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Parità di genere, per molte aziende è ancora teoria

Lo studio “Future of work” di Inaz e Fiera Milano evidenzia che l’84% delle imprese riconosce il valore etico dell’inclusione, ma meno della metà attua piani concreti. Si lavora sullo sviluppo delle donne manager, ma non si affronta a dovere il tema della disparità retributiva. «Ma la diversità delle persone è un valore prezioso» afferma la presidente Linda Gilli

di Nicola Varcasia

Tante buone intenzioni, molte buone pratiche, ma poca capacità di essere sistema. In tema di inclusione ed equità nel mondo del lavoro più di 8 imprese su dieci riconoscono l’alto valore di curare e valorizzare ogni persona presente in azienda, ma non riescono a concretizzare questo auspicio – certamente sincero – in azioni incisive, anche a breve termine. È quanto afferma Future of Work, la ricerca curata da Inaz e Fiera Milano. Nella sua quinta edizione, curata da Fabrizio Lepri, docente presso l’Università degli studi di Roma tre si è concentrata su questi temi con un sondaggio fra circa 100 direttori delle risorse umane di aziende italiane.

«Abbiamo scelto un tema stimolante, complesso, che mette a confronto le generazioni e rientra nell’ambito più ampio della sostenibilità», commenta Linda Gilli, cavaliere del lavoro, presidente e amministratore delegato di Inaz, «Tema che, soprattutto, comporta un forte commitment da parte dei vertici aziendali. La diversità, infatti, spaventa. Nel tempo si sono accumulati molti strati di pregiudizio. E sul pregiudizio sono stati costruiti muri di diffidenza. Senza ricorrere a giri di parole, vanno abbattuti. Perché la diversità delle persone è un valore prezioso, che arricchisce le imprese e chi nelle imprese lavora».

Sembra dunque esserci ancora molto da fare per portare l’Italia su posizioni competitive per quanto riguarda l’inclusione e la valorizzazione delle diversità. La ricerca conferma quanto da anni viene indicato dalle classifiche internazionali investigando per prima cosa le ragioni che spingono i vertici aziendali italiani a occuparsi di “diversity and inclusion”: spicca la grande importanza che al tema viene attribuita sul piano etico (84% delle risposte), ma sono poco compresi i suoi risvolti in termini pratici, cioè di business (50% delle risposte) e fiducia della comunità finanziaria (42%).

D’altra parte, una percentuale interessante di risposte viene però raccolta dalla voce “Engagement, attraction e retention” (64%): questo significa che sta crescendo nelle aziende l’attenzione alle generazioni più giovani, che sono più sensibili a queste tematiche. Per quanto riguarda poi le differenti aree, emerge che la maggiore attenzione viene posta su disabilità (78% delle risposte) e genere (76%), seguite dalle differenze generazionali (62%) e poi, a maggiore distanza, da orientamento sessuale, origine geografica e religione.

Si arriva poi alla domanda sul livello di strutturazione dei piani e delle azioni messe in atto. Meno della metà delle aziende intervistate (46%) risponde di avere una pianificazione già presente; di quelle che hanno risposto di no, il 63% prevede però di elaborarne una nel prossimo futuro.

Fra le azioni messe in campo dalle aziende spiccano quelle dedicate a contrastare la disparità di genere (76% delle preferenze), disparità che si manifesta principalmente nello sbilanciamento di responsabilità e retribuzioni fra uomini e donne. In questo ambito salta all’occhio però che solo il 44% delle aziende intervistate monitora in modo sistematico la disparità nelle retribuzioni e solo il 38% fa effettivamente qualcosa per ridurlo; per contro, le aziende dichiarano di concentrarsi di più nell’incrementare il numero di donne in ruoli manageriali (il 60% ha azioni in corso in questo senso).

«Complessivamente i dati che emergono dalla survey sembrano indicare un importante ritardo nei risultati sulla parità di genere nelle aziende, in linea con i dati pubblicati in un report del 2022 dal World economic forum, in cui l’Italia figura al 63° posto nella graduatoria basata sul ranking conseguito nel parametro di valutazione denominato Global gender gap index. Al tempo stesso, però è abbastanza o molto diffusa la consapevolezza sulla necessità di mettere in campo azioni specifiche finalizzate ad attenuare gradualmente il gap riscontrato», riassume Fabrizio Lepri.

La ricerca di Inaz e Business International – Fiera Milano prosegue approfondendo anche tematiche come l’inclusione delle persone con disabilità, il valore dei processi HR come leve per la D&I, l’utilità degli HR Data Analytics e l’utilizzo del welfare aziendale come strumento di inclusione e miglioramento del work-life balance.

La conclusione, per il professor Lepri, è abbastanza netta: «L’indagine restituisce nell’insieme un’immagine di vivacità delle aziende italiane sui temi diversity & inclusion ma, al tempo stesso, mostra che siamo ancora lontani da una condizione generalizzata di maturità sul piano dell’ampiezza e della profondità delle azioni messe in atto. Se volgiamo lo sguardo anche fuori dal mondo del lavoro, si può intuire che in uno scenario sociale, politico e geostrategico come quello attuale, in cui i temi della diversità e dell’inclusione sono interpretati in modo altalenante, controverso e talvolta regressivo, la spinta di cui le imprese hanno ancora bisogno, per una più completa assunzione di responsabilità e chiarezza di prospettive, sembra poter venire nei prossimi anni dalla graduale crescita di protagonismo delle nuove generazioni».

In apertura: l'immagine della ricerca Inaz

Foto interna di Christina @ wocintechchat.com su Unsplash


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