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Che fine ha fatto lo smartworking?

Uno studio di Ericsson sul dopo pandemia afferma che il lavoro flessibile è diventato una sorta di “moneta di scambio” nel rapporto tra azienda e lavoratore. In Italia, 4 lavoratori su 10 ritengono di avere più flessibilità di prima. Ma il primo obiettivo resta è la stabilità finanziaria. La ricerca (che ancora non ha studiato Chat gpt e dintorni) avverte: attenti alla privacy

di Nicola Varcasia

Digitale, pandemia e flessibilità del mercato del lavoro hanno cambiato lo scenario dell’occupazione. Ma come i dipendenti e i datori di lavoro leggono il presente e cosa chiedono per il futuro? Lo studio Future of work life condotto da Ericsson ha provato a dare delle risposte intervistando dipendenti e aziende di 30 Paesi, tra cui l’Italia.

Nel nostro Paese, quattro lavoratori su 10 (40%) affermano di godere di una maggiore flessibilità sul lavoro. Il 33% dei lavoratori vede nella tecnologia un fattore di flessibilità e ciò che consente di lavorare da qualsiasi luogo. Il 43% considera la flessibilità dell'orario o della sede di lavoro come un requisito fondamentale, e il 21% afferma che la flessibilità è la priorità assoluta se volesse iniziare a cercare un nuovo lavoro. I risultati relativi all’Italia sono sostanzialmente in linea, pur con qualche scostamento da quelli generali della ricerca.

I risultati principali dello studio a livello globale hanno fatto emergere la flessibilità come una nuova moneta di scambio nel rapporto tra azienda e lavoratore. I dipendenti la ritengono un bisogno da soddisfare, dato che il lavoro ibrido continuerà a essere la norma: il 25% della popolazione lavorativa globale afferma che darà priorità alla flessibilità prima di ogni altra cosa (poco più che in Italia dove, come si è visto sopra, la percentuale è al 21%).

Dal punto di vista qualitativo, le risposte dei dipendenti hanno fatto capire che l’accesso alle tecnologie digitali rafforza la fiducia dei lavoratori: l'uso delle giuste tecnologie digitali raddoppia i giudizi positivi da parte dei dipendenti, senza aumentare lo stress. Tuttavia, decisori e dipendenti si trovano sempre più in disaccordo sulla tecnologia. Solo il 33% dei datori di lavoro tiene conto delle preferenze dei dipendenti quando investe in nuove tecnologie, mentre 4 dipendenti su 10 si scontrano con strumenti non pertinenti alle loro mansioni.

Un punto di estrema attenzione riguarda il rischio che gli ambienti di lavoro flessibili portino a una maggiore sorveglianza. L'equilibrio tra visibilità e rispetto della privacy è una sfida nel lavoro ibrido. Il 65% dei dipendenti che si dichiarano ottimisti in merito alla flessibilità garantita dalla tecnologia, ritiene anche che sarà accompagnata da un aumento della sorveglianza.

Mercati del lavoro sempre più globalizzati offrono ai datori di lavoro nuovi talenti ma anche preoccupazioni. I decision maker nei mercati emergenti concordano sul fatto che la fedeltà stia diminuendo con l'aumentare dei lavori da remoto.

Il futuro del lavoro segue cinque linee direttrici. Nella media emersa dallo studio generale i lavoratori danno priorità a stabilità finanziaria (25%), flessibilità (24%), digitalizzazione/tecnologia (20%), lavoro organizzato per progetti (12%) e carriera (19%). I lavoratori italiani danno invece priorità, nell’ordine, a: stabilità (40%), flessibilità (21%), digitalizzazione/tecnologia (17%), carriera (17%); lavoro organizzato per progetti (5%).

Jasmeet Singh Sethi, responsabile del Consumerlab di Ericsson, la divisione che ha effettuato la ricerca commenta: «Nel mezzo della rapida digitalizzazione provocata dalla pandemia, la nostra ricerca evidenzia un divario preoccupante tra la tecnologia disponibile sul posto di lavoro e le esigenze dei dipendenti in materia di lavoro flessibile. Con 6 aziende su 10 che non dispongono di tecnologie adeguate per il proprio personale e solo 2 dipendenti su 10 che ritengono di avere strumenti appropriati sul luogo di lavoro, è urgente che le organizzazioni investano in strumenti digitali e in una solida connettività che permetta la collaborazione a distanza e la flessibilità, non solo per attrarre e trattenere i migliori talenti, ma anche per rimanere competitivi nel mondo post-pandemia».

Lo studio di Ericsson che, come è noto, è uno dei big nel campo delle telecomunicazioni, ha esaminato anche altri aspetti, più tecnologici del lavoro da casa: per lavorare dalla propria abitazione, il 69% degli intervistati utilizza la banda larga, via cavo o fibra, mentre, sempre secondo lo studio Ericsson, il 61% dispone di router 3G/4G/5G o può utilizzare il proprio smartphone come dispositivo mobile. Allo stesso tempo, il 29% utilizza esclusivamente reti cellulari per connettersi. La necessità di affidarsi completamente alla connettività mobile è particolarmente evidente nelle aree rurali (meno di 5.000 abitanti), dove 4 persone su 10 utilizzano router e reti cellulari 3G/4G/5G per connettersi a Internet. È interessante notare che anche un quarto degli abitanti delle grandi aree metropolitane, pari a oltre 5 milioni di abitanti, utilizzi esclusivamente le reti mobili.

La ricerca è stata condotta in 30 mercati a livello globale, tra cui l’Italia; 38.000 sondaggi online tra i dipendenti, 3.600 sondaggi online tra i responsabili delle decisioni e 11 interviste approfondite con i responsabili delle decisioni di settori selezionati in tre mercati: Cina, Spagna e Stati Uniti.

Foto in apertura: ufficio stampa Ericsson


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