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Cooperazione & Relazioni internazionali

Afghanistan, senza le donne la cooperazione salta

Il Paese è in ginocchio: 28,3 milioni di persone avranno bisogno di assistenza umanitaria nel 2023. L’Afghanistan resiste solo grazie al supporto delle ong, ma dopo il divieto, imposto dai talebani, di impiegare le donne nelle organizzazioni, la situazione è critica. Alcune ong hanno sospeso le attività, altre senza il personale femminile non avrebbero le risorse per mandare avanti i progetti

di Anna Spena

In Afghanistan lo scorso 24 dicembre il ministro dell’economia Qari Din Muhammad Hanif ha inviato una lettera all'organizzazione Acbar, Agenzia Coordinating Body for Afghan Relief & Development (un organismo indipendente afghano che riunisce 183 ong nazionali e internazionali che lavorano in Afghanistan) con oggetto “interruzione del lavoro del personale femminile delle organizzazioni nazionali e internazionali fino a nuovo avviso”.

Il divieto

La giustificazione? “Secondo le informazioni più recenti”, si legge nel documento, “ci sono state lamentele riguardo alla mancata osservanza dell'Hijab islamico e di altre norme e regolamenti riguardanti il lavoro delle donne nelle organizzazioni nazionali e internazionali. Il Ministero dell'Economia, in base alla responsabilità che ha in termini di applicazione delle norme e dei regolamenti dell'Emirato Islamico dell'Afghanistan, ordina a tutte le organizzazioni di interrompere il lavoro delle donne nelle loro organizzazioni fino a nuovo avviso. In caso di mancata osservanza della suddetta direttiva, la licenza dell'organizzazione rilasciata da questo Ministero sarà annullata”.

L'Afghanistan sta precipitando

Un numero record di 28,3 milioni di persone – circa due terzi della popolazione – avrà bisogno di assistenza umanitaria e di protezione nel 2023. Si tratta di un aumento rispetto ai 24,4 milioni di persone del 2022 e ai 18,4 milioni dell'inizio del 2021. Circa 20 milioni di persone dovranno affrontare la fame acuta entro la fine di marzo 2023 e i tassi di malnutrizione rimangono estremamente elevati con quattro milioni di bambini e donne che devono affrontare la malnutrizione acuta. Sei milioni di persone sono vicine alla carestia. Il deterioramento dell'economia ha causato una forte diminuzione del reddito, un aumento del debito e un'elevata disoccupazione. A causa del forte aumento dei prezzi delle materie prime, le persone spendono oggi il 71% del loro reddito per il cibo. Ciò significa che hanno meno da spendere per altri bisogni primari ma essenziali, come l'istruzione e l'assistenza sanitaria. Per migliorare i mezzi di sussistenza delle famiglie, rafforzare le opportunità economiche e preservare i servizi di base, è fondamentale ripristinare i sistemi finanziari e commerciali e aumentare l'assistenza internazionale allo sviluppo.

Le donne sono essenziali per la cooperazione

Le banche hanno riaperto, ma i fondi della banca centrale afghana sono ancora bloccati dal governo americano. Di fatto il Paese in questi mesi è andato avanti solo grazie al supporto delle ong. Però ora le organizzazioni ora sono in estrema difficoltà perché gran parte dello staff impiegato è fatto da locali, soprattutto da donne. ActionAid, impiega 97 donne, l’ong ha assistito, come le altre, alla graduale erosione dei diritti umani delle donne in Afghanistan con la chiusura delle scuole secondarie per quasi nove mesi e il successivo divieto di accesso all’università. «L’ultima direttiva emanata il 24 dicembre», spiega l’organizzazione, «che impedisce alle donne di lavorare con agenzie umanitarie come ActionAid avrà conseguenze devastanti per le persone che contano sul loro sostegno. Le donne sono essenziali per qualsiasi operazione di aiuto umanitario, tanto più nel contesto dell'Afghanistan, dove solo le donne possono interagire con le donne. Abbiamo preso la difficile decisione di sospendere temporaneamente la maggior parte dei suoi programmi in Afghanistan fino a quando non emergerà un quadro più chiaro. Rimarremo in stretto contatto con partner, donatori e funzionari governativi per consentire, non appena possibile, un'inversione di queste direttive».

