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Sostenibilità sociale e ambientale

In difesa della natura ma da sempre

Come risponde il mondo ambientalista storico alle nuove forme di disobbedienza civile di Ultima generazione? Lo abbiamo chiesto ai rappresentanti di cinque associazioni storiche di protezione ambientale: Greenpeace, Legambiente, Wwf Italia, Fondo per l'ambiente italiano - Fai e Club alpino italiano - Cai. Ciascuna, a suo modo, mette in atto strategie per incanalare il protagonismo giovanile in modo costruttivo...

di Elisa Cozzarini

«Fanno azioni scomode, danno fastidio. Questi ragazzi ci vogliono ricordare che siamo comodamente seduti a bordo di un'automobile che sta andando a sbattere contro un muro: credo sia questo il messaggio che vogliono mandare», è il commento di Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia, a proposito delle azioni di disobbedienza civile di Ultima generazione. «Non condivido la manovra del governo di accanirsi su di loro, mentre chi non ha fatto nulla per decenni per uscire dalla crisi climatica continua a puntare su gas e rigassificatori, in Italia ma non solo, e sulle armi per difendere gli approvvigionamenti di combustibili fossili».
Greenpeace è tra le realtà che il 12 maggio a Roma aderiscono al presidio di solidarietà nei confronti degli attivisti di Ultima generazione, a processo per l’imbrattamento con vernice arancione della facciata di Palazzo Madama lo scorso 2 gennaio. Giannì, in Greenpeace sin dal 1991, osserva, però: «Queste azioni, per come sono effettuate, comportano uno spostamento di prospettiva. Greenpeace si presenta davanti a un soggetto che ritiene responsabile di qualcosa. Gli attivisti dei nuovi movimenti si rivolgono alla politica con vaghezza, e questo sposta il fuoco dell'attenzione mediatica».

Oggi sono circa mille i volontari inseriti nelle liste tematiche della storica associazione ambientalista, presente in Italia dal 1986, sostenuta da circa 90mila donatori, privati cittadini e alcune fondazioni. In quasi tutte le regioni ci sono gruppi locali. Sono un'ottantina coloro che entrano in azione: devono essere ben formati e preparati, a seconda del rischio e difficoltà. C'è chi si limita ad aprire uno striscione in strada, chi per appenderlo si arrampica su un palazzo, chi va sui gommoni, chi sott'acqua, etc.: situazioni diverse, per cui sono richiesti livelli differenti di competenze, allenamento e la capacità di capire fino a dove si può arrivare. «Le nuove modalità di attivismo sono molto più coinvolgenti e rapide, ma anche più volatili», continua Giannì, «noi siamo più strutturati e questo consente di avere continuità nel medio e lungo termine, lo dimostra la nostra storia».

Sulle recenti azioni di disobbedienza civile, Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, dice: «Condividiamo le preoccupazioni per le mancate politiche di lotta alla crisi climatica. Noi, già nel 1990, quando nessuno ne parlava, lanciammo una petizione per "Fermare la febbre del pianeta". Oggi è bene che ci siano tante altre voci a dirlo, ma le forme utilizzate rischiano di essere controproducenti, proprio ora che sono sempre più i cittadini preoccupati e consapevoli della necessità di agire con urgenza per affrontare il problema. Azioni estreme rischiano di allontanare le persone e di spostare il dibattito sulle modalità, che sono divisive. Dunque non condividiamo queste azioni ma allo stesso tempo pensiamo che prevedere l'interdizione antimafia o la reclusione fino a cinque anni per gli attivisti sia una risposta esagerata, spettacolare».

Legambiente è l'associazione ambientalista più diffusa nel nostro Paese, con 18 sedi regionali e mille gruppi locali, 115mila tra soci e sostenitori. Fondata nel 1980, alla base ha sempre avuto un approccio scientifico e l'obiettivo di mettere al centro della politica la qualità della vita delle persone. Le politiche che l'associazione chiede a livello nazionale o regionale, sul territorio vengono messe in pratica dai circoli, che, da una parte, si adoperano per fermare i progetti sbagliati, dall'altra promuovono la realizzazione delle opere necessarie alla transizione ecologica, come gli impianti eolici a terra e mare, nuove ferrovie, corsie ciclabili, aree pedonali, etc.
La presenza capillare sul territorio e il continuo confronto con scienziati e ricercatori consente a Legambiente di intercettare spesso temi e problematiche prima che diventino all'ordine del giorno. È accaduto con l'inquinamento da Pfas (composti chimici utilizzati nell'industria per la loro capacità di rendere i prodotti impermeabili all’acqua e ai grassi) nelle falde del Veneto: la prima denuncia è stata fatta dal circolo di Cologna Veneta, in provincia di Vicenza, prima che diventasse emergenza nazionale. Oppure per la Terra dei fuochi: Legambiente ne parlava nel rapporto Ecomafie del 2003, dieci anni prima del decreto legge del governo Letta per «garantire la sicurezza agroalimentare in Campania».

