico una che, per me, può bastare per tutte le altre. Alba di sabato 15 settembre 2017, qui sull’Aquarius mi sveglio dopo poche ore di sonno con torpore, sapendo già quello a cui si andrà in contro: lo sbarco a Trapani delle persone recuperate in mare.

Come tutte le mattine passate, prima vado nella cabina di comando a chiedere le news sulla notte trascorsa, poi esco sul ponte in vista di scendere uno alla volta i vari livelli della nave fino al deck. Ebbene, li vedo subito, gli operatori di Sos Mediterranée e Medici senza frontiere: macchie bianche (il colore della maglietta) in mezzo a persone di carnagione mulatta o nera, che spiegano, ascoltano, indicano, danno e ricevono pacche sulle spalle. Sono già lì, anzi lo sono sempre stati: questo vorrei fare vedere a chi getta fango sull’operato delle organizzazioni non governative tanto da convincere anche parte dell’opinione pubblica. Venite qui a vedere. Dubito che sfiori lontanamente il loro pensiero: mettersi in gioco è davvero difficile, quando non sei a posto con la tua coscienza.

Sorge il sole e la Sicilia inizia ad apparire in tutte le sue forme irregolari ma sinuose: poco alla volta, ripartono i balli, i canti – quello delle donne, nello shelter, è andato avanti per più di un’ora e c’era davvero da rimanerne bloccati ad ascoltare ammaliati – le urla di gioia.

Poco dopo, ultima riunione dell’equipaggio (durante la colazione, visti i tempi stretti) prima di attraccare: c’è da gestire le operazioni di sbarco, ed ecco che Jay, logistico texano di Sos Mediterranée, spiega a tutti noi come si dovrà procedere. Subito dopo, si va all’esterno della nave a iniziare le operazioni, dividendo per gruppi i migranti: prima scenderanno i bisognosi di cure mediche immediate a terra, poi i minori non accompagnati, poi le donne sole e i bambini con le loro famiglie, infine via via tutti gli altri.

Trapani si avvicina, da puntino all’orizzonte il porto è a un palmo dal naso: poco dopo le 9 di mattina si attracca, con i migranti che guardano tutti verso l’esterno della nave, chi il nuovo luogo sconosciuto, chi l’orizzonte e il mare che si appresta a lasciare, e con esso le difficoltà del passato. È il momento dei saluti: difficile, ma anche con una serenità che non pensavo di trovare. Niente sarà peggio di quello che hanno vissuto finora. E l’accoglienza in Italia e in Europa, pur con tutte le sue contraddizioni, storture e nuove soluzioni da trovare, è garantita. “Non mi piace l’’accordo che il vostro Paese ha fatto con la Libia, perché i soldi vanno a chi prima era trafficante, che poi ha solo cambiato casacca. Ma se devo dire una cosa, è questa: l’Italia sta facendo moltissimo per accogliere le persone che arrivano da anni sulle sue coste, e la mia gratitudine è totale”, mi dice un padre di famiglia. Saluto tutti: la famiglia siriana, le decine di ragazzi con cui ho scambiato una battuta, i bambini con cui ho anche giocato, le donne dagli sguardi intensi e desiderosi di una vita migliore.

Poi inizia lo sbarco vero e proprio: sale a bordo il team dei medici del Ministero della salute e della Croce rossa italiana assieme a Oim, Organizzazione internazionale delle migrazioni e Unhcr, Alto commissariato Onu per i rifugiati. Subito a terra ci sono i grandi gazebi di Save the children e la stessa Msf, il tendone blu del ministero dell’Interno, un paio di operatori delle organizzazioni europee Frontex ed Easo. Lo sbarco è modello, il rispetto reciproco è generale e in meno di due ore è tutto finito. I migranti partono con i pullman, probabilmente prima all’hotspot di Milo (Trapani) per le prime formalità relative all’asilo politico poi, a meno di situazioni particolari di trattenimento (per esempio può accadere che una persona già nota alle autorità e con precedenti possa essere direttamente rimpatriata), in diversi centri lungo la penisola. Ho i nomi di alcuni di loro su un pezzo di carta, facebook sarà il luogo virtuale in cui cercheremo di non perdere i contatti.

Infine, arriva il mio momento di salutare la nave e il suo superlativo equipaggio: tutti e quattro noi giornalisti scendiamo definitivamente dalla Aquarius nel primo pomeriggio, altri tre colleghi ci danno il cambio e ripartono alle 18 per ritornare il più brevemente possibile in zona Sar. Dove le chiamate di Sos continuano ad arrivare.

Il diario di bordo finisce qui, ma sempre su Vita.it di questa esperienza parlerò ancora a breve, perché la stretta attualità non concede pause: sono 1800 le persone recuperate dalle navi delle ong e delle marine europee in questi ultimi tre giorni, compresi tre corpi senza vita. Un dramma che continua senza interruzioni da anni, intollerabile e vergognoso. Un dramma con numeri ancora più alti se non ci fossero l'Aquarius e le altre navi di salvataggio in mare. Altro che pull factor.

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