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Sanità & Ricerca

Alle donne dico: «Vivete, non focalizzatevi solo sulla malattia»

Dykadja, 32 anni, vive con un cancro al seno metastatico triplo negativo. La sua associazione ZittoCancro aiuta molte pazienti che, come lei, traggono forza e motivazione anche dal contatto con altre donne. L'importanza della condivisione e del saper fare squadra

di Nicla Panciera

«Non focalizzarti solo sulla tua malattia. Non perdere tempo, non sprecare la giornata così»: è questo il messaggio di Dykadja Izidoro Paes per tutte le persone con una diagnosi di cancro. La sua associazione Zittocancro dà sostegno e conforto a molte donne che, come è accaduto anche a lei, rischiano di sentirsi sole e disorientate, anche nonostante una robusta rete di sostegno familiare e amicale. Spesso, infatti, la forza viene dalle altre sorelle. Dykadja (qui sopra alla Race for the Cure, foto di Monica di Leandro) ha ricevuto la prima diagnosi di cancro nel 2018, a 28 anni, mentre allattava il secondo figlio e la scoperta delle metastasi è arrivata a soli tre mesi dal termine delle cure. Racconta di aver fatto subito il test genetico perché sua madre era morta di cancro e di avere scoperto un triplo negativo, tumore che non possiede i recettori per gli estrogeni, per il progesterone e l’HER2 che in altre forme rendono possibile l’esecuzione di terapie mirate fungendo da bersaglio. Questo cancro aggressivo ha alta tendenza a sviluppare metastasi e una sopravvivenza mediana di soli 14,5 mesi, con una sopravvivenza a cinque anni dell'11%. Nel 2020 ci sono state circa 55.000 nuove diagnosi di tumore al seno e di queste circa 8.000 (15% del totale) sono state diagnosi di tumore al seno triplo negativo metastatico.

«Io ti sto a sentire ma tu no, non mi sovrasterai»

Ciononostante, Dykadja sorride spesso e ammette: «A volte, anche in ospedale si domandano cosa ho tanto da sorridere, ma io sorrido». Lo sconforto si fa sentire, eccome, ma la volontà resiste: «Voglio che i miei due figli abbiano dei ricordi di me». Il nome dell’associazione Zittocancro è un’esclamazione che Dykadja ha rivolto alla malattia un giorno di particolare sofferenza: «Gli ho detto: Non urlerai mai più di me, io ti sto a sentire, ma tu non sovrasterai la mia voce. L’ho raccontato alle mie amiche [altre donne con triplo negativo conosciute in un gruppo Facebook] con l’indice davanti alla bocca come a dire “silenzio” e da lì è nato l’hashtag #ZittoCancro, diventato presto famoso, e poi l’associazione. «#zittocancro significa Zitto cancro che ho da fare» racconta «Sono una paziente metastatica, so benissimo che non guarirò e che con la malattia dovrò convivere ma voglio vivere tutto il tempo che ho».

L’importanza del confronto tra pari

Secondo un’indagine condotta dall’osservatorio di Donne in Meta, la campagna promossa da Gilead Sciences in collaborazione con Europa Donna Italia, con il patrocinio di Susan G. Komen Italia e con le oncologhe italiane di Women for Oncology, in collaborazione con Elma Research, su un campione di 110 pazienti con età media di 54 anni e residenti in tutta Italia, dare qualità al proprio tempo diventa un obiettivo diffuso in presenza del tumore (il 57% dichiara di voler stare di più con le persone care, il 49% di cercare di fare solo cose che interessano davvero), ostacolato però in molti casi dalla mancanza di servizi aggiuntivi a quelli strettamente terapeutici e dalla difficoltà di confronto con altre donne che stanno vivendo la stessa condizione.

Fare squadra: la forza delle associazioni

«Ho fondato l’associazione perché non mi fa sentire sola e perché dare sostegno alle altre è la mia medicina» dice Dykadja che, alle moltissime donne che le scrivono di non avere la forza per sorridere e di non farcela, risponde: «Tutte abbiamo la forza, il fatto è decidere di tirarla fuori o stare lì e aspettare». Saper fare gruppo è fondamentale per le donne con cancro: «Tra di noi, non ci scambiano informazioni mediche perché quello spetta all’oncologo e perché ogni caso è diverso; noi possiamo solo limitarci a raccontare la nostra esperienza e dare conforto» spiega Emanuela Tavella, consigliera di Europa Donna Italia, anch’essa una diagnosi di triplo negativo. «Fare gruppo tra pazienti può essere un’arma a doppio taglio: è una sorgente di forza ma può creare delle confusioni sulla malattia» conferma Alessandra Fabi, oncologa del Policlinico Gemelli di Roma.

Non sono chiacchiere "da salotto"

Dykadja è tra le partecipanti alla nuova iniziativa dei “salotti” (visibili qui), cinque appuntamenti organizzati da Donne in Meta (ma altri se ne aggiungeranno sul sito insieme ai podcast intitolati "Facciamo squadra") . Un sesto salotto si è svolto a Roma, sabato 5 maggio, in occasione della Race for the cure. In salotto, un esperto e un paziente affrontano argomenti importanti per il malato, insieme alla psicologa Guendalina Graffigna, direttore del Centro di ricerca EngageMinds Hub dell’Università cattolica di Cremona che guida un po’ la conversazione. «Parliamo di associazionismo, di psiconcologia, di vita di coppia, di innovazione terapeutica e della figura dell’infermiere, tutte tematiche della letteratura scientifica internazionale, concetti alti, scientifici, evidence based, affrontati però in modo semplice. Un dialogo di questo tipo, inoltre, non solo mostra al paziente il suo engagement in atto, ma fa anche scendere dalla cattedra medici e ricercatori costringendoli a mettersi in gioco di fronte all’esperienza della paziente». Guendalina Graffigna è tra le massime esperte di patient engagement, che è «qualcosa di profondamente diverso dal coinvolgimento del paziente inteso come la sua partecipazione, oggi sempre più raccomandata e prevista, nel disegno degli studi clinici o ai tavoli decisionali, dove comunque le regole del gioco vengono stabilite dal clinico o dal decisore. Il cosiddetto patient engagement significa riconoscere il ruolo del paziente anche mettendo in atto iniziative di comunicazione e counseling per renderlo consapevole del suo ruolo». L’oncologia, spiega la docente, è l’ambito in cui questa riflessione è più sviluppata e applicata, «anche per necessità degli stessi specialisti, che vedono il proprio compito facilitato da un certo tipo di rapporto con i pazienti».


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