Il caso

Vittime della malagiustizia, dimenticate dallo Stato: Beniamino Zuncheddu: «Per fare la spesa devo chiedere i soldi ai miei familiari»

Beniamino Zuncheddu, assolto nel 2024 dopo 33 anni di ingiusta detenzione, racconta a VITA come fa a vivere in attesa di un risarcimento che non arriva. Ma non è l'unico in questa condizione. La raccolta firme del Partito Radicale

di Luigi Alfonso

«La solidarietà nei miei confronti non è mai venuta a mancare, sia quand’ero in carcere, sia dopo l’assoluzione definitiva. Ma di solidarietà non si vive. E, dopo aver bruciato oltre trent’anni della mia vita senza aver commesso alcun reato, ora mi tocca sopravvivere continuando a chiedere aiuto ai miei familiari. È davvero assurdo». Beniamino Zuncheddu, ex pastore di Burcei (Cagliari) tornato in libertà un anno fa dopo 33 anni trascorsi tra detenzione e arresti domiciliari, continua a vivere un incubo infinito. Lui, che era stato condannato all’ergastolo con l’accusa di triplice omicidio, formalmente (e tardivamente) è stato riconosciuto innocente, ma ora si trova a combattere un’altra battaglia contro lo Stato: quella per vedere riconosciuto il risarcimento danni.

Il Partito Radicale si è fatto promotore di una raccolta firme: ne servono cinquantamila per sostenere la proposta di legge di iniziativa popolare presentata presso la Corte di Cassazione dalla prima firmataria (Irene Testa, Garante dei detenuti della Sardegna) e da Gaia Tortora, figlia dell’indimenticato Enzo (nella foto d’apertura). «A gennaio abbiamo presentato questa proposta che riguarda undici vittime di ingiusta detenzione, tra le quali figura Beniamino Zuncheddu», spiega la stessa Testa. «La campagna sta andando bene, si stanno mobilitando numerosi comitati e tantissimi cittadini: sono davvero felice di questo. Puntiamo al riconoscimento di una provvisionale economica in attesa della sentenza di risarcimento danno. Oggi, dopo l’assoluzione, possono passare anche dieci anni, prima di essere risarciti. A volte, una persona fa in tempo a morire, prima di vedere riconosciuto un suo diritto. Spesso intervengono la Caritas e altri enti del Terzo settore, a dare una mano d’aiuto, oppure la famiglia dell’ex detenuto. Non è giusto che a queste persone venga negata ancora una volta la libertà di poter vivere serenamente, dopo ciò che hanno patito. Non appena raggiungeremo le 50mila firme, dovrebbe essere discussa in Senato entro i successivi due mesi».

Beniamino Zuncheddu nella casa della sua famiglia, a Burcei (Cagliari)

«Questa iniziativa del Partito Radicale non è solo a mio favore, ma riguarda tante persone che, come me, hanno pagato duramente gli errori giudiziari», sottolinea Zuncheddu, diventato suo malgrado uno dei casi simbolo della malagiustizia italiana. «Quando una persona viene riconosciuta innocente, dovrebbe uscire dal carcere con il riconoscimento di una sorta di indennità, almeno un anticipo che consenta di vivere dignitosamente. Io ho 61 anni, chi mi prende a lavorare a questa età? Se non avessi una famiglia che mi vuole bene e che mi è stata sempre vicina, credendo nella mia innocenza sin dal primo istante, mi dite che fine avrei fatto? Forse avrei dovuto rubare? Vi sembra normale che, per acquistare un paio di pantaloni o una camicia, andare a mangiare una pizza oppure fare la spesa, debba ancora chiedere i soldi ai miei familiari?».

«In tutto questo tempo, lo Stato non si è fatto vedere e neppure sentire», prosegue Zuncheddu. «Il mio avvocato (Mauro Trogu, ndr) sta lavorando con grande impegno e serietà, ma i tempi sono lunghissimi. E, lo ripeto, nelle stesse condizioni ci sono altre persone. Non solo Burcei, ma tante altre comunità della Sardegna e della penisola si stanno mobilitando per raccogliere al più presto le firme necessarie. Questo mi conforta, la gente non può fare davvero di più. Ma le risposte concrete devono darle altri».

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