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Napoli, lo scudetto dimostra che il lavoro di squadra premia e che il Sud può farcela

«La missione del futuro se vogliamo vincere è questa: non possiamo fare una squadra di soli difensori, portieri, centrocampisti. Una squadra fatta di solo Terzo settore non può vincere», dice don Antonio Loffredo, direttore delle Catacombe di Napoli, durante l'incontro "Il sociale prima dell’economico per uno sviluppo possibile”, organizzato da Fondazione Con il Sud, a Caivano, un comune di periferia a nord della città. «Per il futuro del Sud abbiamo bisogno di allenatori che sappiano anteporre sempre il sociale all’economico, ritenendo, quindi, inutili i finanziatori senza ragionevoli calciatori. Forza Napoli! Forza Sud!»

di Redazione

L'intervento di don Antonio Loffredo, direttore delle Catacombe di Napoli, durante l'incontro di Fondazione Con il SudCon il Sud, un futuro già visto. Manifesto alla rovescia: il sociale prima dell’economico per uno sviluppo possibile” – lo abbiamo raccontato qui "Caivano, nel ghetto della droga il sociale sfida la camorra (e l’assenza dello Stato)" – organizzato per il termine del mandato di Carlo Borgomeo, per 14 anni alla guida di Fondazione, a lui succede il professore Stefano Consiglio. Le parole di Loffredo restituiscono una fotografia piena di speranza per Napoli, la Campania e tutto il Mezzogiorno. E sono una direzione per le realtà del privato sociale che lavorano nei territori del Meridione.

"Qualcuno mi ha raccontato che una volta Benedetto Croce disse: «Mi intendo poco di calcio, ma quando il Napoli perde è una brutta domenica». Nemmeno io m’intendo di calcio, però a Napoli è immediata la percezione di quanto sia radicata e speciale la passione per la squadra della città. Una passione che va ben oltre il fatto sportivo. Segnala una sorta di vera e propria identificazione della gente con la squadra, alla quale si chiede, più o meno consapevolmente, il riscatto della terra, considerata per molti versi bistrattata.

Come scrisse Malaparte: «Napoli è l’altra Europa. Che la ragione cartesiana non può penetrare». Rabbia, forza, vitalità hanno caratterizzato il destro di Osimhen. Un tiro che ha sigillato non solo il terzo scudetto ma anche un anno meraviglioso che ha visto il Napoli dominare il campionato. Dopo quella rete è esplosa una contagiosa energia. Un popolo che nel suo dialetto non è abituato a coniugare i verbi al futuro si è sentito all’improvviso proiettato verso i nuovi traguardi del suo futuro.

Quella sera non si festeggiava un miracolo. Non era uno scudetto meritato per la presenza di un indiscusso fuori classe. Lo scudetto di quest’anno è la dimostrazione che il lavoro di squadra premia e che il Sud, se vuole, può farcela, senza trucchi o imbrogli, ma sfruttando talento, fantasia, genialità, capacità di lavoro. Questo momento, ricco di energia positiva, è una straordinaria opportunità e conferisce maggiori responsabilità per chi ha responsabilità.

La missione del futuro, se vogliamo vincere, è questa: non possiamo fare una squadra di soli difensori, portieri, centrocampisti. Una squadra fatto di solo Terzo settore non può vincere. È urgente coinvolgere nella squadra ruoli fondamentali: come gli Imprenditori, gli amministratori e i dirigenti pubblici. Altrimenti gli scudetti tardano ad arrivare.

Chi ha responsabilità deve favorire il gioco collettivo, sinodale, agendo con la stessa determinazione e voglia di vincere degli azzurri. È urgente accrescere in tutti la fiducia in sé stessi, la capacità di iniziativa, il rafforzamento dell'appartenenza sociale e culturale. La volontà e la capacità di essere al contempo soggetti e attori del proprio divenire. La Fondazione con il Sud, in questi anni, ha aiutato non poco il Terzo settore ad uscire dalla oleografia, ci ha stimolati ad operare concretamente per trovare nuove possibili forme di lavoro per i giovani, e provando a ridare un po’ della perduta dignità di un popolo antico. In questi anni, sollecitati dalla Fondazione Con il Sud, il Terzo settore ha incominciato a conoscersi, frequentarsi, stimarsi. Tra i presenti qui, oggi, ci sono legami. Stiamo diventando pian piano sempre più una squadra, una comunità.

E quando un territorio incomincia a diventare comunità non si resta più inerti, si inizia ad agire e a reagire. È quando si curano i legami, e c’è una Comunità, c’è sviluppo.

Mi è stata chiesta una riflessione sul futuro del nostro Sud partendo dal lavoro e dalle esperienze di rete avviate in questi anni nelle regioni meridionali. Il titolo non poteva non essere che “il sociale prima dell’economico” da anni la Fondazione con il Sud non sa raccontare altro, un mantra. Carlo Borgomeo, che di questo paradigma ne ha fatto la sua missione, termina quest’anno il suo impegno alla Fondazione con il Sud. Quarant’anni di lavoro con il Sud e, in questi ultimi 14 anni, presidente di una Fondazione che si occupa dell’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno.

Il raffinato e concreto meridionalista (in riferimento a Borgomeo) , ricco di relazioni ed esperienze dovrà trovare il modo di continuare a stimolarci con le sue riflessioni e ad essere, per la grande squadra del sociale al Sud, sempre l’ottimo allenatore – come Spalletti – capace di creare squadre formate da giovani che non avevano mai vinto un campionato e squadre capaci di trasformare la multiculturalità in risorsa, anzi, come è successo a Napoli, in una festa. Squadre necessariamente destinate alla vittoria.

