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Economia & Impresa sociale 

Nasce l’osservatorio sulla sostenibilità sociale d’impresa

Fondazione Sodalitas dà il via a un’indagine continuativa sull’impegno delle aziende nel campo della creazione di benessere per le comunità e in generale per il fattore “Esse” dei principi Esg. Si richiama il ruolo delle realtà di piccola e media dimensione, che in Italia rappresentano l’ossatura dell’economia

di Nicola Varcasia

Il tema della sostenibilità sociale è decisivo. Anzi, dal prossimo e per alcuni anni sarà il fattore centrale per il nostro Paese. È questa la provocazione lanciata da Alessandro Beda, consigliere delegato di Fondazione Sodalitas, nell’annunciare la nascita di un Osservatorio permanente sulla sostenibilità sociale d’impresa, promosso assieme a WaldenLab e Csr Europe. Una provocazione suffragata dall’analisi dei primi risultati dell’Osservatorio – anticipati in parte il mese scorso nell’ambito del Salone della Csr e presentati il 15 novembre scorso con il primo Rapporto promosso dalla fondazione – che hanno evidenziato un bisogno crescente di attenzione alla dimensione sociale. Una rilevazione in sintonia con quanto emerso nel numero di ottobre di VITA dedicato alla “Esse debole” all’interno dei principi Esg, che determinano a livello aziendale e finanziario lo status quo dell’impegno in fatto di sostenibilità.

Questa prima edizione dell’Osservatorio è stata condotta con una metodologia qualitativa, tramite interviste personali a un ristretto ma qualificato campione di soggetti esperti. Sono stati intervistati: sedici opinion leader oaccademici, dieci membri di Csr Europe, dodici CSR Manager di imprese scelte da Sodalitas in quanto ritenute eccellenti sotto il profilo dell’impegno in sostenibilità ambientale e sociale. È stata inoltre effettuata l’analisi di 16 Bilanci di sostenibilità al fine di rilevare gli ambiti e le modalità di impegno sociale da parte delle imprese. Dal Rapporto del prossimo anno le rilevazioni avranno anche una dimensione quantitativa.

Tra le principali evidenze emerse dall’indagine vi è il fatto che a causa della drammaticità dell’emergenza climatica, nel corso degli ultimi anni, l’impegno in sostenibilità è stato in prevalenza identificato – dai media, dall’opinione pubblica e in buona parte dalle imprese – con l’impegno sul fronte ambientale. Tuttavia, l’aggravarsi delle crisi sociali – la crescita della povertà, l’aumento delle diseguaglianze – sta determinando una crescente attenzione al sociale su cui si innesta la previsione di un ulteriore probabile peggioramento dovuto al protrarsi della crisi economica ed energetica, alle ricadute sociali della crisi ambientale e agli inevitabili costi sociali della transizione ecologica e digitale. Da qui deriva la consapevolezza della necessità di un maggiore impegno “sociale” da parte di tutti gli attori pubblici e privati e in particolare delle imprese che sono chiamate ad agire su un duplice fronte: interno (i dipendenti) ed esterno (la comunità di appartenenza).

In particolare, dalle imprese ci si attende un impegno rivolto a migliorare vari aspetti “sociali”, tra i quali la qualità del lavoro, il benessere dei dipendenti in azienda, ma anche e al tempo stesso migliorare la qualità della vita delle comunità dove l’impresa opera. Senza tralasciare la promozione di politiche attive per i giovani per valorizzarli e motivarli e per ridurre le diseguaglianze, siano esse sociali, geografiche, di generazione o di genere.

Decisivo è risultato il tema della misurazione dell’impatto delle iniziative messe in atto. A differenza dell’impegno ambientale che dispone di indicatori numerici (ad esempio la riduzione delle emissioni, il risparmio energetico o idrico) l’impegno sociale viene oggi quasi sempre “narrato” in modo qualitativo ovvero senza l’utilizzo di indicatori numerici. Questo rende problematica la misurazione dei progressi nel tempo e il confronto tra realtà differenti. E rende anche più facile e meno verificabile il rischio di social washing. Un freno, collegato alla difficoltà nella rilevazione, all’impegno in SSI da parte delle imprese è costituito dalla maggiore difficoltà a valutarne il ritorno economico e questo fa sì che – a differenza dell’impegno ambientale che può generare tangibili risparmi (di acqua, di energia, di materie prime…) e goodwill da parte dei consumatori – venga spesso considerato un costo piuttosto che un investimento.

Interessante, in proposito, lo sguardo che questa indagine ha dato sul sentiment delle imprese europee a riguardo. Nei paesi europei, secondo la rilevazione di WaldenLab, emerge una maggiore attenzione e competenza sul tema della misurazione, elemento indicato come decisivo per garantire la trasparenza delle organizzazioni. Viene evidenziata la necessità della messa a punto di standard e indicatori condivisi con terze parti e altre imprese e di una loro adozione su base omogenea assieme, da un lato, all’esigenza di una maggiore informazione e formazione sulle metodologie esistenti, quali lo Sroi e, dall’altro all’l’importanza di utilizzare indicatori anche non finanziari

Lo studio rimarca però un punto essenziale: il nesso tra benessere in azienda e produttività. Le imprese leader sul piano sociale sono più redditizie e riescono più facilmente ad attrarre e trattenere i giovani talenti più qualificati. Inoltre un buon radicamento territoriale è fattore competitivo in quanto generatore di buona reputazione e buone relazioni a livello locale e non solo. Alla luce di quanto emerso da questa prima esplorazione appare opportuna una gestione più co-ordinata delle iniziative in ambito sociale in termini di responsabilità di gestione – oggi frammentata fra diversi centri di decisione aziendale – ed un maggiore investimento in comunicazione al fine di dare visibilità e valorizzare le iniziative attuate. Il benessere delle persone appare come il possibile valore-guida unificante in grado di connettere l’impegno interno e l’impegno esterno dell’impresa e il volontariato d’impresa la pratica virtuosa in grado di generare benessere sia per i dipendenti che per la comunità di appartenenza.


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