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Azzardo oltre l’azzardo: il caso delle microtransazioni

L'azzardo è oramai un fenomeno totale. Lo troviamo ovunque, anche nei videogiochi, un tempo considerati non più di un passatempo spensierato. E sta per scoppiare il caso delle "scatole cieche" comprate dai giocatori

di Fabio Turroni

L'azzardo è un demone che non sempre si palesa nelle sue forme più consuete, che sa camuffarsi per far breccia laddove non ci si aspetterebbe di trovarlo. Persino nei videogiochi, un tempo considerati non più di un passatempo spensierato, che oggi sono tra le attività preferite dagli adolescenti (e non solo).

Qualcuno ne ha fatto addirittura un lavoro remunerativo, non creando, ma giocando semplicemente: se si è abili, grazie ad Internet, è possibile essere ammirati mentre si gioca. Grazie agli sponsor, arrivano guadagni e fama. La fama crea invidia e competizione. C’è chi, non avendo tempo o doti naturali, anziché cercare di migliorarsi con l’esercizio, preferisce barare. Non farò una morale sul perché qualcuno debba accorciare la durata di un videogioco che ha anche pagato. Il fulcro è lo strumento che permette di barare.

Le micro-transazioni

Agli albori, bastava inserire qualche semplice parola (i famigerati “cheat”, trucchi) per ottenere risultati immediati. Oggi gli sviluppatori hanno capito che possono ricavare profitto da questi strumenti: nasce il fenomeno delle “micro-transazioni”.

C’è stata una prima fase di sperimentazione in cui per una modica somma di denaro era possibile acquistare qualcosa di permanente per alleggerire la difficoltà. Dal permanente si è poi passati al temporaneo. Invece di mostrarsi sdegnati, gli utenti hanno abbracciato qualsiasi modello venisse loro proposto, fino all’ultima, feroce incarnazione: le cosiddette “loot box”.

Il futuro è già qui

Dov’è la differenza rispetto al recente passato? Se prima il giocatore poteva scegliere cosa comprare, oggi in molti casi è spinto a cercare fortuna per comprare una scatola misteriosa, il cui contenuto può essere permanente o temporaneo (e non sempre appropriato alla spesa).

In questi giorni la polemica infiamma e molti siti specializzati in recensioni hanno riportato una dichiarazione rilasciata dall’ESRB (Entertainment Software Rating Board), l’organo di controllo e classificazione dei videogiochi, il quale “non considera le casse premio una forma di gioco d'azzardo.

Nonostante sia implicato il fattore fortuna, al giocatore è garantito di ricevere sempre dei contenuti di gioco (anche se a volte il premio non gli piace). Noi le equipariamo alle carte collezionabili”. Giusto o meno, questo paragone invita a riflettere sui reali meccanismi insiti in determinate strategie di marketing e, in certi casi, sulle possibili scappatoie o giustificazioni offerte da sviluppatori e organi di controllo.

Nel marasma del vuoto legislativo va comunque apprezzato che c’è chi prova ad utilizzare sistemi di micro-transazioni etiche, offrendo contenuti certi e puramente estetici, che non intaccano gli equilibri di gioco.

Va detto che la politica non è rimasta indifferente: Daniel Zeichner, un membro del parlamento inglese, ha posto due interpellanze a Karen Bradley, il segretario di stato per il digitale, la cultura, i media e lo sport, chiedendo una sorta di protezionismo contro questo fenomeno.

Nell’epoca del fallimento delle grandi narrazioni, si fa strada una certezza: per l’ennesima volta, chi si aspetta che il mercato possa autoregolarsi, rimarrà deluso.

Fabio Turroni è sociologo. Di questi temi si discuterà il 28 ottobre prossimo a Longiano, con il nostro Marco Dotti e il professor Maurizio Fiasco (Consulta Nazionale Antiusura), nel corso degli eventi legati alla Run to win 2017, la corsa podistica contro l'azzardo, giunta alla sua seconda edizione


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