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L’accoglienza è cura

Dare un tetto a bambini e adulti costretti a lasciare la propria casa per ragioni mediche ne facilita il benessere e la ripresa. Al congresso «L’evoluzione della cura» si è parlato di vita oltre, e dopo, la malattia con oncologi, pazienti e volontari

di Nicla Panciera

Molto è successo da quando, a Milano, quelli che oggi chiamiamo migranti sanitari sostavano sulle panchine perché troppo indigenti per potersi pagare un alloggio. Proprio l’incontro con un pover’uomo, valigia in mano, ha portato Lucia Vedani a fondare CasAmica Onlus, organizzazione di volontariato che dal 1986 accoglie i malati e i loro famigliari in difficoltà provenienti da tutta Italia e dall’estero per curarsi negli ospedali di Milano e oggi anche a Lecco e a Roma. Del bisogno di accoglienza si è parlato al congresso «L’evoluzione della cura» a Milano promosso da CasAmica ODV e Fondazione Roche, un’esigenza tanto sociale quanto sanitaria come ha evidenziato l’assessore al Welfare del Comune di Milano Lamberto Bertolé, perché «spesso un bisogno di salute ne ha dietro di sé uno sociale. L’integrazione sociosanitaria è una delle priorità insieme oltre alla creazione di una vera cultura della salute e all’integrazione tra competenze diverse. Mosse inevitabili, perchè la ricchezza non aumenta così come invece stanno facendo le soluzioni fornite dalla ricerca biomedica».

Quella capacità di prendersi cura dell’altro, combinata all’ascolto empatico e a una buona comunicazione è cruciale per un clinico: c’è chi ce l’ha, chi no e ancora a troppo pochi viene insegnata. Maura Massimino, responsabile della struttura complessa di pediatria oncologica dell’Istituto Nazionale Tumori Irccs di Milano, la chiama «artigianato parascientifico». Ogni anno in Italia si ammalano di cancro 1600 bambini e 900 adolescenti. «Quelli del bambino sono l’1-2% di tutti i tumori e sono malattie diverse da quelli dell’adulto» spiega, aggiungendo che oggi il 60% di loro guarirà, quindi nella fascia tra i 20 e i 39 anni oggi una persona su 530 ha avuto un tumore pediatrico. Quindi, uno degli obiettivi, oltre all'aumento della sopravvivenza, è proprio quello della qualità della vita, evitando ai lungo-sopravviventi sequele in età adulta dovute alla malattia o indotte dalle terapie antitumorali. I tumori pediatrici sono rari e un pediatra ne vedrà pochi casi in tutta la sua carriera, per questo le famiglie si spostano per recarsi nei centri specialistici. All’Istituto Tumori si curano i tumori solidi dell’età pediatrica, al San Gerardo di Monza quelli del sangue. Il 40% dei piccoli pazienti in cura all’Istituto dei tumori di Milano viene da fuori regione: «L'accoglienza è una cura» dice Massimino «Dopo la diagnosi nulla sarà più come prima, sarà comunque diverso: il bambino che arriva in Istituto ha già la vita sconvolta perché ha dovuto modificare le sue abitudini come la scuola e gli amici; è al capolinea» [dice mostrando il disegno di un treno in stazione di un piccolo paziente).

In collaborazione con l’Istituto, CasAmica – che nelle sei Case tra Milano, Roma e Lecco accoglie ogni anno oltre 4000 persone e una settima struttura è in via di costruzione alle porte di Milano, che potrà ospitare fino a 60 persone al giorno, – ha attivato anche uno spazio di ascolto che offre supporto alle persone che hanno affrontato il percorso della malattia e delle cure e sono guarite, aiutandole, attraverso l’intervento di una psicologa, di un assistente sociale e di un educatore, a ricostruire un progetto di vita e a muovere i primi passi verso la sua realizzazione. Il sostegno, reso possibile dalla collaborazione con realtà locali e istituzioni, può riguardare la ricerca di un nuovo lavoro, di una nuova sistemazione abitativa o di corsi e stage di formazione. «Quanto dura lo stato di necessità?» domanda Laura Veneroni psicologa e psicoterapeuta di Int. In molti direbbero: fino al termine delle cure. Invece no: «Spaventa la normalità, si teme di scoprirsi non più capaci di fare quello che prima era semplice. Spesso non si può lasciare che il tempo faccia il suo corso, perché le cose non affrontate possono peggiorare». Per evitare che succeda, serve consapevolezza e aiuto. Come quello che viene anche dal volontariato aziendale.

A chiudere i lavori del convegno è stato il volontariato aziendale di Fondazione Roche: «Il prendersi cura, che è nelle corde di Int e di CasAmica, è anche nelle nostre. Per questo, abbiamo lanciato da pochi giorni l'iniziativa Roche torna a farsi in 4: 4.000 ore di volontariato di impresa, mettendo a disposizione il nostro tempo, e di competenza, mettendo a disposizione le nostre capacità specifiche, a supporto delle attività di CasAmica, Legambiente, PizzAut Onlus e Lilit Milano Monza Brianza» afferma Sara Giussani, People & Culture Pharma Head di Roche S.p.A. «Siamo stati in prima fila durante la pandemia, collaborando con le istituzioni pubbliche, attraverso l’impiego di 250 dipendenti a favore del call center ministeriale per la gestione delle chiamate di emergenza. Ci siamo resi conto quanto è importante creare circoli virtuosi, perché ognuno di noi in azienda ha amici e parenti cui trasmette esperienze e valori. Anche per questo ora abbiamo reso questa iniziativa, molto apprezzata e partecipata all’interno, più strutturata». Nell'ambito di CasAmica, i volontari Roche verranno coinvolti in attività ludico-creative per i bambini ospiti delle case accoglienza.


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