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Il Centro di aiuto allo studio? Con un tablet arriva anche a casa

Nelle famiglie più fragili, senza il sostegno degli educatori che solitamente giorno affiancano i ragazzi, la chiusura delle scuole rischia di trasformarsi in un buco di formazione difficilissimo da colmare. Una famiglia su due, anche in alcuni quartieri di Milano, non ha la strumentazione tecnologica che la scuola a distanza richiede. Mission Bambini lancia un progetto per continuare a seguire i ragazzi che frequentavano i Centri di aiuto allo studio

di Sara De Carli

Quale sarà il costo sociale di queste tre, sei o forse più settimane di chiusura delle scuole? Quanto peserà nei percorsi formativi della generazione dei nostri figli il buco di istruzione che stanno loro malgrado vivendo? Tanto? Poco? Una cosa è certa: il conto sarà diverso a seconda della famiglia in cui il bambino vive. In una scuola che – lo sappiamo – non riesce più da tempo a colmare il gap legato alle diverse condizioni di partenza dei suoi alunni, anche per l’emergenza Coronavirus chi già vive una condizione di fragilità e disagio rischia di essere ulteriormente penalizzato dallo stop dell’intervento educativo. Alunni con bisogni educativi speciali, con disabilità, nati da genitori stranieri che non parlano bene la lingua e non hanno possibilità di dare un aiuto nei compiti, oppure alunni nati in famiglie che non hanno la dotazione tecnologica richiesta dalla didattica online messa in campo in queste settimane. Sono più di quanto si possa pensare: «Questa emergenza ha fatto emergere la fragilità tecnologica delle famiglie. Ci sono famiglie che non hanno la rete a casa, oppure non hanno un tablet o un cellulare, oppure hanno il cellulare ma non abbastanza giga… L’analisi fatta dai nostri partner dice che una buona metà delle famiglie è in questa situazione di difficoltà», afferma Alberto Barenghi, responsabile dell’Ufficio Progetti Italia di Fondazione Mission Bambini.

Siamo a Milano, nella quartieri della periferia nord (Comasina, Bruzzano, Niguarda e Maciachini): quartieri con una scuola molto multietnica, in cui Mission Bambini ha coordianto un lungo e articolato progetto di attivazione comunitaria, Nove+. In ciascuno di questi quattro quartieri Mission Bambini sostiene un centro di aiuto allo studio, per un totale di 400 bambini. Questi centri di aiuto allo studio si sono attivati subito dopo la chiusura delle scuole per garantire un sostegno allo studio a distanza: un pc e una videocamera possono essere d’aiuto per sedersi metaforicamente accanto a un ragazzino e seguirlo nelle espressioni di aritmetica. «Settimana scorsa l’idea era quella di dotare i centri di aiuto allo studio di postazioni informatiche attrezzate con pc e connessione internet accessibili alle famiglie che sarebbero andate al Centro con le dovute precauzioni e lì avrebbero potuto scaricare e stampare i compiti assegnati e i vari materiali inviati. Viste le ultime restrizioni sulla possibilità di muoversi da casa, ci siamo spostati più sul dotare gli operatori dei Centri, che stannio lavorando da casa, e le famiglie che ne hanno necessità di strumentazione come laptop, tablet, telefoni cellulari, schede telefoniche per assicurare un traffico dati sufficiente. La consegna dei primi materiali inizia oggi, con Amazon. Gli operatori conoscono i ragazzi e le famiglie, sanno qual è il bisogno reale: qualcosa regaleremo e qualcosa daremo in prestito», spiega Barenghi. «L’obiettivo generale del progetto è quello di garantire un sostegno a distanza nello studio, soprattutto ai bambini più vulnerabili e già a rischio di insuccesso scolastico, per cercare di prevenire in tutti i modi il rischio di dispersione e abbandoni».

Mission Bambini sta pianificando, insieme alla rete dei servizi educativi e alle scuole, anche percorsi di ascolto e sostegno psicologico per bambini e genitori, da avviare una volta che la fase di isolamento ed emergenza sarà terminata. Il progetto, partito a Milano, può essere replicato in altri territori e Mission Bambini ha già preso contatti con altri partner – in particolare nelle città di Torino, Padova, Napoli e Catania – per farlo. Per sostenere il progetto è stata avviata una raccolta fondi su Rete del Dono.


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