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Perché nasce una dittatura?

Ece Temelkuran giornalista e attivista turca in esilio, durante l’inaugurazione della rassegna Biennale Democrazia ha provato a rispondere a questa domanda: «Prima di tutto serve un uomo, raramente una donna, con un’ossessione narcisistica e il suo vittimismo nel momento giusto. Poi una massa di persone istruite che non lo prendano seriamente dimenticando quanto accaduto nella storia. Quando questa persona riesce a mobilitare ignoranza e cinismo il lavoro di base è fatto»

di Fabrizio Floris

Sappiamo come nasce un bambino, come esplode una supernova, come si genera un algoritmo, ma non sappiamo nulla della genesi dei fenomeni sociali perché alcuni Paesi sono democratici, altri autocratici oppure dispotici? Ece Temelkuran giornalista e attivista turca in esilio, durante l’inaugurazione della rassegna Biennale Democrazia ha provato a rispondere al perché nasce una dittatura. «Prima di tutto serve un uomo, raramente una donna, con un’ossessione narcisistica e il suo vittimismo nel momento giusto. Poi una massa di persone istruite che non lo prendano seriamente dimenticando quanto accaduto nella storia. Quando questa persona riesce a mobilitare ignoranza e cinismo il lavoro di base è fatto».

Poi ci vogliono delle contingenze prosegue Temelkuran «fra gli ingredienti ci sono le crisi come quella dei rifugiati o del capitalismo, ma serve soprattutto confusione nella società e nella classe politica […] I movimenti populisti di destra non sono apparsi improvvisamente negli ultimi 10 anni. Dobbiamo tornare agli anni 80 per capire cosa sta realmente accadendo nel mondo oggi, soprattutto in termini di democrazia. La democrazia si regge sulla promessa fondamentale di uguaglianza e giustizia sociale. Il capitalismo non promette giustizia sociale. Se le persone non sono uguali in termini reali, vale a dire finanziariamente ed economicamente, come puoi promettere loro l'uguaglianza come cittadini? La depoliticizzazione della società negli anni 70 e 80 ha contribuito all'infantilizzazione dei cittadini, alla loro percezione della politica come sporca. Questa massiccia depoliticizzazione ha contribuito ai movimenti populisti di destra di oggi. La crisi della democrazia è strettamente intrecciata con la crisi del capitalismo. Non c'è via d'uscita, a meno che non affrontiamo la questione dell'uguaglianza sociale».

Nessun Paese è immune, se vivi in una democrazia e pensi che nulla possa davvero scuoterla o farla crollare, ti stai prendendo in giro, servono vigilanza e partecipazione, ma attenzione ai social perché creano «un’illusione di azione che esaurisce l’energia politica senza conseguenze concrete. Inoltre, esprimere rabbia sui social consuma questa energia nelle nostre bolle (autoreferenziali). Ma quando l’azione politica avviene in un luogo fisico, allora i social fanno ciò che devono fare: organizzare e mobilitare». Oggi però non serve necessariamente la violenza per imporre una dittatura (o democrazia illiberale) si possono usare post-verità, social media per manipolare le persone e diffondere disinformazione, si possono usare i soldi, denaro politico e poi il disinteresse indifferente dei più e les jeux sont faits. Il fascismo non ha più a che fare con l’ideologia, ma con l’obbedienza. I regimi si impossessano dello Stato con un loro apparato e poi creano una sorta di rete con il denaro politico che arriva fino alla base della società il cui consenso viene comprato in cambio di obbedienza.

  • Il primo passo è la creazione di movimenti che rendono l’ignoranza un pezzo della costruzione dell’identità «noi parliamo per il Paese reale». Sono leader che si sovrappongono alla gente, uno è tutti, criticare il leader significa criticare la gente, attaccare la democrazia. Sono i rappresentanti delle persone reali chi li critica è come se fosse non reale.
  • Secondo passaggio è l’interruzione dell’argomentazione logica nel dibattito pubblico (negare i dati di realtà): credere è più importante di sapere.
  • Terzo si è normalizzata l’assenza di vergogna e l’assenza di compassione. La relazione tra la post-verità e la vergogna è molto importante. I leader mentono, la gente lo sa, ma continuano a sostenerli.
  • Quarto passaggio è lo smantellamento dei sistemi giuridici e giudiziari. La democrazia è vista da questi leader autoritari come uno strumento, un mezzo per arrivare al potere, una volta arrivati scendono, non ne hanno più bisogno. Usano le emozioni, mobilitano l’ignoranza organizzata, a sinistra il lessico è troppo ragionatore, per esempio sulla crisi climatica siamo pieni di cifre, ma non succede niente. «Abbiamo perso fede e fiducia nell’umanità e nella politica: se non si amano le persone non si fa politica».
  • Il quinto passo è lo scherno, l’umorismo, il grottesco che ruota intorno a questi leader che disinnesca il timore di quello che accade. Se riusciamo a ridere pensiamo che va ancora bene e invece siamo ad un passo dallo Stato autoritario.
  • E arriviamo così al sesto punto i leader progettano così i cittadini di cui hanno bisogno e poi lo Stato di cui hanno bisogno. La democrazia non è un fenomeno naturale. Come ha spiegato Liliana Segre «democrazia e libertà sono valori, ma anche istituzioni, difficili da ottenersi, ma facili da perdersi». Qualcosa iniziamo a intuirla.

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