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Politica & Istituzioni

Miraglia, Leu: «Immigrazione, le soluzioni ai problemi ci sono»

Intervista al vicepresidente di Arci nazionale, candidato con Liberi e uguali alla Camera, che passa da decenni di impegno nella società civile a quello in politica: «Sanatoria, decreto flussi, contrasto all'intolleranza per il diverso attraverso una comunicazione più attenta ai diritti e meno disposta a concedere spazi ai seminatori di odio»

di Daniele Biella

Ci sono i problemi, e bisogna trovare le soluzioni. A Filippo Miraglia, vicepresidente di Arci nazionale e candidato alla Camera dei deputati alle elezione del 4 marzo 2018 con Leu, Liberi e uguali (sinistra), Vita.it ha chiesto con quali motivazioni ha deciso di fare il salto dall’impegno nella società civile a quello in politica e, in particolare, come intende voltare pagina nel difficile libro delle migrazioni verso l’Europa, il tema su cui più di tutti potrà far valere la sua esperienza diretta dei tanti anni nell’Arci. “I temi da cui parto sono il contrasto all’egemonia culturale della destra degli ultimi anni, in Italia come in Europa; l’importanza di promuovere un soggetto politico a sinistra plurale con tutti i suoi limiti attuali, perché l’alternativa potrebbe essere una Caporetto dei principi costituzionali; il contrasto al livello di disuguaglianza fra le persone che ha superato la soglia sostenibile”, spiega Miraglia.

Parliamo di immigrazione. Ma non parliamo delle storie di integrazione positiva, che ci sono e che Vita spesso racconta. Trattiamo invece i problemi, iniziando da quelli legati all’accoglienza: il primo è quello dei dinieghi, ovvero delle persone che hanno avuto risposta negativa rispetto alla propria domanda d’asilo. Si stima che oggi siano 10mile e il numero è destinato gradualmente a crescere. Come gestire il tutto?
L’aumento in assoluto delle persone diniegate non è da confondere con le percentuali statistiche dei dinieghi, che sono stabili al 60% del totale per il primo esito e al 40% in caso di ricorso. Detto questo, il problema c’è e deriva anche dal fatto che molte persone sono arrivate davanti alla Commissione giudicante senza adeguata preparazione su quello che avrebbero dovuto o potuto dire, mandati allo sbaraglio da enti di accoglienza che non li hanno preparati, appunto. Inoltre c’è da dire che le Commissioni territoriali non sono del tutto indipendenti, perché almeno due membri su quattro appartengono al ministero dell’Interno e il voto del presidente, un viceprefetto, vale doppio nell’esito finale. A questo si aggiunge un elemento centrale, che è la mancanza di un’alternativa alla richiesta di asilo politico in entrata in Italia. Ovvero l’unico altro tipo di entrata è il ricongiungimento familiare ma altre immigrazioni come quella legata al lavoro sono oggi impraticabili. Serve quindi cambiare la legislazione, per superare la crescita dei diniegati e favorire la regolarizzazione di tante altre persone che sono già sul suolo italiano con un lavoro ma non hanno un permesso di soggiorno valido.

La questione del lavoro legato ai flussi migratori è centrale. Sabato 24 febbraio alla Camera del lavoro di Milano si terrà un convegno su questo tema: a quali cambi di legislazione si riferisce?
Bisogna arrivare a una sanatoria. Penso in particolare alle 430mila persone oggi in condizioni di irregolarità in Italia, secondo gli ultimi dati dell’Ismu, che però lavorano in mansioni essenziali per la società italiana, come la cura alle persone bisognose, l’agricoltura e la logistica. Bisogna inoltre riprendere la strada dei decreti flussi, perché bisogna chiaramente parlare del fatto che molte persone arrivano alla ricerca di un lavoro e la domanda c’è: anche in tempo di crisi economica, parecchi industriali chiedono oggi manodopera specializzata e in un Paese come l’Italia che invecchia costantemente bisognerebbe usufruire meglio della forza di lavoro giovane che viene dai Paesi africani, per esempio. Sprechiamo tante risorse nella parte di accoglienza che non funziona, ovvero in mano a persone incompetenti – per non parlare della malaccoglienza – anziché inserire in modo virtuoso questi giovani, che se non trovano integrazione rischiano di diventare casi sociali da gestire.

