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Migrazioni, Andrea Segre: «L’ordine delle cose? Lo deve cambiare la politica»

Il regista e documentarista si fa portavoce di un movimento orizzontale di operatori di accoglienza, d'informazione e migranti stessi che in Forum territoriali lungo tutta l'Italia propongono un drastico cambio di rotta: "Bisogna parlare di un diritto alla mobilità che sia regolare e controllato. È ora che i politici lo capiscano, ma in Italia purtroppo oggi alle soluzioni strutturali prevale la ricerca del consenso"

di Daniele Biella

Un Manifesto nazionale per “cambiare l’ordine delle cose”. E un nuovo movimento di migliaia di persone che in tutta Italia si stanno riunendo in Forum territoriali – a oggi sono 15, da Bolzano a Catania, da Verona a Roma – per elaborare proposte alternative a quelle attuali in termini di flussi migratorio e presentarle poi ai politici di tutta Europa, italiani in primo luogo. È questo il risultato della diffusione capillare – ogni giorno vengono realizzate proiezioni in varie sale – del film “L’ordine delle cose” di Andrea Segre (in coda il trailer), che mette al centro dell’attenzione il rapporto tra Italia come Paese d’arrivo di persone con i barconi e Libia come luogo di partenza molto pericoloso e permeato da malaffare e traffico di esseri umani. “Sono i politici che devono generare un cambiamento sempre più necessario: si sta sbriciolando lo stato di diritto con una responsabilità storica molto grave”, spiega a Vita.it il regista 41enne, autore oltre a “L’ordine delle cose” di altri apprezzati film sul tema delle migrazioni forzate come 'Io sono Lì', 'La prima neve' e i documentari 'Come un uomo sulla terra', 'Mare chiuso' e 'I sogni del lago salato'. "E' un lavoro di gruppo, io sono solo uno dei portavoce di questo nuovo movimento, assieme ai 15 coordinatori di ciascun Forum territoriale".

Cosa manca alla politica italiana per “cambiare l’ordine delle cose”?
Il coraggio di prendere decisioni impopolari per quanto riguarda il consenso mediatico ma fondamentali per i diritti delle persone: sto parlando dell’accesso a vie regolari per viaggiare, ma non a corridoi ed evacuazioni umanitarie, piuttosto a strumenti che possano comunque far superare le frontiere in modo comunque controllato a chiunque lo voglia fare, perché stiamo parlando di diritti individuali e libertà di movimento. Invece la ragion di Stato oggi più che mai prevale sull’etica e persino il centrosinistra in Italia ha gettato la spugna su questi temi, seguendo linee politiche di destra mentre lo stesso centrodestra invece propone idee che affossano del tutto il diritto delle persone in viaggio. Il 28 febbraio, tra l’altro, faremo un incontro aperto a Roma rivolto a tutti i candidati alle elezioni in cui spiegheremo le nostre proposte.

Anche l’Unione europea ha forti responsabilità politiche nella situazione attuale…
Sì, ma a livello istituzionale di Consiglio europeo, ovvero di Capi di stato, mentre il Parlamento europeo è molto tempo che cerca di cambiare le regole come per esempio la recente approvazione delle modifiche al Regolamento di Dublino sulle persone richiedenti asilo. Inoltre a livello di singoli partiti nazionali si nota già da tempo una forte presa di posizione, per esempio in Francia, Germania e Belgio, ovvero partiti progressisti che hanno scelto di portare avanti idee di accoglienza regolata e diffusa che poi sono le stesse che abbiamo ripreso nel nostro Manifesto. In Italia, invece, a parte qualche singolo parlamentare manca quasi del tutto una posizione del genere, ma è quanto mai necessaria, perché questo lavoro va fatto da loro, non da altri che lo stanno facendo ora andando oltre il proprio ruolo.

Chi sono questi altri?
Intendo noi registi, gli operatori dell’accoglienza, gli operatori dell’informazione che conoscono da vicino questo tema e ovviamente gli stessi migranti che hanno preso coscienza dei loro diritti. Questo corpo sociale composito fa un grande sforzo per mettere il tema al centro dell’agenda ma non basta, e l’abbiamo visto in questi anni in cui c’è stata molta produzione culturale ma le dinamiche anziché migliorare sono peggiorate. C’è stata addirittura un’iperproduzione di contenuti mediatici che però ha avuto conseguenze negative.

Perché?
Perché si è rivelato una sorta di potere taumaturgico che però di fatto non ha cambiato per nulla le cose, sia a livello di percezione del fenomeno da parte dei cittadini che dal punto di vista concreto del cambiamento delle regole. Per questo giudico le operazioni mediatiche fatte finora come un’illusione di cambiamento. Per intenderci, paradossalmente anche gli appelli di papa Francesco ad “aprire le braccia” hanno avuto come risultato un aumento della paura. L’approccio verso questi fenomeni migratori deve essere più “giusto” che buono, e anche nelle parrocchie come in ogni altro luogo bisogna discutere di come modificare strutturalmente le regole attuali per garantire i diritti di tutti piuttosto che entrare nella logica dell’“aiutare i poveretti”. Anche volendo non puoi aprire le braccia a chi vuoi: nel mondo di oggi servono regole per muoversi in modo adeguato, proprio per evitare poi il panico di chi si trova ad accogliere. È quello che dirò il 27 febbraio davanti ai responsabili migrazioni della Cei, dove sono stato invitato. La questione è profondamente politica, a livello generale: ovvero la scelta è tra dare o non dare documenti validi a chi cerca un altro posto dove vivere per qualsiasi ragione, e in questi anni è prevalsa quella di non darli, con le conseguenze che abbiamo sotto gli occhi.

Come vedi il ruolo delle organizzazioni umanitarie, a volte addirittura messe sotto accusa in una sorta di criminalizzazione della solidarietà?
Le ong e le associazioni dalle più grandi come Medici senza frontiere, Amnesty o Save the children a quelle di minori dimensioni hanno fatto molto in questi anni per sensibilizzare su questo tema, ricevendo anche attacchi ma tenendo sempre al centro della loro azione i diritti delle persone in viaggio. Però, proprio per quello stesso “fallimento mediatico” che dicevo poco fa, comunicati, video e altre iniziative per aiutare nella conoscenza del fenomeno non bastano più. Bisogna, ribadisco, mettersi tutti assieme – ogni giorno si aggiungono nuovi aderenti – per un’opera di pressione sociale di ampia portata, per uscire dall’attuale frustrazione e convincere chi ci rappresenta a livello politico che è ora di agire nel concreto, senza slogan o proposte effimere di soluzioni che servono solo ad alimentare un circolo vizioso in cui non si fermano i drammi: il fenomeno delle migrazioni è strutturale e come tale va gestito.


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