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Scatti che aprono una finestra sul carcere

Aperta fino al 6 novembre al Pac di Milano “Per me si va tra la perduta gente”, una mostra fotografica frutto di un nuovo progetto di Ri-scatti, l’associazione che dal 2014 propone la fotografia come strumento di riscatto sociale. Dietro gli obiettivi i detenuti e gli agenti della polizia penitenziaria della quattro carceri milanesi

di Antonietta Nembri

Una finestra aperta su un mondo sconosciuto ai più: il carcere. È questo l’ultimo progetto di Ri-scatti l’associazione di volontariato che da otto anni propone iniziative di riscatto sociale utilizzando la fotografia. Negli anni i workshop fotografici hanno indagato mondi diversi: dai senza dimora al Melting Pot milanese con “Multiculturalità e integrazione”, ma anche la ricerca di felicità degli adolescenti malati di tumore, il bullismo, i disturbi alimentari (vedi news) la prostituzione (vedi news).
Quest’anno l’obiettivo della macchina fotografica è entrato nelle carceri milanesi grazie al nuovo progetto che vede accanto all’associazione il Pac -Padiglione d’Arte contemporanea di Milano. Il progetto è promosso dal Comune di Milano con il sostegno di Tod’s e il patrocinio del ministero della Giustizia e realizzato con il Politecnico di Milano e il Provveditorato Regionale Lombardia del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Oltre le mura c'è sempre un mondo. Un mondo bellissimo

Sonny, autore della foto in apertura – Beccaria

Sopra un momento dell'inaugurazione, al centro la ministra Cartabia e Diego Della Valle – in basso un particolare delle opere esposte

Al taglio del nastro della mostra con le 800 immagini selezionate e realizzate dai detenuti e dagli agenti della polizia penitenziaria dei quattro istituti di detenzione milanesi: Casa di Reclusione di Opera, Casa di Reclusione di Bollate, Casa Circondariale F. Di Cataldo – San Vittore, Ipm C. Beccaria tra le autorità, accanto al sindaco di Milano Giuseppe Sala anche la ministra della Giustizia Marta Cartabia che ha voluto sottolineare da un lato sia come il mondo del carcere resti «sconosciuto anche al ministro della Giustizia», eppure in ogni istituto che ha visitato ci sono state «sorprese bellissime, iniziative nascoste, come sorprese brutte».
Cartabia ha inoltre ricordato come tra le cose peggiori vi sia «il tempo vuoto e senza senso». Per la ministra della giustizia la mostra milanese offre un servizio: è una finestra «che permette a noi di sbirciare la vita quotidiana del carcere», ma è anche frutto di un’iniziativa che vede «detenuti e polizia penitenziaria – due mondi distinti – che condividono la stessa quotidianità».


Le immagini in mostra sono frutto di quasi un anno di corso, 100 partecipanti (di cui 60 detenuti e 40 agenti di polizia) che ha prodotto oltre 50mila scatti fotografici realizzati, da cui sono stati selezionati gli 800 che sono esposti fino al 6 novembre al Pac di via Palestro. Quelle che i visitatori possono ammirare sono immagini che raccontano la realtà delle carceri dal punto di vista diretto di chi le abita e di chi le vive per lavoro. «Un lavoro di squadra», ha sottolineato Federica Balestrieri, fondatrice di Ri-scatti che ha ricordato come il progetto non sia stato un «lavoro semplice, ma che ha avuto il supporto di tutti e da tutto il mondo del carcere: dai direttori, ai comandanti, dai detenuti agli educatori».

Quasi un anno di lavoro, dunque, per un risultato che stupisce, incuriosisce e spiazza. Immagini belle, soprendenti e allo stesso tempo vere con un fil rouge: le finestre e i muri. Finestre che guardano fuori, immagini di cieli infuocati, tramonti e sbarre. E poi corridoi, particolari di persone e momenti della quotidianità con i visitatori della mostra che si trovano come a spiare un mondo chiuso e che rimane sconosciuto. Per chi non varca quella soglia che segna la linea di separazione tra il vivere e il sopravvivere, tra il tempo che passa e l’immutabilità dei giorni. Quello che è importante nel nostro quotidiano – si legge in una nota – diventa spesso privo di senso nelle sezioni detentive, e quello che invece è vitale dietro le sbarre è pressoché insignificante per noi. Una realtà che alimenta i peggiori fantasmi e che suscita sentimenti contrastanti di attrazione e di repulsione, di paura e di curiosità.

Le carceri non sono solo affollate di detenuti, sono affollate di esseri umani che non possono essere lasciati soli, che devono essere aiutati a salvarsi dalla loro stessa “perduta vita”, dalla loro convinzione di non avere più alcuna possibilità di riscatto, da quella loro visione della “scomparsa del futuro”.

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Nella gallery alcuni degli scatti esposti al Pac

Come nell’inferno dantesco cui si richiama il titolo della mostra “Per me si va tra la perduta gente”, l’ingresso in carcere rappresenta l’inizio di una discesa, tortuosa e inevitabilmente dura. Un percorso che, nell’interesse anche della collettività, dovrebbe concludersi con un’uscita “a riveder le stelle” (fisica o simbolica che sia per coloro che effettivamente dal carcere non usciranno mai), affinché il desiderio di giustizia non si trasformi in vendetta.

Legata alla mostra, con la vendita dei cataloghi e delle fotografie, la raccolta fondi che finanzierà interventi architettonici per il miglioramento della qualità della vita nelle carceri. Attività che saranno gestite e coordinate dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano che, insieme al Dipartimento di Design, dal 2014 svolge ricerche di tipo partecipativo negli spazi detentivi attraverso Laboratorio Carcere. Il prossimo spazio di ricerca sarà l’Off-Campus San Vittore.

La mostra al Pac di via Palestro a Milano è a ingresso gratuito (ore 10 – 19,30 – giovedì fino alle 22,30). Chiuso il lunedì

Alcune immagini della mostra


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