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Trapianti e consenso, Sardegna in controtendenza al Sud

I dati ufficiali del Centro nazionale trapianti dicono che l'Isola mostra una certa sensibilità verso un problema che ha soprattutto radici culturali, ma talvolta si paga una non corretta informazione. Un tavolo tecnico è chiamato a revisionare la legge 91 del 1999. La storia del 14enne Marco, morto a causa di un grave incidente stradale: i suoi organi hanno permesso a quattro persone della penisola di continuare a vivere

di Luigi Alfonso

La Sardegna è terz’ultima nella classifica delle opposizioni alla donazione: soltanto 24 persone su 100 hanno detto “no, grazie” nel corso del 2022 (l’anno prima il dato era praticamente identico: 24,3%). L’Isola va perciò in controtendenza rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno. Dai dati pubblicati sul sito del Centro nazionale trapianti, si evince che le più virtuose in Italia sono state la provincia autonoma di Trento (19,7%) e la Valle d’Aosta (22,2%). La media nazionale è stata del 31,8%, la regione fanalino di coda è la Sicilia (40,6%). La Sardegna ha due città, tra quelle virtuose con popolazione superiore ai centomila abitanti, piazzate tra i primi dieci posti a livello nazionale per indice del dono: Cagliari è quinta (i Sì hanno rappresentato il 79,1%, i No il 20,9% e gli astenuti sono stati il 42,2%) mentre Sassari è sesta (con un 81,7% di Sì ma anche con un 48,3% di astenuti). Va precisato che l’indice del dono tiene conto di tutte e tre le voci.

Tra le città medio-grandi (30mila-100mila abitanti), Nuoro si piazza al primo posto (81,1% di Sì e 33,7% di astenuti) e Alghero all’ottavo posto (81,1% di Sì ma 41,9% di astenuti). Tra i Comuni medio-piccoli, con 5mila-30mila abitanti, Lanusei è al sesto posto (i Sì hanno raggiunto il 91,7%, gli astenuti sono stati il 38,7%) e Oliena settimo (con uno straordinario 95,2% di Sì ma un 46,2% di astensioni). Invece, nella classifica dei Comuni piccoli (cioè con meno di cinquemila abitanti), nei primi dieci posti troviamo ben tre paesi sardi: Cardedu è terzo (96,3%-15,5%), Morgongiori quarto (88,5%-10,3%) ed Elini decimo (con un eccellente 97,2% di Sì e un 32,1% di astensioni). Infine, la Sardegna ha tutte le province al di sopra della media nazionale dell’indice dono: Nuoro è addirittura prima, Sassari sesta, Oristano nona, il Sud Sardegna sedicesimo e la Città metropolitana di Cagliari 23esima.

Lorenzo D’Antonio, anatomo-patologo, dal 2019 direttore del Centro regionale trapianti Sardegna, ha una chiave di lettura di questi dati: «È vero che al Sud ci sono percentuali di opposizione alle donazioni che oscillano tra il 35 e il 40%, mentre al al Centro e al Nord troviamo regioni mediamente più virtuose, ma un po’ in tutto il Paese si deve lavorare per recuperare il terreno perduto», spiega il dottor D’Antonio. «Ci sono due aspetti di cui tenere conto: uno è il consenso che ci viene richiesto quando ci rechiamo al Comune di residenza per aggiornare il documento d’identità; l’altro è il consenso che viene chiesto ai familiari, quando un loro congiunto presenta una morte encefalica causata da una acuta. Il medico rianimatore si mette in contatto con il Centro regionale trapianti e chiede se la persona deceduta avesse dato, in vita, il proprio consenso al prelievo degli organi. In caso contrario ci si deve rivolgere agli aventi diritto, cioè ai familiari diretti: e lì non tutti si comportano allo stesso modo. Spesso si perdono delle chance di aiutare una o altre persone che attendono un organo».

«Ciò che accade all’ufficio anagrafe è l’altra faccia della stessa medaglia, frutto di una non partecipazione a un contesto sociale che riguarda tutti, perché tutti noi potremmo un giorno avere necessità di un trapianto d’organo per continuare a vivere. La malattia non fa distinzioni di censo, razza, cultura o estrazione sociale. Non guarda in faccia nessuno. Tutti noi dovremmo sentirci coinvolti. È un problema culturale e anche di contesto sociale, spesso certe tematiche non sono adeguatamente approfondite. Non sono un sociologo ma osservo ciò che accade, e vedo una realtà che è carente. Forse al Sud ci sono realtà dove questa tematica è poco sentita, o forse alla gente è stata spiegata poco e male. Ecco perché gli sforzi che stiamo facendo in Sardegna, ai quale partecipano in maniera massimale le Associazioni di trapiantati, punta molto sulle attività nelle scuole: come si imparano l’italiano, la storia e la geografia, bisogna imparare l’educazione civica e avere gli strumenti che devono contribuire a fare di un bambino un bravo cittadino, oltre che un bravo medico o un bravo giornalista o quel che si vuole. Bisogna lavorare soprattutto sulle nuove generazioni. La cultura è tutto ciò che diventa sentimento, ma passa anche per la sensibilità di ciascuno di noi. Purtroppo ci sono situazioni in cui c’è un modo consolidato di ragionare, dunque diventa più difficile trasmettere certi valori. Bisogna fare in modo che le famiglie parlino di certi argomenti, che riflettano insieme i genitori con i figli».