Accoglienza delle persone richiedenti asilo e rifugiate: il modello Sprar di gestione comunale, pur in crescita, non riesce a superare quello prefettizio dei Cas, in cui oggi sono accolti l’80% dei 200mila ospiti totali delle strutture. Bisogna puntare ad altre soluzioni?
Il problema è politico: sia la gestione dei Cas, Centri di accoglienza straordinaria, che dei progetti Sprar è in mano al ministero dell’Interno. Arrivati a oggi, dopo sei anni di sistema di accoglienza, non di possono praticare due strade contemporaneamente, bisogna sceglierne una e quindi se si sceglie lo Sprar bisogna lavorare in questi anni almeno per gestire gli attuali Cas sul modello Sprar, se la trasformazione non si può fare in poco tempo. E bisogna chiudere i grandi centri di accoglienza: è imbarazzante che a Mineo, per esempio, dopo gli scandali economici del recente passato, siano accolte ancora oggi almeno 2500 persone.

In politica estera legata alle migrazioni forzate gli atti governativi degli ultimi mesi sono stati l'accordo Italia-Libia e l'avvio della missione militare in Niger. Quale scenario per il futuro?
Fare politica estera come singola nazione e non come Unione Europea non permetterà di ridurre le ragioni generali per cui le persone lasciano la propria casa, guerre in primis. Manca una forte diplomazia che incida negli scenari bellici e riesca a favorire lo sviluppo autonomo laddove i problemi sono altri. L'Italia, in particolare, interviene negli scenari per tutelare gli interessi privati – aziende interessate nelle risorse naturali come il petrolio e nella vendita delle armi, per esempio – e questo non fa il bene delle popolazioni, anzi finisce per destabilizzare ancora di più tali luoghi. Le azioni degli ultimi mesi sono più rivolte a risolvere i problemi interni, vedi accordo con i libici per fermare i flussi, che a migliorare le condizioni di chi è in difficoltà. In Libia, in particolare, serve entrare in relazione con quella ridotta ma presente società civile libica: è questo l'unico approccio, europeo ancora prima che italiano, che potrebbe cambiare la situazione ovvero privilegiare l'interesse del popolo e non dei gruppi di potere come le milizie.

L’allarme per la crescita dell’odio verso il diverso, in particolare straniero e con la pelle nera, scuote ampi strati della società e i fatti di Macerata sono sotto gli occhi di tutti. È possibile arginare questa deriva?
Sì, partendo da forti cambiamenti sia a livello comunicativo che culturale. Com’è possibile che oggi molti media, televisioni comprese e in particolare il servizio pubblico, diano così tanto spazio ai predicatori d’odio? È sproporzionato lo spazio che hanno queste persone, politici e non, anche sulla Rai. Bisogna introdurre il principio che lo spazio va dato a tutti nello stesso modo, in questo caso almeno uguale a chi con ragionamenti pacati contrasta la diffusione di questo odio. Ma questo non avviene come dovrebbe, purtroppo. Un esempio che coinvolge anche una testata progressista, per intenderci: com’è possibile che Repubblica intervisti Matteo Salvini all’indomani degli spari di Luca Traini a Macerata, dando ampio spazio e quindi enfasi a una persona che sta cavalcando questo odio? Non lo capisco, bisognerebbe invece partire da limitare questi spazi per bloccare la spirale dell’intolleranza, alimentata anche da un uso incontrollato delle fake news, le notizie e i post falsi che incitano all’odio, come quello del passeggero “senza biglietto” sul Frecciarossa. Sono le ragioni del diritto che devono prevalere su quelle legate all’odio: è nostro compito farle emergere in ogni sede, tali ragioni.


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