Nel futuro del Sud servono gli allenatori. «Su tutti effonderò il mio Spirito; – dice Dio nel libro di Gioele – i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni». Abbiamo bisogno di persone adulte che fanno sogni, che parlino dei beni comuni, della reciprocità, del dono, di comunità, di sussidiarietà circolare, di beni relazionali… di sociale prima dell’economico.

Perché i giovani possano profetizzare necessita un ambiente allietato dai sogni e dalle speranze degli adulti. Ciò è vero soprattutto per la vita civile ed economica. Oggi la mancanza di grandi sogni generativi di futuro da parte degli adulti sono il primo ostacolo che i giovani stanno incontrando e lo è ancora di più per le comunità e le organizzazioni radunate intorno ad ideali comunitari.

Abbiamo bisogno per il futuro del Sud di adulti che continuino a sognare approcci diversi al tema dell’economia, che rimettono il cuore al centro, inteso come relazioni, comunità, condivisione.Abbiamo bisogno di sognatori con i piedi per terra, di uomini che hanno messo in cammino i loro sogni.

Carlo Borgomeo con curiosità intellettuale, con spirito libero, di città in città, con chiarezza concettuale rara e una capacità comunicativa fuori dal comune, ci racconta da anni i suoi sogni sul Sud. Sogni raccontati sempre per via argomentativa e mai ideologica, con parole che mettono in moto cambiamento, producono innovazione, parole cariche di futuro che alimentano la speranza di ciascuno.

Vivendo al Sud, ho spesso ripensato a Vincenzo De Pretore, l’immortale figura coniata da Eduardo De Filippo, un ladruncolo che aveva «industrializzato la disonestà», vale a dire rubava per campare, ma una volta gli era andata male. La vittima gli aveva sparato, riducendolo in fin di vita. L’autore immagina che, giunto al cospetto di Dio, Vincenzo confessi, fra l’altro, il suo status di figlio illegittimo e chiede conto del destino di quelli che, come lui, non hanno avuto diritto ad avere un padre e anche di chi si è visto negare addirittura la possibilità di venire al mondo pienamente.

Vincenzo ipotizza che, forse, Dio li accoglierà in Paradiso senza che loro neanche lo sappiano. In questo caso, però, qualcuno dovrebbe spiegarlo a quelle «creaturelle», …. ed è a quel punto che De Pretore interroga Dio. Imbarazzato da un simile rimbrotto, Dio interroga in proposito San Ciro, il Medico di Corte. Questi rende noto a Dio che in Paradiso non c’è più posto per ricoverare questi angioletti, che arrivano a bizzeffe. Il rammarico di San Ciro tocca il cuore di Dio, quando Ciro descrive le tante notti che ha trascorso ad accudirli, cercando di medicare le loro piccole spalle monche con unguenti e pomate, ma le ali non possono spuntare. A questo punto la risposta di Dio è paterna, tenera e inflessibile: «Non fa niente. Non voleranno mai questi angioletti. Non importa, sono piccini e li porterò a passeggio con me. Per come vanno le cose sulla terra, c’è però una mia Legge che non perdona. Chi dice “Dio non se ne accorge” si sbaglia, perché a quella Legge dovrà rispondere».

Mi sono convinto, giorno dopo giorno, che noi gente del sud siamo finiti col diventare un po’ come i figli «illegali» di cui parla De Pretore Vincenzo, i cui diritti sembrano non sanciti mentre evidenti risultano gli handicap che ci penalizzano in partenza.

A volte siamo stanchi ma non ci lasceremo mai rubare la speranza. Abbiamo avviato al Sud tante cose belle. E se questi tempi ci appaiono bui, forse dipende anche un po’ dalle nostre attese troppo elevate, che hanno generato una sorta di riflusso. Ora lo stiamo subendo, ma passerà, ne sono persuaso. Il nostro compito è prepararci a sostenere la portata delle idee rivoluzionarie nascoste nei sogni degli adulti. Nel frattempo – come abbiamo fatto per 33 anni per il terzo scudetto – bisogna resistere e aspettare il nuovo giorno, sperando che giunga presto.

Il Sud ha dato tanto e altrettanto ha ancora da dare. E quando la vita diventa difficile e ci si stringe addosso, allora è necessario fare come oggi: ricordare le cose belle, fare largo al positivo, rinforzare la speranza. Può servire allora uno scudetto, una canzone bella come quella di Sting cantata al carcere di Secondigliano o il racconto di una bella storia.

Una storia da narrare in modo che sia essa stessa un aiuto, come ricorda il filosofo Martin Buber a proposito di suo nonno. L’uomo era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare del suo maestro. Allora raccontò come egli solesse saltellare e danzare mentre pregava e, intanto che parlava, si alzò e si mise a volteggiare a sua volta. Il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare come facesse il maestro. Da quel momento lo storpio, guarì.

Così vanno raccontate le storie, così vanno raccontati i sogni degli anziani. Antoine de Saint-Exupéry scrive: “Ecco perché chiamo inutili i finanziatori e ragionevoli le danzatrici: Non perché disprezzi l’opera dei primi, ma perché ne disprezzo l’arroganza, la sicumera e la soddisfazione di sé perché si credono lo scopo e il fine e l’essenza, ma sono solo dei valletti e prima di tutto sono al servizio delle danzatrici”.

Per il futuro del Sud abbiamo bisogno di allenatori come Carlo Borgomeo che sappiano anteporre sempre il sociale all’economico, ritenendo, quindi, inutili i finanziatori senza ragionevoli calciatori. Forza Napoli! Forza Sud!"

*Don Antonio Loffredo, direttore Catacombe di Napoli