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Sanità & Ricerca

La malattia mentale? Colpisce i giovani al cuore

Un disturbo psichiatrico prima dei quarant'anni triplica il rischio di ictus e infarto in età adulta. Per l'esperto "un incremento drammatico" che impone interventi di prevenzione e di monitoraggio della salute cerebrocardiovascolare anche in fasce d'età finora considerate non a rischio.

di Nicla Panciera

L’attenzione alle malattie mentali che si presentano in giovane età è oggi ancor più importante perché possono avere delle conseguenze di lungo periodo sulla salute cerebrovascolare. Secondo un nuovo studio, infatti, soffrirne prima dei quarant’anni significa avere un rischio triplicato di ictus e di infarto in età adulta. Ciò è evidente, pur in misura diversa, per numerosi disturbi mentali, più e meno gravi, come il disturbo bipolare, la schizofrenia, il disturbo post traumatico da stress, la depressione, l’ansia, l’insonnia, disturbi d'ansia, disturbi della personalità, disturbi alimentari e di abuso da sostanze.

A questa conclusione sono giunti dei ricercatori coreani analizzando i dati di salute di una coorte nazionale di oltre 6,5 milioni di individui, appena apparso sulla rivista della Società europea di cardiologia, European Journal of Preventive Cardiology. Il team ha analizzato i dati di salute di giovani adulti di età compresa tra 20 e 39 anni, presenti nel registro del Servizio di assicurazione sanitaria nazionale coreano Nhis, tutte persone senza una storia di malattie cerebro-cardiovascolari. A distanza di quasi otto anni, è andato a vedere il loro stato di salute. Ne è emerso che i soggetti con un disturbo mentale, circa uno su otto del totale, quindi novecentomila coreani, avevano una probabilità maggiore del 58% di infarto miocardico e un rischio maggiore di ictus del 42%. Queste sono percentuali medie, ma poi alcune condizioni sono più pericolose di altre.

Di «drammatico incremento, dalle importanti ricadute pratiche» parla Roberto Pedretti, Direttore del dipartimento cardiovascolare dell’Irccs MultiMedica di Milano, che ci spiega: «è noto che certi disturbi mentali anche comuni, come ansia e depressione, e certe condizioni, come l’insonnia, sono determinanti sfavorevoli in chi ha già avuto un evento cardiovascolare, per quanto questa evidenza non venga poi tenuta in debito conto nella pratica clinica, ad eccezione degli ancora troppo pochi casi in cui i pazienti hanno accesso alla invece necessaria riabilitazione cardiovascolare». L’importanza di questo ampio lavoro è quella di «spostare drammaticamente questa tematica sulla prevenzione primaria, quindi sulle persone senza problemi cardiovascolari, e soprattutto sui giovani». Inoltre, «all’ingresso, i soggetti dello studio hanno tutti lo stesso profilo cardiovascolare e ciò conferma che la patologia psichiatrica è un determinante prognostico». Il tema è già percepito come urgente, come ammette Pedretti, che è nel board dell’Associazione europea di cardiologia preventiva: «Abbiamo deciso di costituire una task force di esperti per la stesura di un documento di consenso dedicato alla prevenzione cardiovascolare per chi ha una malattia mentale».

La malattia mentale è un determinante sfavorevole in chi ha avuto un evento cardiaco. Lo studio sposta drammaticamente questa tematica sulla prevenzione primaria, quindi sulle persone senza problemi cardiovascolari, e soprattutto sui giovani

Roberto Pedretti, Direttore del dipartimento cardiovascolare dell’Irccs MultiMedica di Milano

Sui meccanismi alla base della relazione tra malattia psichiatrica e cerebrocardiovascolare, si avanzano alcune ipotesi, come quella dell’equilibrio del sistema nervoso autonomo, influenzato negativamente dalle malattie psichiatriche, con effetti cardiaci specifici come lo sviluppo di aritmie anche gravi.
Che fare? Serve un urgente piano di monitoraggio e prevenzione cardiovascolare: «Ci vuole più consapevolezza e strategie di intervento accurato e scrupoloso, anche in popolazioni giovani che mai avremmo considerato a rischio cardiovascolare, esattamente come facciamo oggi contro gli altri fattori di rischio il colesterolo o l’ipertensione arteriosa». Inoltre, la malattia mentale è un fattore indipendente dagli altri fattori di rischio e bisogna evitare l’effetto sinergico. Bisognerà anche considerare l’eventuale trattamento psichiatrico per capire in che modo i farmaci impiegati influenzano il rischio cardiovascolare. Infine, guardando ancora meglio il profilo dei soggetti con e senza una malattia mentale alla partenza dello studio, «dalla composizione corporea, agli stili di vita, alcol, fumo, comorbidità, ci sono poche differenza, mentre emerge chiaramente la rilevanza dei fattori psico-sociali, come il basso reddito» conclude Pedretti «Come intervenire su questo aspetto diventa molto più complicato da dire e da fare, ma non meno urgente».

(Photo by Robina Weermeijer on Unsplash)


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