Cooperazione & Relazioni internazionali

L’inferno di Haiti raccontato dai cooperanti

«Bande armate in diverse zone, nella capitale Port-au-Prince, stanno rapendo, violentando e uccidendo persone innocenti», la direttrice nazionale di SOS Villaggi dei Bambini Haiti, Faimy Carmelle Loiseau

di Paolo Manzo

Quando a inizio settembre Evens Delva ha attraversato il Rio Grande (o come lo chiamano in Messico il Rio Bravo) con sua moglie e le sue due figlie, sognava di iniziare una nuova vita negli Stati Uniti. Meno di una settimana fa, lui e la sua famiglia sono stati deportati a Port-au-Prince, la capitale di Haiti, insieme ad altri 4.300 connazionali, nonostante avesse vissuto in Cile negli ultimi sei anni ed avesse pochi legami con il suo paese d'origine. Sua figlia minore ha quattro anni, non ha la cittadinanza haitiana (è nata a Santiago) e parla quasi solo lo spagnolo invece del creolo, col francese la lingua ufficiale ad Haiti. «Non so che faremo, non abbiamo un posto dove stare e qui non c’è nessuno da chiamare», ha detto ai media internazionali questo 40enne, pochi istanti dopo essere sceso dall'aereo nel caldo torrido di un mezzogiorno haitiano. «Tutto quello che so è che questo è l'ultimo posto in cui voglio essere». Difficile dargli torto visto che Haiti è il paese più povero dell'emisfero occidentale oltre ad essere uno “stato fallito”. La carenza di carburante e i blackout erano già a inizio 2021 una realtà quotidiana, con bande rapiscono che senza sosta per ottenere riscatti e combattono per le strade in ogni quartiere della capitale. La situazione è solo peggiorata dopo che il presidente, Jovenel Moïse è stato assassinato il 7 luglio scorso, innescando una lotta di potere e violenza di strada senza tregua. Il 14 agosto scorso, poi, come se non bastasse, un terremoto di magnitudo 7,2 ha affossato ulteriormente la povera penisola meridionale del Paese, uccidendo più di 2.500 persone e lasciando centinaia di migliaia di senzatetto.

La decisione dell'amministrazione Biden di deportare migliaia di haitiani, due terzi dei quali donne e bambini, ha inorridito il mondo e ha spinto l'inviato statunitense ad Haiti a dimettersi. «Questo è un paese in cui i funzionari americani sono confinati in aree protette a causa del pericolo rappresentato dalle bande armate che controllano la vita quotidiana», ha scritto Daniel Foote nella sua durissima lettera di dimissioni. «L'aumento della migrazione verso i nostri confini non farà che aumentare man mano che andremo ad aggiungere deportati alla inaccettabile miseria di Haiti». Non bastasse, la scorsa settimana, il mondo è rimasto scioccato dalle immagini di agenti di frontiera a cavallo che caricavano i disperati migranti haitiani vicino a un campo di 14.000 persone, allestito sotto il ponte internazionale Del Río (Texas)-Ciudad Acuña, in Messico. Delva stava andando a comprare cibo e acqua quando una carica brutale della cavalleria lo ha investito. «Siamo stati radunati come bestiame e incatenati come criminali", ha denunciato, dopo aver trascorso il volo di sei ore da San Antonio a Port-au-Prince con le mani e le gambe legate. “Ci hanno trattato come bestie”, ha aggiunto Maria, sua moglie. “Non dimenticheremo mai come ci siamo sentiti».

Le autorità statunitensi sono state così sbrigative nella loro rapida deportazione dei migranti che hanno deportato anche un uomo angolano che non aveva mai messo piede ad Haiti. «Ho detto loro che non ero haitiano», ha detto a The Guardian Belone Mpembele, mentre usciva, stordito, dal terminal. «Ma non mi hanno ascoltato». Venerdì scorso, fuori dall'aeroporto, decine di haitiani deportati aspettavano arrabbiati qualche aiuto, ottenendo il nulla in cambio. "Fanculo Biden!" ha gridato uno quando è scoppiata una rissa. Tra il caos e la violenza (sui voli sono stati quasi tutti ammanettati), l’amministrazione Biden ha anche deportato a Port-au-Prince trenta bambini brasiliani e 182 cileni, tutti minori di 4 anni, figli di haitiani che dopo il tremendo sisma del 2010 avevano trovato rifugio nei due Paesi sudamericani, e messo su famiglia all’estero. Ora le ambasciate di Brasile e Cile ad Haiti si stanno occupando di loro, con più umanità di certo degli sbrigativi statunitensi.

Sulla tragedia che oggi sta vivendo Haiti, Vita ha raggiunto la direttrice nazionale di SOS Villaggi dei Bambini Haiti, Faimy Carmelle Loiseau, per raccogliere le ultime notizie dall’isola. «Haiti è da diversi anni un Paese minato da crisi politiche e socio-economiche che complicano la vita quotidiana delle famiglie haitiane e dei bambini- ci racconta- soprattutto con l'aumento dell'insicurezza dove bande armate in diverse zone, nella capitale Port-au-Prince, stanno rapendo, violentando e uccidendo persone innocenti». «Il 14 agosto scorso l’ultimo terremoto che ha colpito il Sud del Paese ha solo aggravato la già caotica situazione nel dipartimento meridionale. Molte persone hanno perso la vita, altre hanno perso le loro proprietà e molte famiglie sono state separate dai loro affetti. Di conseguenza, è probabile che il tasso di bambini non scolarizzati aumenti nei prossimi mesi al pari del tasso di disoccupazione, che crescerà drasticamente con più famiglie che patiranno per l'insicurezza alimentare», spiega la Loiseau.

Oggi ad Haiti ci sono due Villaggi SOS, due Case del Giovane SOS, due Asili SOS, due Scuole SOS Hermann Gmeiner, quattro Centri di Sviluppo Sociale SOS e un Centro di Formazione Professionale SOS. «Abbiamo programmi a Les Cayes, nel sud, e non appena è avvenuto il disastro, l'organizzazione ha implementato il piano di emergenza. Attualmente, i bambini continuano a partecipare ad attività ludiche ed educative. È utile per impedire loro di sprofondare nella paura o nell'angoscia» racconta la direttrice dell’ong. «Le famiglie delle comunità di intervento ricevono un sostegno ad hoc attraverso il programma di rafforzamento familiare. La scuola sta per aprire e la nostra organizzazione non governativa sta facendo di tutto per assicurare che i ragazzi siano preparati per il nuovo anno scolastico. SOS Villaggi dei Bambini Haiti continua a portare avanti la lotta quotidiana affinché nessun bambino cresca da solo e riceva un'istruzione adeguata» (per donare cliccate qui).


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