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Maria Brasca 10 – Chiara Ferragni 3

di Riccardo Bonacina

Il caso ha voluto che la prima di Maria Brasca, testo di Giovanni Testori del 1960 riportato in scena da Andrée Ruth Shammah in occasione del centenario testoriano, cadesse pochi giorni dopo Sanremo il Festival che ha avuto un’indubbia protagonista femminile, Chiara Ferragni (qui un mio precedente articolo).

La vicinanza temporale tra i due eventi mi ha indotto a fare un parallelo tra i due tipi femminili, i due prototipi di donna, l’operaia di Testori, 27 anni, che vive in periferia, a Vialba, nei “fabbriconi” anni cinquanta dove il rumore degli sciacquoni fa da sottofondo, innamorata persa del suo bijoux, il Romeo Camisasca giovane disoccupato, e la regina dell’algoritmo, l’influencer più ricca e famosa d’Italia che vive nel quartiere più fighetto di Milano insieme al suo compagno rapper di successo con cui divide non solo casa e figli ma anche i proventi della notorietà.

È un paragone, lo so, del tutto arbitrario, rischioso, perchè non tiene conto dei diversi contesti e delle differenze enormi ad oltre sessant’anni di distanze.

Eppure, se è vero che la Maria Brasca, come scrive Gad Lerner nella prefazione alla nuova edizione del libro per Feltrinelli, incarna “la vera novità che emerge in quel passaggio di decennio, fra i Cinquanta e i Sessanta del Novecento: giovani donne che andando a lavorare in azienda si liberano dalla schiavitù domestica, pur dovendo continuare a fare i conti con i tabù sessuali ancora imperanti”,iIl paragone diventa lecito: visto che la Ferragni, sia pur in un contesto diverso, invita a una nuova liberazione come scritto nel suo (debole) monologo proprio a Sanremo: “Noi donne siamo abituate a farci piccole davanti a uomini duri. Se non mostri il tuo corpo sei una suora, se lo mostri troppo sei una prostituta. Essere una donna non è un limite, dillo alle tue amiche e lottate insieme ogni giorno per cambiare le cose”.

Ma sin a qui siamo ai contorni sociologici del paragone, siamo ancora in superficie, siamo alle similitudini tra le due donne lombarde. Se si va più a fondo si scoprono delle differenze abissali tra i due tipi femminili.

La liberazione di Maria Brasca passa attraverso l’amore, il perdere la testa per un uomo, il legarsi a lui in tutti i sensi, carnale e affettivo. “La felicità a me sembra d’attaccarla anche agli altri”, e ancora, “Sai cos’è per me la vera, l’unica dignità? È quello che abbiamo fatto insieme; ecco cos’è. Quello e nient’altro”, i quattro mesi di amore appassionato. La Brasca vive tutta dentro questa relazione d’amore appassionata, sensuale, “Esser gelosa? Far la guardia? Le catene per me sono quel che abbiamo fatto insieme …e io d’esser legata in questa maniera son contenta”, dirà al suo Romeo. Una tigre come la definisce lui, una definizione che lei accetta “Denti stretti; occhi fissi: una tigre, ecco, una tigre; e con tutte le unghie in fuori, sono”. La Brasca non ha paura e non ha vergogna: “Quando vado con uno, io lo faccio al sole, davanti a tutti, perché per me, in queste cose qua, non c’è niente da nasconder, e questo è tanto vero che tutti san poi di tutto. Voi invece, le vostre faccende, che sono poi faccende del lella, ve le combinate di nascosto; silenzio qua, silenzio là. Salvo poi farsi scoprire sdraiati su un prato come, né più né meno, che dei cani”.

E quando la sorella le chiede: “chi alla fine, ti vorrà più prendere sul serio e sposare?”, Brasca senza esitare risponde: “ Chi mi vorrà bene, ma bene come lo intendo io. Cosa ho poi fatto alla fine se non difendere quel che adesso per me rappresenta tutta la vita?”.

C’è la densità della vita e tutta la potenza dell’amore e del sesso nella Maria di Testori. Dimensioni che è difficile rintracciare nelle performance di Chiara Ferragni, invece tutta autocentrata, concentrata sull’affermazione di sè sopra ogni cosa. Come scrive nel suo monologo: “Sai, la gente mi conosce e mi chiede selfie insieme. È una bella sensazione venire apprezzata da milioni di persone, poi sai, non piaccio proprio a tutti, ma piaccio a me stessa e questo è un ottimo inizio”.

Insomma, a me sembra che non ci sia gara, vorrei diventare amico di Maria Brasca, con tutti i rischi che questo comporterebbe essendo una vera tigre, piuttosto che di Chiara Ferragni sicuramente più interessata allo specchio che a me.

Come disse in un’intervista Giovanni Testori (Europeo 13/3/1960): “La Lombardia è piena di donne come la Brasca. Sono creature di carne e di sangue, c’è in loro una strana fusione di lealtà e testardaggine, di amore verso un uomo e di sensualità verso gli uomini in genere, di desiderio di dominio e di voglia di essere dominate. La Brasca è una donna sul serio, santo Dio!”.

Sono passati più di sessant’anni e dio conservi tante donne made in Maria Brasca. Per conoscerla andate al teatro Parenti, sino al 5 marzo con Marina Rocco.


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