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Sostenibilità sociale e ambientale

Giovani e ribelli, ambientalisti di piazza e di social

Ultima generazione, Extintion rebellion, Scientists rebellion, Fridays for Future: è un panorama in rapida mutazione quello dei movimenti per il clima, che dall'estero sono giunti anche in Italia e stanno facendo discutere. Sono organizzazioni informali, non gerarchiche, usano metodi non violenti, agiscono a volto scoperto, attirano per lo più persone tra i venti e i trent'anni e sono più presenti nelle città. Dopo una breve formazione, quasi subito offrono la possibilità di entrare in azione, ciascuno in modo diverso. Abbiamo parlato con i portavoce...

di Elisa Cozzarini

«Siamo l’ultima generazione del vecchio mondo. Siamo qui oggi per dire che creeremo un nuovo mondo, in cui l’umanità si abbraccerà, si perdonerà, amerà se stessa e si impegnerà a continuare la nostra grande avventura», inizia così la dichiarazione di Ultima generazione, la coalizione di cittadini che si è fatta conoscere per le discusse azioni di disobbedienza civile non violenta, come l'imbrattamento con vernice arancione della facciata di Palazzo Madama lo scorso 2 gennaio, o i numerosi blocchi del traffico a Roma. Il più recente, il 4 maggio, seminudi in via del Tritone. Ultima generazione fa parte della rete internazionale A22, nata ad aprile 2022, unita dall'obiettivo di «usare strategie efficaci, impattanti, per chiedere ai rispettivi governi impegni concreti nel contrastare il collasso ecoclimatico».


Una delle ultime azioni di Ultima generazione in via del Tritone a Roma

Agire, subito: è questa possibilità ad attirare gli attivisti, che sentono di poter fare qualcosa di molto rumoroso, immediato, per chiedere un cambio di rotta alla politica. Non vogliono più aspettare. Non sono tutti giovani, anche se per lo più chi aderisce a Ultima Generazione ha tra i venti e trent'anni e ci sono molti studenti.

«Mi sono avvicinata dopo aver visto le immagini di un blocco stradale in televisione: ho pensato che fosse un grande gesto, mi ha aperto gli occhi», racconta Maria Letizia Ruello, portavoce del movimento, ricercatrice scientifica ultrassessantenne marchigiana. «È un gesto divisivo. Solo una minoranza è in grado di capire che servono azioni speciali perché non viviamo tempi normali. Attivarsi richiede un cambio radicale di vita: a partire dal momento in cui decidi di unirti alla lotta, la cosa più importante può non essere più il lavoro, o la famiglia. È stato così anche per i partigiani, una minoranza che ha sacrificato tutto per combattere il nazifascismo. Avevano il sostegno della maggioranza e hanno vinto. Anche noi siamo una piccola percentuale della popolazione e ci giochiamo tutto per il bene dell'umanità. Cerchiamo di avere il sostegno della maggioranza. Molti non se la sentono di agire ma condividono la nostra richiesta e donano per aiutarci ad affrontare le spese legali degli attivisti a processo».

Per farsi conoscere, trovare nuove persone disposte a scendere in strada (ne bastano dieci, venti, per un'azione come il blocco del traffico) e raccogliere fondi, Ultima generazione organizza ogni domenica sera una presentazione online, a cui partecipa in genere una ventina di persone, ed eventi pubblici in presenza. «La strategia della rete A22 prevede la formulazione di richieste chiare e fattibili, specifiche per ogni Paese», prosegue Ruello. «In Italia abbiamo scelto di portare avanti una campagna per chiedere lo stop ai sussidi pubblici a tutti i combustibili fossili. Lo facciamo creando disturbo diretto e non violento, reiterato e temporaneo: per tutto maggio continueranno i blocchi stradali a Roma. Ci concentriamo sulla capitale perché ci rivolgiamo al governo».
Infine, spiega ancora l'attivista, c'è il sacrificio personale: «Agiamo a volto scoperto, ci facciamo identificare senza fare resistenza. Paghiamo in prima persona e questo dà forza alle nostre richieste. Rendiamo palese la differenza tra illegale e illecito. Noi facciamo qualcosa di illegale, ma lecito: con le nostre azioni, sbattiamo in faccia all'opinione pubblica chi è davvero criminale. Chi di noi è disposto a prendere una denuncia, lo fa perché è poca cosa rispetto al disastro che incombe sull'umanità».

