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Cooperazione & Relazioni internazionali

Il mercato dei bambini di Kabul

Nel bazar della città valgono 200 euro. Gli adolescenti 500. Un ritorno della schiavitù dettato dalla disperazione di famiglie che hanno perso tutto

di Paolo Manzo

In Afghanistan è in corso una feroce crisi umanitaria, una carestia senza precedenti. La situazione è così drammatica che molte famiglie disperate hanno iniziato a vendere le proprie figlie oltre che tutti gli oggetti della loro casa per ottenere un po’ di denaro contante per acquistare cibo o per pagare i trafficanti che li porteranno in Iran, Tagikistan o Pakistan e scappare dall’inferno afghano, gestito dal Ferragosto scorso dai talebani. Oggi un bambino vale 200 euro al bazar di Kabul, un’adolescente 500 euro. Chi vende sono famiglie sfollate dall'interno dell'Afghanistan, in fuga dai talebani e che oggi non hanno un lavoro né sanno come pagare l’affitto di una stanza. Chi compra ne fa i suoi piccoli schiavi in casa e in bottega o, nel caso delle bambine, la moglie/schiava. Per la cronaca, la pedofilia dilaga in Afghanistan e i matrimoni forzati sono la norma, non avendo le donne voce in capitolo.

Non che le cose fossero molto meglio prima su questo fronte. Chi scrive ricorda ancora lo choc di quando, era il 2005, appena arrivato a Maymana al seguito di Intersos (qui potete donare alla ong, sempre molto attiva in Afghanistan) mi trovai a seguire il caso di un ottuagenario di questa città ai confini con il Turkmenistan che aveva ucciso (bruciandola viva) la sua quarta moglie diciottenne, colpevole a suo dire di volere annullare il matrimonio per tornare alla famiglia di origine. Oggi però la situazione nel Paese dove i talebani hanno vietato la musica ed il taglio della barba è ancora più drammatica, anche se l’Occidente, Stati Uniti in testa, ha già dimenticato la strage silenziosa afghana, dopo che nei giorni della ritirata Nato, a fine agosto, per una settimana non si parlò d’altro. A fine settembre la situazione è che un afghano su tre rischia di morire di fame, due milioni di bambini sono denutriti e hanno bisogno di cure mentre si stima che senza un aiuto immediato, 18 milioni di afgani rischiano di non farcela a scavallare il terribile inverno afghano. Questo il contesto di Kabul, dove oggi si vendono bambini e ragazzine per poche centinaia di euro.

Oltre a ritirarsi nel peggiore dei modi possibili, l’Occidente però una cosa l’ha fatta: ha subito chiuso i rubinetti dei soldi ai talebani, che ne chiedono invece a gran voce la riapertura appoggiati nelle loro rivendicazioni dalla Cina, il nuovo grande “tutore” del martoriato Paese asiatico. Le riserve di nove miliardi di dollari dalla Banca centrale afgana sono infatti congelate da oltre un mese negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, i donatori privati stranieri si sono dileguati, il Fondo Monetario Internazionale ha bloccato l'accesso ai fondi di riserva di emergenza da 460 milioni di dollari e la Banca mondiale ha sospeso tutti gli aiuti il ​​25 agosto scorso. A rischio anche un accordo internazionale di 60 paesi per la consegna di decine di milioni di dollari di aiuti a Kabul. Se a questo quadro si aggiunge che il 75% della spesa pubblica del paese dipende dal sostegno esterno, ben si capisce che l’isolamento finanziario del Paese in questo momento rappresenta una catastrofe. I prezzi del cibo sono raddoppiati negli ultimi 45 giorni e migliaia di persone nei settori della sicurezza e dell’impiego statale hanno perso il lavoro. Antonio Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite, ha ammonito che i servizi di base del governo afghano sono prossimi al collasso totale, non essendoci soldi per pagare gli stipendi per chi un lavoro ce lo ha ancora, mentre le banche a Kabul limitano i prelievi a 2 dollari la settimana. Il problema è che con i talebani che restano sotto sanzioni internazionali per terrorismo non si intravede a breve termine una via d’uscita, se non la fame, la morte e la miseria per un intero popolo, con lo spettro della guerra civile sullo sfondo.

Certo, il prossimo 12 ottobre ci sarà il vertice straordinario del G20 proprio sull’Afghanistan, voluto fortissimamente dal nostro Mario Draghi, e l’ideale sarebbe che si superasse l’impasse attuale, riuscendo magari a vincolare la liberazione di risorse finanziarie per il Paese asiatico ad azioni di governo dei talebani “più moderate”. Un sogno lontano mille miglia dalla realtà se guardiamo alle ultime azioni degli “studenti di Dio”. Prima che i talebani prendessero il potere ufficialmente in Afghanistan gli sfollati erano già oltre 550.000. Oggi se n’è aggiunto almeno un altro mezzo milione che sta tentando la fuga, cercando in qualsiasi modo di racimolare i soldi per pagare i trafficanti che gestiscono la tratta per l’espatrio. Di fronte a questa situazione catastrofica, gli Stati Uniti hanno autorizzato a spedire nel Paese alimenti e prodotti essenziali mentre l’Unione europea e la Gran Bretagna stanno tentando di trovare un modo per trasferire fondi di emergenza alle ONG sul campo, bypassando i talebani. Più che del riconoscimento degli “studenti di Dio”, di cui tanto parlano le cancellerie occidentali, e del dilemma di dovere dialogare con chi oggi detiene il potere di fatto a Kabul (perché di questo si dibatterà al G20), l’importante è che il popolo afghano non venga lasciato ancora una volta solo. L’obiettivo della società civile (e dovrebbe esserlo anche dei governi) è di mandare al più presto cibo, vestiti (in Afghanistan l’inverno è gelido), medicine e vaccini.

A lanciare l’allarme Afghanistan sono le ong rimaste sul campo, compresa la già citata Intersos e Save the Children che avverte come “milioni di bambini afgani potrebbero prestissimo soffrire una carestia a causa dell'aumento del costo del cibo, della siccità e delle migliaia di sfollati”. Nello specifico, l'organizzazione non governativa stima che nei prossimi giorni, settimane e mesi “5,5 milioni di minori afgani affronteranno livelli critici di fame”. Save the Children avverte che “il costo di farina, fagioli o gas è aumentato del 63% nell'ultimo mese” e osserva che “i prezzi continueranno a crescere poiché le chiusure delle frontiere e le interruzioni delle importazioni ridurranno ulteriormente la disponibilità di materie prime sui bazar”. L'impennata dei prezzi, inoltre, “metterà il cibo fuori dalla portata di molte famiglie, in particolare di quelle che sono state sfollate dalle loro case e sono rimaste senza niente”. La guerra, la siccità ed il Covid-19 (appena il 3% la percentuale di afghani vaccinati) “hanno già spinto milioni di bambini verso la povertà e la fame in Afghanistan, ma dopo gli ultimi eventi potrebbero essere spinti ancora più sull'orlo della carestia”, lancia l’allarme Athena Rayburn, direttrice delle campagne di Save the Children. Afghanistan.


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