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Corte dei Conti: «Beni confiscati, così è difficile il riuso sociale»

La magistratura contabile rilancia l'allarme sui patrimoni sequestrati ai mafiosi e dettaglia quali siano ancora le difficoltà che non rendono effettiva la restituzione dei beni

di Francesco Dente

La Corte dei conti lancia un nuovo monito sulle inefficienze nella gestione dei beni sottratti alle mafie.

Nonostante gli importanti passi in avanti compiuti, lo Stato fatica a portare a termine le procedure per il riutilizzo a fini sociali del patrimonio sequestrato o confiscato alla criminalità organizzata. Un patrimonio «ormai veramente ingente ed in continua crescita», scrivono i magistrati contabili. C’è il rischio di lasciarsi sfuggire un’opportunità per affermare la «primazia dello Stato sulla criminalità». Specie se la pubblica amministrazione non metterà in campo azioni «veramente innovative». Sono queste, in sintesi, le conclusioni a cui giunge la Corte dei Conti nella relazione con cui (dopo le istruttorie del 2010, 2014 e 2016) torna a mettere sotto la sua lente l’attività dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata – Anbsc.

La Corte, prima di esaminare i fattori che ostacolano l’assegnazione dei beni, sottolinea il valore simbolico del riuso sociale. Il contrasto al crimine «non può definirsi completo, cioè riuscito ed efficace, se non coronato da una concreta attività di restituzione dei beni». L’antimafia, insomma, non si esaurisce nell’attività investigativa e giudiziaria ma ha senso solo se si conclude con la restituzione dei beni alle comunità.

Le principali criticità del procedimento di assegnazione dei beni

Sono diverse le cause che limitano la destinazione dei beni sottratti alla criminalità organizzata. È la stessa Agenzia che le elenca in risposta all’attività istruttoria svolta dai giudici contabili. Pesano, oltre la nota carenza di risorse finanziarie degli Enti locali e del Terzo settore necessarie per rendere funzionali i beni, la scarsa conoscenza dell’esistenza di finanziamenti utilizzabili e delle relative modalità di acquisizione; l’insufficienza delle capacità tecnico-amministrative delle pubbliche amministrazioni destinatarie; le condizioni qualitative e manutentive dei beni confiscati; la mancanza di appetibilità di alcuni beni in relazione sia alle loro caratteristiche giuridiche, ad esempio i fondi interclusi o le confische pro-quota, sia alle caratteristiche tecnico-urbanistiche, si pensi alla diffusa presenza di abusi, anche insanabili, e alla difficoltà di variazione delle destinazioni d’uso. C’è infine, è non è un problema irrilevante, la difficoltà determinata dalla concentrazione geografica dei cespiti confiscati in territori che, avendo già ottenuto numerosi beni, non sono in grado «di gestire e valorizzare ulteriori acquisizioni».

La mancanza di dati aggiornati e completi

La Corte dei Conti rileva che mentre possono dirsi superate le carenze emerse dalle precedenti indagini (ad esempio in materia di linee guida e di protocolli di cooperazione con altri enti, associazioni e dicasteri) non si può dire altrettanto per quanto riguarda sia la complessità e la durata (intorno ai 4-5 anni) dei procedimenti di sottrazione e di destinazione dei beni, sia per quel che attiene alla conoscenza effettiva e puntuale dei beni sottoposti a sequestro o confisca. I magistrati puntano il dito infatti contro «l’annoso problema della verifica della completezza dei dati riguardanti il bene, dei loro flussi e distribuzione, in maniera che questi raggiungano in tempi contenuti, un sufficiente livello di accountability, completezza, visibilità ed accessibilità».

È «inaccettabile», tuonano i giudici contabili che a distanza di 12 anni dall’avvio del sistema i flussi talvolta riportino indicazioni errate e rimangano incompleti. Il riferimento è ai procedimenti penali. Per questo motivo raccomandano «vivamente» ogni sforzo utile per la bonifica dei dati già inseriti e per la prosecuzione del passaggio in atto tra le piattaforme (da Open Regio a Coopernico) e auspicano la realizzazione di un sistema informativo unico.

Senza dati, è il mantra ripetuto, non si può peraltro compiere il monitoraggio dei numerosi beni già assegnati. Osservazione necessaria per avere un riscontro delle qualità delle scelte compiute. La Corte dei Conti suggerisce, a tal proposito, di coinvolgere maggiormente le associazioni e le fondazioni impegnate nel contrasto alla mafia al fine «anche ad individuare i beni non utilizzabili e dunque vendibili a privati» come extrema ratio di fronte all’aumento dei beni confiscati e alla difficoltà di riutilizzo a fini sociali.

In apertura manifestazione antimafia in Sicilia.


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