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Un anno di accoglienza agli ucraini: un Paese con le porte aperte

Abbiamo dedicato un intero capitolo di VITA magazine di febbraio al racconto di tutto ciò che si è messo in moto in Italia per accogliere i 170mila rifugiati ucraini giunti nel nostro paese: mai si era vista tanta mobilitazione attiva. Poche polemiche, ma tanto impegno, tanta inventiva e tanta fatica. Così moltissime famiglie e realtà del Terzo settore hanno scritto una pagina straordinaria della storia del nostro Paese. Nel nome dell’accoglienza e dell’inclusione

di Sabina Pignataro

Straordinaria, enorme, massiccia, spontanea, caotica. Bellissima. Ma talvolta improvvisata, e poco governata. E’ così che potremmo riassume l’accoglienza attivata in Italia nei dodici mesi successivi allo scoppio del conflitto in Ucraina. Come raccontiamo nel VITA magazine di febbraio, mai si era vista una mobilitazione così massiccia come quella a favore dei 170mila ucraini entrati in Italia in questi dodici mesi.

Da parte dei singoli cittadini, delle organizzazioni e anche del Governo, che ha dato alla Protezione Civile il compito straordinario di cercare soluzione di accoglienza diverse da aggiungere a consueti Sai (Sistema accoglienza integrazione) e Cas (Centri Accoglienza Straordinaria). Il decreto del 21 marzo ha introdotto per la prima volta la possibilità di reperire “alloggi extra” attraverso misure di accoglienza diffusa, in coabitazione presso famiglie o in alloggi messi a disposizione da Enti del Terzo settore o altri soggetti privati. Le norme sono state di straordinaria importanza perché per la prima volta il Terzo settore è stato riconosciuto come protagonista, insieme allo Stato, della risposta da dare a chi chiede aiuto.

A pagina 42 e 43 del magazine troverete una cartina che restituisce a vista d'occhio il contributo offerto dalle associazioni per un'accoglienza diffusa.

Di fronte a numeri così importanti, era davvero necessario fare qualcosa di extra – ordinario, e così hanno fatto gli italiani «con quel senso di accoglienza che è l’orgoglio del nostro Paese», per ricordare le parole dell’allora presidente del Consiglio Mario Draghi.

Dallo scoppio della guerra ad oggi le Caritas hanno accolto circa 13mila profughi ucraini. A Milano, osserva Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana, «l’attivazione è stata spontanea e capillare, davvero ammirevole, esempio di autentica “carità di popolo”. Tuttavia, pur nella fatica determinata da numeri elevati e tempi lunghi, ogni intervento è stato finalizzato a garantire non solo sopravvivenza, ma anche e soprattutto dignità, autonomia, autostima, speranza in un futuro migliore, di autentico cambiamento».

Sono state moltissime le associazioni che fatto fronte all’emergenza attraverso l’offerta di luoghi di accoglienza e la ricerca dei beni e materiali necessari alla popolazione in fuga dalla guerra. Tra questi. Progetto Arca e Banco Alimentare hanno offerto cibo, vitto, alloggio, assistenza sanitaria, sostegno socio-psicologico, formazione, supporto legale, mediazione linguistica e culturale, lezioni di italiano. Fondazione Archè ha abbracciato la dimensione del lungo periodo, accogliendo a San Benedetto del Tronto famiglie ucraine e favorendo il loro percorso di inserimento nella comunità. Alcuni, come Cittadinanzattiva Emilia-Romagna, hanno attivato degli sportelli dedicati al sostegno burocratico. AVSI ha inaugurato il centro #HelpUkraine a Milano per rispondere ai bisogni dei rifugiati ucraini che stavano arrivando nel capoluogo lombardo, considerata una delle principali città di transito dei profughi. Save the Children ha aiutato in Italia 5mila bambini e 5mila adulti.

Spazio Aperto Servizi, in collaborazione con Fondazione Laureus, si è concentrata sull’accompagnamento educativo e sportivo. La stessa cosa ha fatto il CSI, dando la possibilità a oltre seicento bambini rifugiati di praticare calcio, basket, atletica, nuoto e ginnastica. CIAI ha attivato uno sportello psicologico anche per le persone di cittadinanza ucraina già presenti in Italia che erano angosciate per la sorte dei loro parenti rimasti in Ucraina. Sono state centinaia le esperienze positive e di riscatto, come quella di Natalia, madre di due figlie, che grazie ad Associazione Don Bosco 2000 è riuscita a ricostruire la sua vita e quella delle bambine in Sicilia. In campo anche Sos Villaggi dei Bambini, che fin da giugno 2022 si è spesa per sostenere le famiglie di rifugiati con bambini, e in particolare quelle monoparentali e i minori non accompagnati che hanno trovato rifugio in nelle città Italiane di Trieste, Trento, Milano e Palermo.

