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Cooperazione & Relazioni internazionali

Ucraina, una psicologa per aiutare le mamme ad andare oltre l’emergenza

Giovanna Beck è la psicologa che ha tenuto per tutto il 2022 lo sportello voluto dal Ciai per i profughi ucraini: ha seguito una ventina di situazioni, accompagnando mamme e ragazzi, famiglie accoglienti e insegnanti alle prese con l'inserimento degli alunni. «Delle donne ammiro la grande voglia di ricominciare. La solitudine dei ragazzi è un problema», dice

di Sara De Carli

«Devo essere sincera, mi ha colpito tantissimo la grande voglia di ripartire che ho visto in queste donne, nonostante tutte le difficoltà che hanno incontrato: vedere quante risorse interiori hanno saputo mettere in campo. Perché non si tratta “solo” di un anno di guerra, in realtà ascoltando le loro storie è chiaro come fossero famiglie già provate, come avessero già alle spalle storie di separazione, di allontanamenti dai propri affetti, di frammentazione delle esistenze. E nonostante questa lunga esperienza di prova, hanno la voglia di ricominciare». Giovanna Beck, psicologa, parla così delle famiglie fuggite dall’Ucraina che ha accompagnato attraverso uno sportello psicologico gratuito voluto dal Centro italiano aiuti all’infanzia-Ciai. Il progetto, avviato poche settimane dopo l’inizio della guerra e proseguito per tutto il 2022, ha dato sostegno ai nuovi arrivati, alle famiglie accoglienti e a insegnanti alle prese con l’inserimento di alunni e studenti ucraini. Sono state una ventina le situazioni accompagnate per questi mesi – tutte mamme con figli – coinvolgendo generalmente entrambe le parti, le persone accolte e quelle accoglienti.

«I racconti della guerra sono molto duri, parlano di un mondo cambiato all’improvviso, della fuga con solo quel che avevano addosso. Per le donne, la sofferenza maggiore è legata agli interrogativi sul benessere dei figli e all’aver dovuto lasciare in Ucraina molti affetti, a cominciare dai compagni. Lo stesso per i ragazzi: aver lasciato il papà, la scuola, i compagni… Comunicare e mantenere un legame con i compagni e i papà è tuttora difficile e c’è la preoccupazione enorme del non rivedersi più. Noi abbiamo lavorato con le mamme, a beneficio dei bambini. Il tema adesso per tutti loro è trovare il modo di far convivere il loro essere in Italia ma con il cuore e la testa in Ucraina», racconta Beck. Il Ciai sta lavorando per trovare nuovi finanziamenti che consentano la ripresa dello sportello, «perché i bisogni non sono terminati».

Mettersi al sicuro, avere una casa in cui stare e la possibilità di nutrirsi e vestirsi è tanto, tantissimo. Ma non basta. «Ci siamo accorti che le persone arrivate non avevano solo bisogni materiali ma anche di essere accompagnati in uno stravolgimento di vita così grande, con la separazione dalle persone care, dalla loro terra, dalla loro vita di prima. L’altro aspetto ha riguardato le famiglie accoglienti, che hanno aperto casa con slancio e generosità: chiaramente però conciliare l’accoglienza immaginata con la realtà della convivenza, soprattutto rispetto al tema della durata, non sempre è stato semplice», spiega Beck. Se nei primi mesi i bisogni erano molto legati all’essere spaventati dalla guerra e all’aver lasciato l’Ucraina, con tanti sintomi post traumatici, con il passare del tempo il grande problema è diventato il riorientarsi: resto in Italia, torno in Ucraina, vado in un altro paese? I figli nella scuola italiana, sì, no, come? E come stanno? Cerco un lavoro, ma quale? È il grande tema della ricostruzione, una volta che mi sono messa in salvo – anche se resta la preoccupazione per chi è rimasto – scatta la domanda “cosa ne faccio della mia vita e di quella dei miei figli?”».

Per quanto riguarda l’inserimento a scuola (secondo un report di Unhcr il 20% dei minori ucraini presenti in Italia non frequenta una scuola italiana e secondo i dati del Ministero il 20 dicembre 2022 risultavano iscritti nelle scuole italiane 19.617 studentesse e studenti ucraini, a fronte di 61mila minori che hanno presentato domanda per protezione temporanea), Beck racconta che «alla fine per quanto riguarda il nostro osservatorio la grandissima parte è stata iscritta a scuola anche per l’opportunità che la scuola rappresenta di rientrare nel mondo sociale. Il grande isolamento di questi ragazzi è un problema importante». La psicologa racconta del desiderio di fare bene che ha trovato negli insegnanti, lo slancio, l’interesse ad arrivare davvero all’inclusione. L’estate per tanti versi è stata un giro di boa, con alcuni alloggi che sono diventati indisponibili e la necessità di ricominciare ancora un’altra volta. «Con questo senso di precarietà e incertezza, è difficile fare progettazione».

L’anno passato dal 24 febbraio 2022 non ci restituisce solo un catalogo degli orrori, ma anche un’infinità di bene, di azioni che hanno il merito non solo di sostenere le vittime ma anche di indicare la via per un futuro desiderabile, non più di guerra ma di pace e perciò di fraternità. Il numero di VITA di febbraio racconta queste esperienze in Ucraina, nei paesi confinanti, in Italia. Altre le leggerete qui sul sito.


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