«La legge 91/1999 è incompiuta perché il cosiddetto “silenzio assenso” non è mai partito», prosegue D'Antonio. «Parliamo di 24 anni fa, non c’erano i mezzi divulgativi di oggi, i social network. Oggi abbiamo maggiori strumenti, si può fare molto di più. Di recente è stato istituito un tavolo per revisionare questa legge, speriamo di arrivarci presto e superare l’impasse. Avere in media un 25% di situazioni in cui non si può procedere, è grave: si impedisce a tante persone di avere una chance di vita. L’istituzione della Giornata del donatore e del trapianto d’organi e dei tessuti, voluta dal Consiglio regionale della Sardegna (la data individuata è quella del 24 febbraio: è stata scelta in ricordo della tragedia aerea avvenuta nel 2004 sui monti di Sinnai, quando l’equipe di cardiochirurgia dell’ospedale Brotzu di Cagliari, formata da Alessandro Ricchi, Antonio Carta e Gianmarco Pinna, perse la vita con l’equipaggio mentre trasportava un cuore prelevato da una donatrice al San Camillo di Roma e destinato proprio a un trapianto salvavita a Cagliari), è molto importante sul versante della solidarietà e del senso di appartenenza. Occorre formare anche gli ufficiali d’anagrafe, perché bisogna saper porre nei modi e nei termini certe domande e certi argomenti: noi lo stiamo facendo da tempo».

Roberto Simbula, presidente dell’Aido Sardegna, sottolinea che «la nostra isola è attestata al terz’ultimo posto per le opposizioni alla donazione ed è al terzo posto per i consensi. Questo non può essere sufficiente a farci dire che tutto va bene. Ritengo, al contrario, che dobbiamo moltiplicare gli sforzi per informare meglio e più capillarmente la popolazione, sensibilizzandola sulla necessità di essere donatori. Il principio è semplice: chi dona, salva una o più vite umane. Occorre che gli uffici anagrafe dei Comuni diano una informazione più completa: purtroppo questo non sempre accade. Questo è un aspetto importante e molto delicato, ma non è l’unico: a volte ci sono problemi culturali, per esempio quelli legati al rapporto con la morte e a tutto ciò che vi ruota attorno; come ci sono persone che si fanno fuorviare da siti che propagandano tesi discutibili contro la donazione degli organi. Per quanto ci riguarda, cercheremo di incrementare la nostra presenza nelle scuole e migliorare la comunicazione sui nostri canali social».

Era il 2007, quando il 14enne Marco Dessì rimase coinvolto in un grave incidente stradale. Il ragazzo asseminese cessò di vivere dopo due giorni di ricovero in ospedale. Quando i medici si rivolsero ai suoi genitori, Anna Lidia Usai ed Efisio Dessì dovettero prendere una decisione su due piedi: pochissimi minuti, per i tempi di un trapianto; attimi infiniti, per chi deve dare l’assenso al prelievo. «In quei momenti la testa non ragiona normalmente, non sarebbe umano», racconta Efisio Dessì. «È difficile prendere una decisione di quella portata, nasce una sorta di egoismo perché hai la mente rivolta a tuo figlio che non c’è più, e a nient’altro. Era stato lo stesso Marco, un giorno, a parlarne con la mamma: le disse che lui sarebbe stato favorevole a donare i suoi organi. Detto ciò, non posso dire che sia stato facile prendere la decisione. Per fortuna, oggi posso dirlo con certezza assoluta, abbiamo detto sì: sappiamo che quattro persone della penisola oggi sono vive, stanno bene e in salute, grazie ai suoi organi (cuore, fegato e i reni). E questo ci rende più sopportabile il dolore».

Il 16 settembre 2010 si è costituito il Gruppo comunale Aido di Assemini (Cagliari), che è stato intitolato a Marco Dessì. «Dopo la tragedia che ci ha colpiti, siamo stati coinvolti più di una volta per dare la nostra testimonianza», spiega il padre. «Certo, ci capita di incontrare persone che la pensano diversamente da noi, d’altronde ognuno è libero di pensarla come crede. Ma è davvero un grande peccato non dare il consenso, in questo modo si nega la vita a qualcuno. Mi sarei pentito amaramente, se allora non avessimo fatto quel passo. Ma non mi sento neppure di colpevolizzare chi agisce diversamente in quei frangenti. Non giudico neppure chi nega il proprio consenso in Comune. Però dovremmo pensare alle statistiche: ci dicono che è molto più probabile avere necessità di un trapianto d’organi rispetto a doverli donare in caso di morte. Vista da questa prospettiva, la decisione appare meno difficile da compiere».