Prosegue Ciafani: «Avevamo intercettato il desiderio dei ragazzi di agire per denunciare la gravità della crisi climatica prima che iniziassero gli scioperi di Greta Thunberg. I giovani in associazione ci sono sempre stati ma da alcuni anni abbiamo iniziato a lavorare per renderli ancora più protagonisti, perché la loro sensibilità trovi casa in Legambiente. Oggi stiamo raccogliendo i frutti di questo impegno: a fine maggio a Paestum ci sarà il raduno nazionale giovanile e ci aspettiamo almeno 350 ragazzi da tutta Italia. Al primo di questi incontri, nel giugno 2019, hanno partecipato 70 ragazzi, mentre lo scorso anno erano 300. I numeri sono cresciuti di anno in anno nonostante le restrizioni legate alla pandemia. Oggi i gruppi giovanili si stanno attivando localmente in tutto il paese».


Sopra raduno Legambiente Veneto, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia a Rosolina mare (foto fa Fb) – in basso giovani di Wwf Young (foto da Fb)

Anche il Wwf Italia ha creato, da alcuni anni, una rete che mette in contatto ragazze e ragazzi dai 18 ai 35 anni, provenienti da ogni parte d’Italia, che vogliono unire le forze per fronteggiare le importanti sfide del futuro, a cominciare dalla crisi climatica e dalla perdita di biodiversità: Wwf Young. Organizzano eventi spesso insieme alla rete territoriale dell'associazione. «Oggi per riuscire a coinvolgere i più giovani servono credibilità e concretezza. Servono progetti coinvolgenti e di cui possano essere protagonisti. E serve un linguaggio contemporaneo e diretto», commenta il presidente del Wwf Italia Luciano Di Tizio, e aggiunge: «Le proteste degli ultimi mesi sono il sintomo di un malessere diffuso riguardo all’inazione rispetto a un’emergenza globale: il cambiamento climatico e la crisi di biodiversità che caratterizza il nostro tempo. È del tutto assurdo che a questo malessere generazionale diffuso si reagisca, così come si sta facendo, concentrandosi sulla repressione dei gesti piuttosto che affrontando i problemi che generano forte ansia e frustrazione nelle nuove generazioni».

Di Tizio fa un ulteriore passo: «Ai giovani però vorrei dire una cosa: viviamo oggi in un regime democratico conquistato con la lotta per la Liberazione, ma forse non teniamo in sufficiente conto questa fondamentale opportunità. Va bene protestare ma occorre anche candidarsi là dove possibile e comunque andare a votare scegliendo chi è disponibile a impegnarsi per l’ambiente. L’astensione dal voto, purtroppo ormai molto diffusa in particolare tra i giovani, finisce col favorire chi non vuole cambiare le cose. Le nuove generazioni devono mettersi in gioco in prima persona per sostituire l’attuale classe dirigente che complessivamente si è dimostrata inadeguata a far fronte alle emergenze che incombono sulla salute dell’ambiente che ci ospita e sul futuro di noi tutti».

Il Wwf internazionale è nato nel 1961 con l’obiettivo principale di difendere la vita selvatica. Oggi c’è la consapevolezza che, in un pianeta in crisi, anche l’uomo è tra le specie a rischio, per cui oltre alla difesa della natura nel suo complesso, l'associazione difende anche il benessere delle persone, non realizzabile senza tutelare la salute della natura.