Giovanni Aschieri, ventuno anni, è uno dei referenti del gruppo media e comunicazione di XR (Extintion Rebellion) ed è attivo a Torino. «Mi rendo conto dei rischi che corro e sono pronto ad assumermene la responsabilità, anche se non è una scelta facile. Per me è necessario fare ciò che faccio, vista la gravità della situazione e l'inazione dei governi», dice, e specifica: «Noi agiamo in modo diverso da Ultima Generazione. Privilegiamo azioni creative, non estremiste, che non diano fastidio alle persone. Di volta in volta valutiamo il da farsi, confrontandoci anche con i legali sui possibili rischi». Venerdì 3 marzo, mentre il centro di Torino era attraversato dal corteo dei Fridays for Future in occasione dello sciopero globale per il clima, XR ha colorato di rosso, con polvere di barbabietola, la fontana di Piazza Soferino, appendendo uno striscione con la scritta: "Acqua per tutte o champagne per qualcuno?" e sul bordo della fontana sono comparse attiviste vestite da sirene (vedi immagine).

«A spingermi non è tanto la paura per me, quanto per i miei nonni, che rischiano di morire per un colpo di calore la prossima estate», continua Aschieri. «Il pericolo è ora, non nel futuro. I dati dell'IPCC (il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, che unisce scienziati di tutto il mondo – ndr) sono allarmanti oggi, non per domani, non si tratta più di speculazioni su ciò che accadrà».

XR è un movimento internazionale nonviolento e apolitico, nato nel Regno Unito il 31 ottobre 2018, quando in massa gli attivisti hanno riempito la piazza del Parlamento a Londra. In aprile 2019, per giorni, in migliaia si sono riversati nella capitale britannica, bloccandola pacificamente. Alcuni si sono incollati all'ingresso di Buckingham Palace, leggendo una lettera alla Regina Elisabetta. Da qui il movimento si è espanso in tutto il mondo ed è mutato. In Italia XR è arrivato all'inizio del 2019, con una decina scarsa di persone. «Ora siamo centinaia, da Torino a Bologna, da Napoli a Milano. Ogni giorno continuiamo a crescere, a formarci e a costruire legami, aspettando la prossima Ribellione di Ottobre. Ci si vede sulla strada», si legge sul sito. In Italia ci sono gruppi XR a Torino, Milano, Roma, Venezia, Udine, Pisa, Bologna, Trieste, Napoli e un nuovo gruppo sta nascendo in Puglia. Partecipano persone di ogni età, ma in media gli attivisti hanno meno di 35 anni.

È da una campagna di XR che ha origine Ultima generazione. Nel Regno Unito, intanto, il movimento è cambiato decisamente: dal 21 al 24 aprile di quest'anno XR ha organizzato a Londra una grande manifestazione, assieme a molte altre organizzazioni, con l'ambizione di portare in piazza 100mila persone, senza blocchi stradali, ma non ha raggiunto l'obiettivo.

Ciascun gruppo opera in autonomia, condividendo tre richieste, uguali in tutto il mondo (è un'altra differenza con Ultima generazione, che invece si concentra su specifiche campagne, diverse a seconda degli Stati). Primo: gli attivisti chiedono che i governi dichiarino l'emergenza climatica ed ecologica e che i media dicano la verità. Secondo: domandano un'azione immediata perché si fermi la distruzione degli ecosistemi e della biodiversità e si portino allo zero netto le emissioni di gas serra entro il 2025. Terzo: che i governi costituiscano e ascoltino assemblee di cittadini sulle misure da attuare e sulla giustizia climatica ed ecologica. Quest'ultimo punto dovrebbe, a parere degli attivisti, superare i limiti della democrazia rappresentativa, «andare oltre la politica come la conosciamo, come la viviamo o, piuttosto, non la viviamo», sottolinea ancora Giovanni Aschieri, che continua: «Si affrontano le emergenze, ma non si va mai alle cause. Ad esempio, gestire la siccità in Italia vuol dire riconoscere le ragioni profonde della crisi e prepararsi agli scenari futuri, che saranno ancor più drammatici, senza doverli rincorrere. Bisognerebbe prendere spunto da come si è agito per il contenimento della pandemia, con misure eccezionali e coraggiose».

XR si rifà al pensiero del filosofo statunitense Gene Sharp, noto per gli studi sulla disobbedienza civile non violenta, e della politologa Erica Chenoweth, dell'Università di Harvard, le cui ricerche dimostrerebbero che mobilitando il 3,5% della popolazione si può ottenere un cambiamento del sistema, a patto che ci sia il sostegno passivo della maggioranza.

«Le nostre richieste sono rivolte al governo, non chiedono il cambiamento all'individuo, perché siamo immersi in un sistema che non ci consente di agire, da soli», conclude Aschieri, «allo stesso tempo, con un'adeguata formazione e autoformazione, ciascuno può entrare rapidamente in azione, a volto scoperto, ed essere efficace per rendere i governi responsabili. È questo che mi piace di XR».

Mattia, 21enne di Vercelli, attivista di Scientists rebellion e Fridays for Future, è stato denunciato per aver bendato una statua nella sua città domenica 16 aprile (nella foto), per lanciare il messaggio dell'urgenza di aprire gli occhi di fronte alla crisi climatica. Il ragazzo partecipava a una serie di azioni simili e coordinate, che si svolgono in tutto il mondo ogni domenica, e ora rischia la reclusione da due a cinque anni e una multa dai 2.500 ai 15mila euro.

