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Filippo Barbera

«Sono dislessico e faccio il maestro»

di Anna Spena

Dislessico, disgrafico, disortografico e discalculico racconta a Vita.it perché ha deciso di diventare maestro e quanto sia importante per i bambini con disturbi specifici dell'apprendimento il supporto della famiglia e degli insegnanti

La dislessia forse funziona come nella vita. Si impara sbagliando. La riuscita dipende molto dagli “errori” che sono stati commessi prima di trovare la strategia vincente.

Dal 3 al 5 novembre, a Rimini si tiene il convegno organizzato dal Centro Studi Erickson “La qualità dell’inclusione scolastica e sociale”. Al centro dei temi del convegno anche i disturbi specifici dell’apprendimento ed il ruolo degli educatori. Tra i relatori Filippo Barbera, 30 anni. Maestro dislessico, disgrafico, disortografico e discalculico. Nel 2011, incomincia la sua carriera di insegnante.

Nel marzo del 2012 si laurea con lode in Scienze della Formazione Primaria presso l'Università di Padova. Nel dicembre del 2013 acquisisce il Master di II livello in Psicopatologia dell’apprendimento e nel novembre del 2015 si specializza, con il massimo dei voti, nel Metodo Montessori. Da oltre cinque anni svolge un’intensa attività di studio sui DSA e di sensibilizzazione nelle scuole del territorio nazionale. Nel 2010 pubblica il suo primo romanzo "Un’insolita compagna la dislessia" al quale segue, nel 2012, la guida "Con-pensare i DSA", manuale disponibile anche gratuitamente on-line. È nato, vive e lavora in una scuola di Vincenza. In questa intervista ci racconta la sua storia, la scelta di diventare insegnante, e perché di maestri come lui c’è sempre più bisogno.

Filippo quando ti è stata diagnosticata la dislessia?
Ufficialmente in terza elementare. Ma già dalla prima elementare lo sapevo di non essere come gli altri. Facevo molta più fatica rispetto ai miei compagni. Per leggere una parola come “boscaiolo” impiegavo moltissimo tempo, a alla fine la leggevo sbagliata. Pronunciavo la prima sillaba e poi, magari, inventavo le altre. O mentre arrivavo alle altre la prima l’avevo già dimenticata. I miei lavori erano sempre disordinati. Continuavo ad angosciarmi perché volevo essere “uguale agli altri”. Il voler essere uguale è rimasto per molto tempo. Poi alla fine l’ho capito, nessuno è uguale a nessuno. I bambini poi, dislessici o meno, sono tutti diversi.

Chi ti ha aiutato?
Sono stato fortunato. Per me è stato fondamentale l’appoggio della mia famiglia e della mia maestra Margherita. Insegnante instancabile che per me cercava metodi, strumenti e pratiche nuove per agevolarmi. Non mi ha mai fatto sentire “diverso”. Davanti ad un compito disordinato e pieno di errori mi diceva sempre “ma guarda che bel pensiero hai scritto”.

Il momento più difficile?
Le scuole medie. Sono stato bersagliato dalla prese in giro dei miei compagni e in alcuni casi anche dai professori che non mi capivano. “Barbera”, dicevano, “tu sei dislessico, devi leggere di più. Ma come sei arrivato alle scuole medie? In che scuola superiore vuoi che ti mandiamo…”. Così prima mi sono allontanato dalla studio, poi per riscattarmi ho deciso di voler essere il migliore. Lì ho capito che volevo diventare un maestro, per dimostrare che un dislessico può insegnare e per dimostrarmi di essere migliore di tanti altri che stanno seduti dietro ad una cattedra.

Il momento invece in cui hai capito che le cose potevano funzionare?
In terza superiore ho iniziato a compensare tutte le mie difficoltà. Ho capito il mio modo di funzionare e sono intervenuto con strategie mirate. Gli altri ormai non si accorgevano più del mio problema.

E come “funzioni”?
Devo leggere tanto e ho meno difficoltà con le parole che sono più ricorrenti. Applico strategie di tipo associativo, mi aiutano molto. Per i calcoli, invece, praticamente uso la strategia delle dita; il trucco più famoso è quello della tabellina del nove. Visualizzo le dieci dita nella testa, se devo calcolare quanto fa 9×7, abbasso il dito corrispondente al sette. Le dita prima del sette sono le decine; quelle dopo le unità.

La dislessia è un problema?
Lo diventa se non impari o ti impegni a schiodarti dalle difficoltà. Diventa una risorsa quando dici “come posso compensare?”. Diventa una risorsa quando inizi ad andare alla ricerca di nuove strategie e procedi per prove ed errori, sbagli tanto ma impari molto. Tanto più che per esprimersi a volte trovano altre forme. Alcuni eccellono in disegno o nello sport. Oppure nonostante la difficoltà nella scrittura a livello di contenuto i lavori sono dei capo-lavori.

Che valore aggiunto ha essere un maestro dislessico?
Nessun bambino è uguale, anche a prescindere dal fatto che sia dislessico o meno. Quindi direi la pazienza di sperimentare ogni volta tecniche fin a quando si trova quella più adatta al nostro alunno, ed io, da dislessico che per imparare ne ha sbagliate tante, ne conosco un bel po’. Poi immagino che l’altro valore aggiunto abbia molto a che fare con il tempo. Per quanto ti impegni o sforzi i risultati dei tuoi sacrifici li vedi dopo tanti anni. Ed è difficile far capire ai bambini questa cosa. Ancora di più quando non la si è sentita sulla propria pelle.


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