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Cosa fare con il senzatetto Carlo?

Il racconto di un incontro: quello dell'autore di questo articolo e di una persona che ogni notte "sceglie" di dormire al gelo del gennaio torinese: «È il problema del rapporto tra amore e libertà: l'aiuto ha come limite la libertà della persona, l'aiuto ha un confine oltre il quale la persona non ti permette di accedere. Ma se una persona rischia la vita si può rispettare la sua libertà? E poi quanta consapevolezza c'è? Quanta libertà c'è in questa libertà?»

di Fabrizio Floris

A Torino di questi tempi le notti sono gelide e anche di giorno fa molto freddo, ma lui dice che sta bene che «non è poi così rigido il tempo». Si chiama Carlo e per coprirsi ha un sacco a pelo e un telo di plastica. Dal giardino non vuole spostarsi, ha il terrore di andare in posti dove viene registrato, perché i "nemici" verrebbero a prenderlo immediatamente: «Devo essere un fantasma, potermi allontanare velocemente» e il freddo è meno terrificante, fa meno paura, dei suoi incubi. In tanti gli abbiamo proposto qualche alternativa che hai nostri occhi sembrava essere migliore del passare l’inverno in una panchina, perché noi vediamo il "corpo", non la mente della persona.

Se gli parlo dei problemi di qualcuno o di mie difficoltà personali è subito reattivo, interessato e accudente. Se invece si parla di lui, ad esempio, di cercare una sistemazione per l'inverno è sfuggente: «Dipende se qua (i nemici, quelli che mi controllano) mi fanno stare, se mi lasciano in pace, poi precisa «non posso andare in nessun posto perché quelli che hanno preparato la mia distruzione mi saltano addosso». Da come parla è come se ci fosse qualcuno che vuole che stia li, se fa qualcosa in più gli fanno del male.

La sua libertà si intreccia con il mio dolore di vederlo, di lasciarlo lì al freddo e al gelo. È lucido, assertivo, fermamente convinto della sua scelta e come si diceva una volta «nessuno può essere libero al posto tuo», non puoi determinare la libertà di un altro.

È il problema del rapporto tra amore e libertà: l'aiuto ha come limite la libertà della persona, l'aiuto ha un confine oltre il quale la persona non ti permette di accedere. Ma se una persona rischia la vita si può rispettare la sua libertà? E poi quanta consapevolezza c'è? Quanta libertà c'è in questa libertà? Penso che un genitore di fronte al tentativo di suicidio di un figlio non si ferma e dice questa è la tua libertà la rispetto, ma lotta perché tutta la sua vita è intrecciata alla vita del figlio. Il rapporto tra amore e libertà non può essere un rispetto asettico, ma deve essere appunto lotta.

Carlo dice di conoscere il potere che lo inchioda a quella panchina e non c’è possibilità, non c’è remissione, non c’è speranza. Sa che la mente è più forte del corpo e intanto che il corpo c’è, c’è, c’è e non trova riparo. È necessario intrecciare la nostra vita, il nostro destino alla vita delle persone che vogliamo aiutare non solo come singoli, ma come organizzazioni, come istituzioni, lottare fino all’aurora.


foto: la vista delle Alpi dal quartiere dove vive Carlo, che per motivi di sicurezza personale non ha voluto farsi fotografare


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