Alcuni enti, tra cui Fondazione Don Gnocchi e Uildm, hanno fatto il diavolo a quattro per portare in Italia bambini e adulti con disabilità e malattie gravi per offrirgli la possibilità di proseguire qui le proprie cure. Afmal ha offerto visite mediche gratuite ai bambini profughi e alle mamme in alcuni luoghi di Roma. Le Misericordie, che hanno organizzato attività di accoglienza sociale nelle 700 sedi operative, hanno portato in Italia oltre 300, tra minori e persone ammalate o con disabilità. Ail, Associazione Italiana contro Leucemie, e la Fondazione per l’Infanzia Ronald McDonald hanno accolto alcune famiglie di bambini oncologici. Avis Nazionale ha addirittura allargato la propria mission attivando una raccolta fondi speciale per mettere in salvo famiglie, medici e pazienti affetti da malattie rare. Ospedali come il Bambino Gesù, il Gaslini di Genova e il Fatebenefratellli di Milano, hanno accolto bambini ucraini e donne in gravidanza.

Se con la memoria potessimo tornare a febbraio – inizio marzo ricorderemmo pulmini, macchine private, camion che iniziano a fare la spola tra le città bombardate e le nostre; una marea di persone al telefono con le parrocchie, le associazioni, le ong, l’ambasciata ucraina o il consolato per dare una mano, per dire: “io ho posto, possono stare da me, posso accoglierle io”. Alla famiglia Frassinelli, una delle prime in Italia ad aver spalancato la propria casa, è bastata una mail al Consolato Generale d'Ucraina a Milano per accogliere, in appena 24 ore, quattro persone ucraine fuggite dai bombardamenti. Il loro è il caso più noto, per la velocità con cui si sono mossi. Ma come loro sono state centinaie le famiglie pronte ad accogliere.

Nella nostra inchiesta mettiamo in luce come i mesi tra luglio e agosto siano stati momenti significativi che hanno cambiato il ritmo e i colori di questa accoglienza. Tre i motivi. Il primo: l’accoglienza in famiglia, quella spontanea che era sorta in maniera destrutturata all’inizio del conflitto, ha cominciato a scricchiolare. Il secondo: molte donne e bambini ad agosto hanno intrapreso un viaggio di ritorno, verso casa, convinti che il conflitto sarebbe terminato presto. Terzo motivo, che riguarda specificatamente il livello di coinvolgimento degli italiani; quell’interesse e quella solidarietà che avevano ripetutamente portato in piazza migliaia di persone sembrava si stessero pian piano affievolendo.

Un’attenzione particolare merita il tema dei minori stranieri non accompagnati, per i quali, come testimoniato da Telefono Azzurro, era forte il rischio di tratta e sfruttamento sessuale.

Interessante e positiva, invece, è stata l’accoglienza avviata in un comune della bergamasca, dove un paesino di 900 anime ha accolto 92 minori non accompagnati. Il progetto è iniziato il marzo scorso e prosegue ancora: il sindaco ci ha raccontato come si sono organizzati dal punto di vista logistico ed economico. (Troverete un'intervista dedicata)

L'ultimo paragrafo dell'inchiesta, infine, è dedicato all'analisi di quel che è stato messo in piedi e di quel che resta di questo grande flusso di persone e di mobilitazione. Più di nove persone su dieci hanno presentato la richiesta di permesso di soggiorno per protezione temporanea presso le Questure. Sono ancora in Italia? Vorrebbero iniziare una nuova vita qui? Difficile dirlo. In questa riflessione ci hanno aiutati a ragionare Chiara Fiocchi di Refugees Welcome e gli esperti di Junior Achievement.

Per provare a immaginare i progetti di futuro dei profughi ucraini, un indicatore da non sottovalutare è quello che proviene dal mondo della scuola (quanti sono gli studenti ucraini? E perchè sono così pochi? Cosa fanno gli altri?) e dal mondo del lavoro: alcuni hanno trovato impiego nella cura delle persone fragili, tanti altri invece stanno seguendo dei programmi di formazione specifici, come quelli promossi da Consorzio Elis.

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A un anno dall’aggressione della Russia, vi propponiamo una serata (il 20 febbraio, a Milano) per interrogarci su quale sia la pace possibile per l’Ucraina. E per capire cosa possiamo fare noi. Subito. Lo faremo ascoltando le testimonianze dei pacificatori. Ingresso libero sino a esaurimento posti, perciò meglio accreditarsi qui

In apertura, alcuni ragazzi ucraini accolti nelle strutture sportive del CSI


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