Scientists rebellion è un movimento internazionale che rappresenta la ribellione della comunità scientifica, nato nel 2020, attivo in Italia dall'aprile 2022. Le prime azioni sono state a Marghera, dove sono stati occupati i cancelli della raffineria Eni per oltre otto ore, mentre a Roma alcuni attivisti si sono incatenati all'ingresso dell'Università La Sapienza. In ottobre, hanno partecipato alla campagna Unite against climate failure in Germania, alla vigilia della Cop 27 di Sharm-el-Sheikh, per chiedere provvedimenti nel settore della finanza e dei trasporti. In tre hanno trascorso una settimana in carcere. Spiega Irene Malvestio, 31enne di Padova, con un dottorato in Fisica: «Attivi siamo qualche decina, tra studenti, laureati, ricercatori, docenti. Ci ritroviamo online, anche perché alcuni di noi stanno all'estero, ma stanno nascendo gruppi locali, a Padova, Trieste e Milano. Per lo più abbiamo sui trent'anni, una fascia d'età in cui è più facile trovare persone pronte a esporsi. Ma in molti ci supportano senza partecipare alle azioni». Malvestio sottolinea che spesso gli attivisti vengono chiamati "ragazzi", «a dimostrazione di un atteggiamento paternalista, volto a screditarci. Per questo cerchiamo il coinvolgimento degli scienziati: la protesta è più efficace se in prima linea ci sono persone con una certa credibilità». Ma la richiesta al mondo universitario è anche quella di inserire l'insegnamento della crisi climatica in tutte le facoltà. Dice ancora Malvestio «Quando ci confrontiamo con gli studenti, si dicono sorpresi che il tema sia trattato solo in certi corsi di laurea. L'Università è un'istituzione conservativa: va riformata perché sia all'altezza della gravità del momento, deve formare persone consapevoli della crisi climatica ed ecologica».

In occasione dell'uscita dell'ultimo rapporto di sintesi dell'Ipcc, all'Università di Padova in marzo gli attivisti di Scientists rebellion hanno occupato la sala dei Quaranta, luogo della prestigiosa Cattedra di Galileo, per chiedere al mondo accademico di sostenere la campagna di Ultima generazione per lo stop ai sussidi pubblici alle fonti fossili (nell'immagine).

Di fronte al moltiplicarsi di forme e movimenti di disobbedienza civile, i giovani attivisti di Fridays for Future, il movimento nato dagli scioperi di Greta Thunberg iniziati in agosto 2018, oggi si trovano a interrogarsi su come riprendere slancio, ritrovare la magia che prima della pandemia è riuscita a portare in piazza migliaia di studenti. Marta Maroglio, una dei portavoce, al telefono dall'Assemblea nazionale a Bari a fine aprile, racconta: «Sono attiva dal 2019, all'inizio in un piccolo gruppo di Pinerolo, la mia città, poi mi sono trasferita a Torino e ora a Milano, dove frequento l'Università. Purtroppo, con la pandemia, molti gruppi locali si sono sciolti. Ma altri, come il mio, per fortuna hanno continuato a trovarsi online e hanno approfittato per fare formazione, invitando ospiti, esperti. Mancava però la parte più importante del nostro attivismo: incontrarsi, condividere l'impegno e le emozioni. Vogliamo parlare a tutte e tutti, essere il più possibile inclusivi. Condividiamo la nostra ansia climatica e ci accorgiamo che le persone consapevoli della crisi sono sempre di più».

Oggi in Italia ci sono circa settanta gruppi locali, presenti soprattutto nelle città. Alcuni si attivano solo in occasione degli scioperi (che si tengono due volte all'anno), altri hanno avviato un dialogo con le realtà territoriali. Per entrare a far parte del movimento basta partecipare a un'assemblea, dove si è tutti allo stesso livello. «Siamo cresciuti molto e ci siamo evoluti, allargando la nostra azione alle tematiche sociali, cercando di coinvolgere persone di diverse fasce d'età. A Firenze, ad esempio, i FfF sono scesi in piazza accanto agli operai del Collettivo Gkn. Ci definiamo ecotransfemministe/i e facciamo attenzione alla rappresentatività di genere e territoriale, nella scelta dei portavoce. Per questo, pur essendo molto più presenti al Nord, abbiamo deciso di fare la nostra assemblea a Bari (nella foto in basso), per andare incontro ai gruppi locali che stanno crescendo anche al Sud».

Anagraficamente più giovani di tutti, i Fridays for Future si trovano a essere, nel panorama dei movimenti per il clima, quelli con più storia e più strutturati: verso dove evolveranno?

Assemblea di Friday for Future a Bari – Immagine da Facebbok


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