Vera Gheno

Coi libri accendiamo la mente dei più piccoli

di Veronica Rossi

La sociolinguista è la curatrice, per la casa editrice Effequ, della collana "Scatoline", rivolta ai più piccoli, che intende suscitare delle domande su alcuni concetti fondamentali per capire il mondo moderno, a cui rispondere assieme agli adulti

Ragionare sul linguaggio è importante, anche e soprattutto per chi è più piccolo. È per questo che la casa editrice Effequ ha deciso di inaugurare la sua sezione di libri per bambini e bambine con una collana curata dalla sociolinguista Vera Gheno e dedicata proprio alle parole: si tratta di Scatoline, volumetti scritti e illustrati da diversi autori e autrici, un viaggio nella lingua partito ad aprile con la "A" di amicizia, che continuerà fino a terminare le lettere dell’alfabeto.

Vera Gheno, da dove nasce l’idea per questa collana?

È stata un’idea congiunta mia e dei due editori di effequ, Francesco Quartaro e Silvia Costantino. Ho lavorato molto con le scuole e ho notato che serve anticipare un po’ l’età in cui si inizia a parlare di linguaggio. La particolarità di questa collana è che non è narrativa, ma saggistica per giovani menti. A ogni autrice e autore viene chiesto di scrivere un testo che permetta di aprire un dialogo intergenerazionale a proposito di tutto quello che implica l’uso di determinate parole.

Com’è strutturata la collana?

Ci sono uscite più o meno mensili al prezzo abbordabile di sei euro l’una, perché volevamo che chiunque potesse permettersele. Ogni volume è dedicato a una parola, dalla "A" fino alla "Z". Abbiamo scelto dei termini che sollecitino in chi è più giovane domande a cui non sanno rispondere nemmeno gli adulti e le adulte.

Qual è lo scopo di questi libri?

I bambini e le bambine vengono spesso visti come persone adulte fallate, a cui dare la forma più adatta; noi invece scegliamo di rivolgerci a loro come a piccoli esseri umani. Non intendiamo dare delle risposte o delle soluzioni, ma vogliamo definire bene le domande per capire meglio la complessità del presente. Scatoline è quindi un tentativo di porre degli interrogativi su questioni per cui si rischia di dare delle risposte superficiali, da affrontare assieme.

I volumi sono quindi pensati per essere letti coi genitori?

Ho la sensazione, anche osservando la direzione che hanno preso autori e autrici, che ci possano essere più livelli di accesso ai libriccini. I volumi sono fruibili anche in autonomia da chi è più piccolo – ci sono delle sezioni da colorare e uno spazio finale dove scrivere la propria definizione della parola in oggetto –, ma l’interazione con le altre persone approfondisce e amplifica sicuramente il significato della lettura.

Parlare e affrontare alcune importanti questioni del mondo attuale coi bambini è quindi importante.

Direi che è fondamentale, ce lo chiede il presente, con tutta la sua complessità. Io ho 46 anni e posso raccontare un passato bucolico, non ero immersa in tutta la diversità con cui sono a contatto le nuove generazioni. Sul volume che riguarda la bellezza c’è una stupenda illustrazione di Takoua Ben Mohamed, dove sono rappresentati un bambino con la sindrome di Down e una bambina con il velo, espressioni della differenza del mondo attuale, che però non vengono spesso associate al tema trattato nel libro.

Come vengono scelte le parole da inserire nella collana?

È un lavoro di squadra, con Quartaro e Costantino. Si tratta di un compito piuttosto difficile, perché ci sono tante parole interessanti da poter trattare. Facciamo il classico e vetusto dibattito a più teste alla ricerca del termine maggiormente interessante, anche per uscire dagli schemi. C’entrano molto anche gli autori e le autrici che intendiamo coinvolgere: a volte è la tematica che fa sì che scegliamo chi la tratterà, altre volte il contrario.

Ragionare sul linguaggio può rendere liberi?

Ne sono convinta. Con un lavoro sulle parole possiamo sperare di formare delle persone con una maggiore resistenza alla manipolazione linguistica. A questo dedico il mio lavoro in generale e questa collana in particolare.

I libri sono ancora indispensabili in un processo di crescita?

Leggere per chi è in crescita ha un’importanza prima di tutto neurologica, si impara a parlare e si migliorano le capacità relazionali; non basta mettere il bambino o la bambina davanti a un video di YouTube o alla televisione: c’è bisogno di una reciprocità che un libro letto insieme a una persona adulta può dare. Uno dei miei primi ricordi è legato a mio papà che mi legge le avventure di Asterix e Obelix. Ho imparato molto in quell’occasione, credo sia stata un’esperienza definente e ritengo che oggi un’attività di questo tipo non sia meno fondamentale. Leggere, poi, è un momento di rallentamento cognitivo in un’epoca in cui tutto va veloce.

A differenza della comunicazione odierna, sui social network e in televisione.

Per quanto sia un’entusiasta dei nuovi media, c’è bisogno di una guida nel loro uso e qui la necessità di un confronto diventa davvero importante. La dieta mediatica migliore è, come per il cibo, una dieta variata, in cui si alternano vari tipi di media culturale a seconda del momento. Ovviamente, è fondamentale mantenere la misura.

Foto di Alisa Martynova


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