Giuseppe Guzzetti

La mia vita da militante dei corpi sociali

di Redazione

L'intervista allo storico presidente di Fondazione Cariplo in occasione del numero di Vita magazine dedicato ai 30 anni delle fondazioni di origine bancaria: "I sovranisti e i populisti non amano la libertà del corpi intermedi, per questo spesso tentano di mettergli le mani addosso"

Registriamo questo dialogo nei giorni del blocco dei migranti nella gelida foresta fra Bielorussia e Polonia. Si parla di muri e di filo spinato mentre i volontari polacchi tentano di dare una mano abbandonando di nascosto (per non essere visti dalle loro forze dell’ordine) cibo e vestiti per poche migliaia di disperati afghani, siriani e iracheni. «Dice Rodari: “Un bambino capriccioso che piange pesa meno del vento, un bambino affamato che piange pesa più di tutta la terra”». L’occasione per incontrarlo sono i 30 anni di operatività delle Fondazione di origine bancaria, ma lo sguardo dell’avvocato Giuseppe Guzzetti, non solo ex presidente di Fondazione Cariplo e Acri, ma per almeno un paio di decenni anima militante dello spirito fondazionale, volge all’attualità e a quello che sta accadendo nel cuore del nostro Continente. «Vede cosa stanno facendo Viktor Orban e i polacchi? I sovranisti e i populisti non amano il volontariato e il Terzo settore. Non amano la libertà dei corpi sociali intermedi e tentano di mettergli “le mani addosso”. E questo, in forma e misura diversa, avviene anche in Italia quando per esempio con Mafia Capitale si attacca tutta la cooperazione sociale invece di guardare a chi ha commesso il reato».

A proposito di libertà, lei in passato è stato un instancabile difensore dell’autonomia delle Fondazioni, in particolare rispetto agli appetiti della politica. Oggi c’è da stare tranquilli da questo punto di vista?
Se guardo alla legislazione nazionale direi di sì. La legge Ciampi del 1998 e le sentenze della Corte Costituzionale del 2003 hanno messo un punto fermo: «le Fondazioni sono persone giuridiche senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale» e sono «soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali». Quelle sentenze hanno un significato ben preciso: le fondazioni sono parte dei nostri principi costituzionali fondamentali, per cui se il legislatore, come successo ai tempi di Berlusconi, volesse intervenire, lo dovrebbe fare con una legge costituzionale. Cosa evidentemente non facile. Ricordo poi che il presidente Sergio Mattarella nel 2018 al Congresso Acri di Parma ha dichiarato, riferendosi alle Fondazioni: «Voi siete un’ancora del Paese». E aggiungo che i rapporti con il ministero dell’Economia e delle Finanze, autorità di vigilanza sulle fondazioni, sono ottimi. Non vedo quindi rischi particolari. Non chiudo però gli occhi di fronte al fatto che un sistema in grado di erogare sui territori un miliardo di euro l’anno possa fare gola alla “politica locale”. Così capita che a livello locale bisogna fronteggiare qualche intromissione maldestra. È successo per esempio a Siena. Ma un sindaco non può dare ordini a una fondazione, tanto più che le persone indicate dai sindaci a far parte degli organi di indirizzo delle fondazioni, non sono rappresentanti del sindaco, quindi non rispondono a lui, ma alla fondazione. Ma mi faccia aggiungere una riflessione su questo.

Prego…
Le democrazie occidentali, dagli Stati Uniti all’Europa, si reggono su tre pilastri: lo Stato, i mercati e il privato sociale. Sono tre ambiti distinti. E le fondazioni insieme ad oltre altri 375mila enti e 5 milioni e mezzo di volontari, 1,5 milioni di dipendenti, 80 miliardi di prestazioni e servizi pari al 5% del Pil appartengono al terzo pilastro per usare la terminologia di Raghuram Rajan, ex capo economista del Fondo monetario internazionale ed ex governatore della Banca centrale indiana. E se va in crisi il terzo pilastro, va in crisi la democrazia.

Rispetto a 30 anni fa come è mutato il ruolo sociale delle fondazioni?
La sentenza 300/2003 della Corte Costituzionale ha stabilito un punto fondamentale: le fondazioni devono sostenere il Terzo settore nel dare concretezza ed attuazione al principio di sussidiarietà nel frattempo messo in Costituzione (art 11, ultimo comma). Vi è quindi un rapporto molto stretto fra Fob e Terzo settore. Non parlerei solo di fondazioni. Le fondazioni e il Terzo settore nel suo complesso hanno un compito chiaro: devono guardarsi intorno, vedere quali sono i problemi sociali non risolti e rispondere a queste necessità. Le faccio qualche esempio molto concreto: l’housing sociale è una “nostra invenzione”. Fino al 2009 quando è nato il Fondo Investimenti per l’Abitare l’edilizia sociale non esisteva, allora esisteva esclusivamente l’edilizia popolare che era pubblica e senza soldi. Eppure c’era una domanda di giovani coppie, anziani, lavoratori immigrati, studenti universitari che non erano in grado di pagare affitti del libero mercato. Con Fondazione Cariplo abbiamo studiato e capito che si potevano realizzare alloggi con prezzi di locazione inferiori del 40/50%. Dopo la sperimentazione di Fondazione Cariplo è nato il programma nazionale dell’housing sociale. E lo stesso ragionamento è stato fatto con la nascita della Fondazione Con il Sud. Altro esempio: in alcune regioni del Mezzogiorno non vi erano né casse di risparmio, né fondazioni, eppure il bisogno sociale era enorme. Così ci siamo inventati uno strumento innovativo che, per citare un intervento, con un’allocazione di 335,4 milioni di euro negli ultimi cinque anni ha tolto dalla povertà educativa 500mila ragazzi. Altra esperienza di grande impatto sempre sul versante della povertà minorile è quella di Qubì di Fondazione Cariplo. A Milano prima della pandemia 20mila bambini vivevano in povertà assoluta, il programma Qubì ha l’obiettivo di estirpare la povertà educativa nel capoluogo lombardo.
Un’altra iniziativa innovativa è stata la promozione delle fondazioni di comunità. Enti che hanno raccolto un grande successo anche in termini di fundraising e sono stati capaci di immaginare interventi urgenti in occasione della pandemia. E sa perché?

Perché?
Perché insistono sui territori, conoscono i bisogni e sono riconosciute dalla popolazione. Sono strumenti di coesione sociale, che si realizza quando dentro una comunità — che è la parola del presente e del futuro — anche le persone fragili vivono bene.

La sfida di oggi è il Pnrr. Lo abbiamo documentato sullo scorso numero del magazine, così come su vita.it: il Terzo settore e quindi anche le fondazioni sono tenute ai margini…
La missione 5 del Pnrr si intitola “Coesione e inclusione”. Quindi PER CONTINIARE A LEGGERE CLICCA QUI


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