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Teatro

Marco Martinelli: «Siamo tutti Dante Alighieri»

di Anna Spena

Una rappresentazione dell'Inferno con una chiamata pubblica a cui hanno risposto 700 persone. Si parte dalla tomba del poeta a Ravenna e poi si entra in teatro per un grande spettacolo collettivo in cui il pubblico fa la parte di Dante. Martinelli ed Ermanna Montanari interpretano - insieme - Virgilio. La commedia è il poema del pellegrinaggio. «Dante Alighieri», dice il regista «salva l’anima con i piedi, con il corpo, con tutta la sua integrale fisicità»

L’arte non si spiega. Tutta la bellezza, quella pienezza, la veridicità di ciò che si racconta, semplicemente si sente. Marco Martinelli, regista e drammaturgo, ha trasformato l’esercizio estetico in un esercizio di vita. Di lui nessuna traccia, perché l’arte è avere consapevolezza degli altri «è questa la bellezza, è questo l’esercizio di rigore, l’altro e l’arte, per noi, coincidono».

Marco parla sempre al plurale, e quel più di vita è sua moglie Ermanna Montanari, attrice. Si sono innamorati – follemente – quando avevano 19 anni, a 21 sono diventanti marito e moglie. Da sempre lavoro e amore si confondono per loro, ma questo è un bene: «che bella cosa la confusione. Tutto si confonde. Tutto si fonde», sottolinea spesso Marco. Nel 1983 incontrano Luigi Dadina e Marcella Nonni ed insieme fondano Il Teatro delle Albe.

È da questa sinergia di vite, le loro, che sono nati progetti bellissimi come quello della “Non Scuola”, o ancora la fiamma di “Eresia della Felicità”. E tra pochi giorni debutterà “Inferno”, spettacolo di apertura della XXVIII edizione del Ravenna festival, “Il rumore del tempo”, il titolo scelto per quest’anno.

«Non scindiamo mai l’arte delle persone», dice Marco Martinelli. «Così come in Dante, che è stato un grande maestro, non scindeva mai l’estetica dalla politica, la politica dalla metafisica: tutto si tiene e si mantiene».

La rappresentazione itinerante della Divina Commedia ha una natura corale dove 700 persone si trasformeranno in attori, Marco ed Ermanna saranno Virgilio, il pubblico – tutto – sarà Dante Alighieri. Perché «c’è bisogno di un teatro di senso necessita che non sia inutile orpello: le persone di devono sentire vive e riconosciute nel loro essere».

Come inizia l’Inferno?
L’Inferno parte dalla tomba di Dante, da un luogo canonico della nostra città, Ravenna, e si sviluppa fino al nostro teatro Rasi che diventa luogo dell’inferno vero e proprio. Dante è appena uscito dalla selva oscura e vuole arrivare alla felicità. Ma per arrivare alla felicità devi passare per l’orrore. I primi due atti e mezzo saranno itineranti. Poi ci si sposterà in teatro, una chiesa francescana in cui Dante, devoto di San Francesco, sarà sicuramente stato. Questo Inferno va visto come il primo tassello di tutta la trilogia: faremo anche il Purgatorio nel 2019 ed il Paradiso nel 2021, per l'anniversario dei sette secoli della morte del poeta. La Divina Commedia è un poema che io ed Ermanna amiamo da quando facevamo il liceo, Dante è stato una stella di riferimento in questi anni di lavoro. Ma non poteva essere una rappresentazione classica, volevamo tornare al teatro di massa del medioevo: doveva esserci un cortocircuito tra gli artisti, i cittadini, il pubblico.

Uno spettacolo dove si muovono tutti…
La commedia è il poema del pellegrinaggio. Dante Alighieri salva l’anima con i piedi, con il corpo, con tutta la sua integrale fisicità. Per questo il Rasi sarà diviso in tanti gironi che lo spettatore dovrà attraversare.

E infatti la “chiamata pubblica” è stata un vero successo
Chi vuole fare con noi la commedia? Hanno risposto in 700, i nostri dannati dell’inferno. Poi altre decine e decine di persone ci stanno dando una mano con i costumi… Il poema a Ravenna i cittadini lo sentono proprio. Ravenna è la città che ha dato una pace all’esule Dante mentre girovagava di corte in corte. È qui che ha scritto il Paradiso, la nostra è una città dantesca. Qui Dante si è allontanato ed è salito in cielo, noi custodiamo queste ossa – le neghiamo a tutti –ne abbiamo mantenuto il culto feroce. Il Rasi nell’ultimo mese è diventato un cantiere, ed il poema di Dante è la colla che tiene unita la comunità. Un poema che si specchia in questo tempo antico eppure sempre nuovo e contemporaneo. Circolava una leggenda nel Medioevo…

Che leggenda?
Si diceva “questo poema verrà capito tra sette secoli”. È vero, la Divina Commedia è un poema scritto per noi.

Che cos’è l’inferno per te, per voi?
L’inferno non una cosa originale. Tutti noi sperimentiamo dolori, dispiaceri, ciò che ci disumanizza. Quello che abbiamo alla spalle sono anni specialisti di “inferno” senza via d’uscita. Quanta letteratura e teatro esistono sulla potenza del male. E gli essere umani negli ultimi 200 anni si sono raffinati nell’arte del male. Dante è contro tempo e contro tendenza, il suo è un inferno pieno di scale da cui si può risalire. E lui, il suo viaggio lo fa con Virgilio, Beatrice, San Bernardo…Questa è la grande lezione, sempre attuale, sempre contemporanea: dal male non si esce mai da soli, sempre insieme.

Tu ed Ermanna interpretate Virgilio…
Sì! Tutti gli spettatori, invece, fanno Dante.

Perché?
Il poeta Ezra Pound diceva che Dante è l’ “every man”; “ogni uomo”. Ed è vero. Perché ogni uomo è nella selva oscura e vuole uscirne e punta al monte della felicità, al Paradiso. Dante partendo dal suo io scrive la vicenda dell’umanità. Abbiamo scelto l’inferno, abbiamo scelto che Dante fosse tutti i cittadini e tutti i cittadini fossero Dante. Vogliamo dire allo spettatore: questa storia sta parlando di te. Muovi i tuoi piedi e seguici, fai il tuo cammino. L’ultima parola di tutti i canti finiscono con la parola stelle. Dante ci parla di immortalità e ci dice “Ognuno avrà le sue risposte, ma il viaggio è bene farlo insieme”.

Che differenza c’è tra la Non Scuola ed Eresia di Felicità e l’Inferno?
Dopo anni di non scuola abbiamo scelto di aprire il teatro a tutti: dai bambini di 7 ai vecchi di 90, che faticano a stare in piedi ma sono lì con noi a lavorare. Poi ci sono 50 ragazzi africani, che arrivano dalla Nigeria al Mali, che fanno il coro del limbo dell’anti inferno, è la metafora della loro condizione. Li faccio lavorare nelle loro lingue materne. Noi qui gli facciamo ascoltare i versi di Dante ma ci facciamo regalare gli accenti e le musiche della loro tradizione. La differenza principale è che eresia era una fiammata, non pretendeva di costruire un’opera: voleva solo essere una fiamma bruciava in quel momento. Questa, invece, è una vera e propria opera deve puntare all’armonia tra strida e canti sinistri. Ecco, questa volta costruiamo l’armonia.

Foto: Sara Colciago; Claire Pasquier; Alessandra Dragoni


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