Anche l’ong Italiana Intersos ha momentaneamente sospeso le attività in attesa di capire gli sviluppi: «Con noi lavorano 340 donne in Afghanistan», spiega l’organizzazione. «Al di là delle questioni di principio, è cruciale per le attività che svolgiamo: si tratta in larga misura di attività salvavita, quindi in gioco c'è la vita di persone che dipendono dalla nostra assistenza. Ci aspettiamo che questo annuncio venga annullato, in quanto tale divieto rappresenterebbe un inaspettato e inaccettabile passo indietro rispetto a quanto previsto e impedirebbe l’attuazione di attività umanitarie fondamentali, con una conseguente riduzione degli aiuti forniti alle persone più vulnerabili nella società afgana, e quindi, con il rischio di mettere in pericolo un ulteriore, imprecisato, numero di vite. Ora è in corso un delicato confronto tra ong, agenzie internazionali e autorità talebane».

L'impiego delle donne nel lavoro è una condizione necessaria per portare avanti le attività umanitarie in corso. «Per i diritti umani e in particolare per le donne afghane, il ritorno al potere dei talebani ha comportato una graduale ma costante e forte imposizione di restrizioni e discriminazioni», spiega WeWorld. «Le donne non possono più lavorare né allontanarsi oltre 50km da casa senza essere accompagnate da un membro maschile della famiglia, devono indossare un abaya – lungo abito che copre tutto il corpo – e coprirsi il volto negli spazi pubblici. Sono oltre 2 milioni le donne capofamiglia, rimaste sole a causa dell'alto tasso di uomini morti nei recenti conflitti, della pandemia e di altre malattie diffuse. Le restrizioni imposte rendono loro di fatto impossibile lavorare o anche solo chiedere l'elemosina, è raro quindi che possano contare su una fonte di reddito. Questa privazione d'indipendenza economica mette in pericolo la sopravvivenza e l'accesso al cibo, per loro e la loro famiglia. In questo momento la situazione è molto delicata, stiamo lavorando in sinergia con altre ong, gli alti rappresentanti delle Nazioni Unite e le autorità de facto del Paese, sperando che portino ad una revisione e annullamento del provvedimento che colpisce le donne lavoratrici umanitarie. Siamo molto preoccupati in quanto una sospensione prolungata delle operazioni di aiuto umanitario in particolare a supporto delle donne afghane potrebbe avere effetti catastrofici sulle loro vite».

Il divieto non riguarda (ancora) le ong sanitarie

Emergency non lascerà il Paese perché, come spiega, il divieto non riguarda le ong sanitarie ma: «esprimiamo grande preoccupazione in merito al recente annuncio del Ministero dell’economia afghano secondo il quale organizzazioni non governative, sia nazionali che internazionali, non potranno più assumere donne afgane. Si tratta di un ulteriore provvedimento che mina i diritti delle donne e punta a ridurre il loro ruolo in diverse sfere della vita pubblica, dall’educazione al lavoro. Il personale sanitario non rientra nel provvedimento previsto dalla legge, ma Emergency chiede comunque alle autorità di riconsiderare questa decisione e permettere alle donne di continuare a contribuire allo sviluppo del loro Paese». L’ong è presente in Afghanistan dal 1999 e ha garantito cure a più di 8 milioni di persone, attualmente gestisce tre centri chirurgici, un centro di maternità e 41 posti di primo soccorso distribuiti nel Paese. Nel suo staff include e forma afghani in tutte le sue strutture; dello staff nazionale fanno parte 365 donne, 21% del totale. «Le colleghe afghane», spiega l'ong, «sono una componente fondamentale del team, e permettono di curare pazienti donne che senza di loro correrebbero altrimenti il rischio di venire escluse dall’assistenza sanitaria». Il Centro di Maternità di Emergency ad Anabah, nella Valle del Panshir, è completamente gestito da donne e dal 2003 assicura cure prenatali, parti e cure postnatali a madri e bambini, contando oltre 470.000 visite ambulatoriali, 97.000 ricoveri e 73.000 nascite. «Qualsiasi tentativo di proibire l’assunzione di donne afghane avrà un impatto importante sulla capacità del personale di Emergency di fornire cure e danneggerà, soprattutto, le attività rivolte a donne e bambini, incluse le prestazioni legate alla maternità, quelle ginecologiche e pediatriche». Anche Medici Senza Frontiere l’ha ripetuto: «abbiamo iniziato a lavorare in Afghanistan più di 40 anni fa e da allora abbiamo fornito cure mediche a milioni di persone. Sono le donne a renderlo possibile. Senza di loro, non ci può essere assistenza sanitaria».

Credit foto Intersos/Afghanistan


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