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Attivismo civico & Terzo settore

Tempo di resistenza

di Paolo Dell'Oca

Molti di noi hanno paura della povertà, molti hanno paura dei poveri. Come se fosse la stessa cosa. Si dice aporofobia: gli ultimi ci ripugnano in una società dei consumi, come la nostra, dove siamo definiti dal nostro carrello Amazon, il cui algoritmo ci avvisa di ogni scontistica su qualunque cosa che per caso abbiamo cercato nel corso degli ultimi 20 anni. La povertà altrui ci disturba, la povertà nostra ci atterrisce.

Daniel Attinger, monaco cofondatore della comunità di Bose, mi ha ricordato che la povertà è una vocazione cristiana. Non il migliore dei payoff per la Chiesa oggi. O invece sì?

Molti di noi hanno paura dei poveri, molti hanno paura dei poveri cristi arrivati attraversando il mare senza saper nuotare, spesso per fuggire dalla disperazione. Ne siamo terrorizzati, sono diversi da noi, e tra le prime cose che si dice di loro è che non sono poveri. Hanno un telefonino, per dire. Loro, noi.

Il primo viaggio costa mille euro, il giubbotto cento, per tutti dolore e spavento, e puzza di sudore dal boccaporto e odore di mare morto. Sior Capitano mi stia a sentire ho belli e pronti i mille euro, in prima classe voglio viaggiare su questo splendido mare.

Molti di noi hanno paura dei migranti, molti hanno paura dei migranti invisibili. Abbiamo paura perché ci viene detto che i migranti si stanno sostituendo a noi, e noi non vogliamo essere sostituiti. Anche se l’unico africano che conosciamo è Robert, il ragazzo che sistema il campo alla Pro Patria. Un bravo ragazzo, e che c’entra lui? Io non sono mica razzista. Ma la televisione mi dice che ci stanno invadendo e perché non dovrei fidarmi? La televisione mi dice che devo fidarmi della televisione, tranne che di La7 e di Fazio. E allora io mi fido.

Dove non arriva la televisione arriva il web, e grazie a Facebook Library sappiamo che le sponsorizzazioni Facebook di Salvini han preso di mira, prima delle elezioni, anche giovani sotto ai 18 anni. Giovani che non votano, quindi. Per spiegare loro chi è il nemico, visto che spesso la scuola mistifica la realtà.

Molti di noi hanno paura dei migranti invisibili, molti hanno paura dei burocrati di Bruxelles. Che decidono del nostro futuro strappandoci soldi che invece noi potremmo fare arrivare al sistema sanitario nazionale. Ah no, quello era Farage, anche se il giorno dopo il referendum per la Brexit ha riconosciuto che non era vero. Promessa da marinaio.

Alt Gr + Shift –> Apro una parentesi nerd, ma il discorso fluisce anche saltandola.

{Che tra migranti e Bruxelles pare un po’ il Trono di Spade, e d’altronde questa serie tv è passata dall’essere sociologica (in cui ti racconto con dovizia di particolari un mondo, con la sua economia e la sua amministrazione, la sua cultura e la sua storia, e ti appassiono a questo mondo e tu rimarrai anche se moriranno i personaggi principali, perché la morte fa parte della vita in ogni mondo) all’essere psicologica (in cui rendo i personaggi principali protagonisti di imprese incredibili da cui ne escono vincitori senza mai morire, che sono degli eroi di Hollywood e vincono anche la morte).

E tutto questo mi ricorda moltissimo la politica diventata leaderistica, in Italia, ma anche negli USA e altrove, in campagna elettorale permanente dove sempre di più si fa il tifo per gli eroi, i capitani, e non per una visione complessiva capace di prescindere dagli interpreti.}

E vabbeh, fine parentesi nerd.

E il meglio accade in Ucraina dove Volodymyr Zelensky, l’attore comico che nella serie TV Servitore del popolo ha interpretato un professore di storia che per una serie di equivoci diventa presidente, diventa presidente. Nessun equivoco.

Un discorso politico che cambia velocemente, in cui molti di noi hanno imparato ad avere dei nemici, e forse ne hanno bisogno, che la nemicalizzazione da un punto di vista psico-sociale è un fenomeno che afferisce alla sfera affettiva degli individui provocando purtroppo conseguenze sul medio periodo, instillando nelle persone la fondatezza dello schema amico-nemico, ed estendendosi ad altre diversità significative: nazionalità, genere, orientamento sessuale, credo religioso.

Come produrlo? Matteo Pucciarelli, giornalista di Repubblica, nel profetico Anatomia di un populista (Feltrinelli, 2016), descrive alcune tecniche della squadra di comunicazione salviniana tra le quali menziono due passaggi di Psicologia delle folle, di Gustave Le Bon, del 1895.

L’affermazione pura e semplice, svincolata da ogni ragionamento e da ogni prova, costituisce un sicuro mezzo per far penetrare un’idea nello spirito delle folle.

E il semplicismo caratterizza la comunicazione di molti leader attuali su diversi media, ma anche la ripetizione dei messaggi: “Napoleone diceva che esiste una sola figura seria di retorica, la ripetizione”.

“Napoleone diceva che esiste una sola figura seria di retorica, la ripetizione”.

Ok, scusate, era per alleggerire.

Quando c’è un loro spesso non c’è più un noi, e rimane soltanto un io. Provate a chiedere ad una persona se si senta più o meno intelligente della media, più o meno giusta, più o meno meritevole: sono io il più arguto, il più sapiente, finanche il più equilibrato. E, se sono migliore della media, perché vengo puntualmente ostacolato nella corsa verso la mia felicità? Ostacolato da loro. Che mi rubano il lavoro, la ricchezza, contro i quali mi devo difendere.

Questa china va contrastata a più livelli, è inaccettabile che anche solo una organizzazione non governativa ritenga opportuno creare delle campagne di raccolta fondi giocando su una comunicazione complice di una cultura criminale. Dobbiamo chiamarci ad attuare nuove forme di resistenza, che non temano di schierarsi dalla parte di chi salva le persone e a prendere le distanze da chi arriva, con un gesto che ha del sacrilego, a calpestare il pane.


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