«Le recenti azioni di protesta sono una modalità che non ci appartiene, stanno all'opposto del nostro modo di operare e anche di denunciare l'emergenza ambientale», afferma Costanza Pratesi, responsabile della Ricerca, Ufficio Paesaggio e Patrimonio del Fondo Ambiente Italiano. Il Fai è una fondazione senza scopo di lucro, creata nel 1975 e ispirata al National Trust britannico. Opera grazie al sostegno di privati cittadini, più di 600 aziende e istituzioni per tutelare, conservare e valorizzare il patrimonio di arte, natura e paesaggio italiano. «Quello che vogliamo comunicare lo facciamo attraverso la pratica, cioè mettendo in atto soluzioni o mostrando la crisi ambientale e climatica, raccontando cosa si può e si deve fare».

Gli iscritti sono 268mila, di cui 11mila i volontari in tutta Italia, con 19 direzioni regionali, 131 delegazioni, 107 gruppi Fai, 93 gruppi Fai giovani. La fondazione conta 71 beni istituzionali, di cui 55 aperti al pubblico e 16 in restauro. Il principale evento nazionale sono le Giornate FAI di primavera. «Nei nostri beni adottiamo sistemi caratterizzati da una sempre crescente sostenibilità, per il risparmio idrico e la riduzione dell'impronta di carbonio. Abbiamo sempre usato, nel restauro, forme di intervento a basso impatto ambientale, rifacendoci alle tradizioni culturali e alla manualità locali, impiegando materiali del luogo, in modo non invasivo e molto attento», continua Pratesi. «Negli anni il FAI è cambiato molto. All'inizio, negli anni Settanta, l'attenzione era concentrata sui monumenti, sui singoli elementi architettonici, con il tempo si è passati a considerare l'elemento fisico nel suo contesto paesaggistico e progressivamente questo ha assunto sempre maggiore importanza, anche in relazione con la comunità locale. L'elemento fisico architettonico assume così anche un valore sociale, oltre a quella valenza ambientale che da sempre è nel nostro nome».

«Il Cai fondato in Torino nell’anno 1863 per iniziativa di Quintino Sella, libera associazione nazionale, ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale»: è l'articolo 1 dello statuto del Club Alpino Italiano, che oggi conta 327mila iscritti. Il presidente, Antonio Montani, precisa che l'ambientalismo del Cai deriva principalmente dalla frequentazione delle alte quote: «La gran parte dei soci si avvicina perché pratica attività in montagna, per fare escursioni, alpinismo, speleologia. Il primo obiettivo quindi non è la protezione dell'ambiente. Negli ultimi dieci anni però abbiamo visto la situazione precipitare dal punto di vista climatico, non solo per la fusione dei ghiacci, ma anche per i crolli e le frane sempre più frequenti, per la siccità che si manifesta nei rifugi di alta quota, etc. In montagna l'impatto della crisi climatica è più visibile rispetto alle quote più basse».

Sulle Alpi, in effetti, si registra un incremento della temperatura media pari al doppio che nel resto d'Italia. Continua Montani: «Proprio a causa di questa presa d'atto, inizia a esserci una consapevolezza, soprattutto tra i soci più giovani, del fatto che, più che di azioni eclatanti, c'è bisogno di cambiare il proprio stile di vita, perché il modello attuale non è più applicabile. Il nostro quindi è un ambientalismo che fa prima di tutto una ricerca interiore, sui propri comportamenti, il modo di approcciarsi alla montagna e di pensare le alte quote nello scenario del cambiamento climatico».

Su 500 sezioni Cai, solo 26 hanno un presidente sotto i 40 anni: «Questo dà l'idea di quanto sia vecchia la nostra classe dirigente e quanto fatichiamo a cambiare», commenta Montani che, per tentare di invertire la rotta, ha avviato un confronto con i giovani che fanno parte dei consigli direttivi ed è nato un gruppo juniores. «Sono rimasto colpito dal livello di competenza e di preparazione, dalla loro voglia di ragionare sui problemi. Agli incontri si respira una grande voglia di fare, di trasformare anche la stessa associazione. I giovani hanno meno timore di esporsi e alcune loro prese di posizione sono molto energiche, dirette, rispetto allo stile pacato che da sempre caratterizza il Cai. Ascoltarli, oggi, è doveroso e sono certo aprirà nuove possibilità di crescita per l'associazione».


In apertura escursione sulle Alpi Apuane – foto Giovanni Fatighenti – Cai Sopra tavoli di lavoro giovani Cai foto di Francesco Tomé


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