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Domiciliarità e residenzialità devono essere interscambiabili

A Torino un dibattito sullo squilibrio generazionale che rappresenta una sfida formidabile per le famiglie e le politiche pubbliche

di Fabrizio Floris

Il benessere e l’autosufficienza degli anziani sono un tema di crescente interesse e centralità per i cittadini e le politiche pubbliche non fosse altro che questa fascia di età raggiunge ormai il 23% della popolazione italiana (in Italia ci sono 13.923 milioni di persone con almeno 65 anni) e in prospettiva continuerà a crescere nei prossimi anni (si stima che nel 2030 saranno 15 milioni).

Una questione che riguarda sia i piccoli centri che le grandi città dove anche nei quartieri popolari l’indice di vecchiaia è sempre al di sopra di quota 200: significa che gli ultrasessantacinquenni sono il doppio dei quindicenni. Uno squilibrio generazionale che rappresenta una sfida formidabile per le famiglie e le politiche pubbliche. Di questo si è discusso in un interessante dibattito a cui hanno partecipato eminenti studiosi, medici e politici presso il Comune di Torino. Interventi colti, con buone e opportune citazioni teoriche, ma nel contempo estremamente pratici. A partire dall’assessore ai servizi sociali del Comune di Torino, Jacopo Rosatelli, che ha spiegato l’importanza di una visione delle politiche pubbliche, ma anche la necessità di andare oltre il pubblico di creare sinergie, co-progettare e co-costruire non solo a livello sociale e sanitario: «abbiamo scoperto che nelle nostre città c'è bisogno di ombra, di panchine, di fontane perché gli anziani hanno l’esigenza di fermarsi, riposarsi […]. C'è la legge regionale sull'invecchiamento attivo pensata per prevenire i bisogni di assistenza. Questo avviene se la persona esce, cammina, ma anche se non ha paura di uscire, se non tema il dover attraversare una strada molto trafficata. Tuttavia, non vi è un invecchiamento attivo generalizzato buono per tutti perché in qualche modo ognuno ha il suo, quindi è necessario immaginare l’invecchiamento attivo come una serie di opportunità che favoriscano l’attivazione dell’anziano senza stigmatizzare. C’è poi il tema delle residenze per anziani (RSA) che dobbiamo considerare come luoghi aperti al territorio, porosi, luoghi dove l’anziano può entrare, ma anche uscire, non dalla malattia al fine vita. in questo il PNRR rappresenta una grandissima opportunità per prevenire l'istituzionalizzazione delle persone anziane: abbiamo in essere la possibilità di costruire forme di abitare condiviso tra persone anziane, ma anche tra generazione diverse, tra bisogni e necessità diverse».

Infatti, come ha spiegato la prof.ssa Maria Giuseppina Lucia è importante considerare «la proposta di considerare l’intercambiabilità di domiciliarità e residenzialità, nel senso che l’opzione dell’una o dell’altra prassi, si deve basare sulle esigenze del momento e sulle necessità delle persone in quel momento, siano esse gli anziani assistiti (bisogno di cure specialistiche), o le famiglie e i cargiver (bisogno di pause rigeneranti)». Il professore Guido Lazzarini ha spiegato bene che «nessuno deve avere la percezione che entrare in una RSA rappresenti la sua “ultima spiaggia” o che il rimanere nella propria abitazione crei un carico assistenziale difficilmente affrontabile» troppo pensate da gestire per figli e nipoti (quando ci sono). Perché lo squilibrio generazionale fa sì che un nipote rischia di ritrovarsi da solo a “gestire” 3/4 nonni da solo.

C’è quindi un sistema di assistenza, cura e partecipazione alla vita sociale degli anziani da rinnovare in questo ha spiegato la dott.ssa Ivana Finiguerra dell’ospedale San Luigi è cruciale il ruolo dell’infermiere di famiglia e di comunità che può rappresentare il trait d'union per favorire la domiciliarità. L’RSA potrà così essere una modalità di assistenza e di cura. Il volume curato da Guido Lazzarini e Silvia Vercellino dell’associazione Increase Domiciliarità e/o residenzialità per il benessere gli anziani non autosufficienti (Marcianum Press) fornisce una serie di indicazioni pratiche per i decisori pubblici perché i bambini degli anni cinquanta vivano bene anche negli anni duemila.


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