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Innovazione sociale

Se la realtà virtuale diventa una macchina di empatia

di Ottavia Spaggiari

L’incontro con i creatori di Clouds over Sidra, l’esperienza immersiva che permette di visitare il campo profughi di Zaatari attraverso la realtà aumentata e ha spinto l’85% degli spettatori ad impegnarsi concretamente, donando tempo e denaro a progetti che sostengono i rifugiati

Indossare un paio di occhiali e ritrovarsi letteralmente tra le tende del campo profughi di Zaatari, in mezzo a un gruppo di bambini ricoperti dalla terra rossa della pianura giordana. È quello che succede guardando la versione immersiva di Clouds over Sidra, il cortometraggio documentario girato a 360° da Gabo Arora, direttore creativo delle Nazioni Unite, che, grazie alla realtà virtuale, permette allo spettatore di seguire Sidra, una bambina di 12 anni, attraverso le strade del campo, abitato da 80mila persone costrette a lasciare la Siria, in fuga dalla guerra e oggi diventato la quarta città più grande della Giordania. La potenza di questo nuovo mezzo narrativo, è stata colta colta da Tim Jones, CEO dell’organizzazione non profit canadese, Artscape, che ha deciso di trasformare la proiezione in VR del film in uno strumento di attivazione concreta a favore dei rifugiati, per i cittadini canadesi. A portare la proiezione a Milano, Meet the Media Guru, la piattaforma di osservazione delle tendenze emergenti a livello economico, sociale e culturale, fondata dalla critica e storica dell’arte, Maria Grazia Mattei. Abbiamo incontrato Gabo Arora e Tim Jones, per capire come la realtà virtuale può aiutarci a costruire empatia, rendendoci, forse un po’ più umani.

Perché la scelta di raccontare la storia di Sidra attraverso la realtà virtuale?

Gabo Arora: Molto spesso chi si occupa di temi sociali soffre di una sorta di insicurezza, è facile sentirsi tra gli ultimi in termini di capacità di narrazione. Noi avevamo un brand forte, quello delle Nazioni Unite, un pubblico di influencer e la possibilità di raggiungere luoghi spesso inaccessibili ad altri. Ciò che mancava era la capacità di narrare quei luoghi e le emergenze in modo efficace. La realtà virtuale ci ha dato questa possibilità. Per fare advocacy bisogna riuscire a guadagnarsi l’attenzione dei media, così da catturare quella delle persone, questo è stato un modo per farlo. Abbiamo girato Clouds over Sidra nel 2014, quando il VR non era ancora mainstream e questa è stata la scelta vincente, perché ci ha permesso di instaurare delle collaborazioni strategiche con dei partner tecnologici che dovevano testare i loro prodotti più innovativi e avevano bisogno di contenuti. Questo è un momento d’oro per chi si occupa di storytelling e vuole sperimentare nuove forme, l’innovazione tecnologica corre e ha fame di storie con cui sperimentare i propri strumenti. Da ultimo la realtà virtuale mi ha anche dato moltissima libertà, un elemento fondamentale in ogni lavoro creativo, che fatica a sposarsi con una struttura rigida come quella delle Nazioni Unite, nessuno però conosceva lo strumento che ho utilizzato e poteva interferire con quello che stavo facendo…

Qual è stata la cosa più difficile nella realizzazione delle riprese nel campo?

G.A.: Prima ancora di iniziare a girare il video, abbiamo trascorso ore a sentire le storie delle persone, siamo partiti da lì per capire come costruire l’esperienza. Abbiamo raccolto moltissimo materiale audio, molte storie, purtroppo abbiamo dovuto tagliare tanto. Girare a 360° è un’esperienza molto diversa dalla produzione di un documentario standard, abbiamo fatto moltissime prove.

Questo è un momento d’oro per chi si occupa di storytelling e vuole sperimentare nuove forme, l’innovazione tecnologica corre e ha fame di storie con cui sperimentare i propri strumenti.

Gabo Arora

Quanto è costata la produzione? L’impatto che avete generato è stato all’altezza delle vostre aspettative?

G.A.: Il costo della produzione è stato inferiore ai 400mila euro ma è stato finanziato grazie ad una collaborazione con un partner esterno alle Nazioni Unite e l’impatto è stato molto superiore rispetto a quello che mai ci saremmo aspettati e siamo stati in grado di misurarlo…

Tim Jones: Abbiamo portato Clouds over Sidra ovunque a Toronto, nelle scuole, nelle stazioni dei treni, all’aeroporto. Solo tra settembre e dicembre 2016, 7mila persone hanno provato l’esperienza. Dopo ogni proiezione abbiamo presentato agli spettatori una serie di azioni che potevano fare per attivarsi concretamente a favore dei rifugiati, dalla possibilità di effettuare donazioni, all’iscrizione ad attività di volontariato. Ciò che è emerso è che l’87% delle persone hanno aumentato il proprio impegno nei confronti dei rifugiati e il 73% ha deciso di agire concretamente, donando tempo o denaro. L’Unicef, che ha utilizzato il film come strumento di fundraising, ha raddoppiato le donazioni e la quota della singola donazione è aumentata in media del 10%.

Credo che la violenza e le tragedie ci abbiano desensibilizzato e sia sempre più difficile identificare l’umanità nell’altro, per questo è necessario trovare un modo diverso per toccare le persone e trovare una connessione umana.

Tim Jones

Il fatto che sia necessario ricorrere ad uno così strumento complesso come quello della realtà virtuale per provare empatia davanti al dolore degli altri, non segna in un certo senso una sconfitta dell’essere umano davanti? Non significa che siamo sempre più anestetizzati?

T.J.: Credo che la violenza e le tragedie ci abbiano desensibilizzato e sia sempre più difficile identificare l’umanità nell’altro, per questo è necessario trovare un modo diverso per toccare le persone e trovare una connessione umana. Vi sono diversi modi per creare un’intimità con l’altro e con i suoi dolori e la realtà virtuale può essere uno di questi.

G.A.: Se ci pensiamo bene, in realtà, l’empatia si è sempre costruita con strumenti diversi, con l’arte e la letteratura. Questo è sicuramente un modo più diretto, e molto più veloce, perché in pochi secondi, ti catapulta letteralmente nella vita di un’altra persona. Si tratta quasi di un’industrializzazione dell’empatia ma dobbiamo confrontarci con la realtà. La capacità di attenzione delle persone è sempre più breve e per creare qualsiasi tipo di impatto non si può prescindere dal digitale. Dobbiamo fare i conti con la realtà in cui viviamo.

Vista la vostra esperienza, che opportunità apre la realtà virtuale per chi si occupa di impatto sociale?

T.J.: Abbiamo visto che è uno strumento potentissimo in termine di fundraising, ma suggerisce anche che, la narrazione giusta, può davvero portare le persone in prima fila e spingerle ad agire.

G.A.: La narrazione è uno strumento potentissimo. Le grandi organizzazioni dovrebbero puntare di più sul potere della creatività, dovrebbero fare film come Moonlight, la nostra esperienza è la prova che l’arte è il miglior motore per creare partecipazione ed empatia.


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