Antonio Russo

Il Governo ascolti chi la povertà la guarda in faccia tutti i giorni

di Anna Spena

In 10 anni e 7 governi le persone in povertà assoluta in Italia sono passate da due a sei milioni. «Per ora la Mia-misura di inclusione attiva, lo strumento che dovrebbe sostituire il reddito di cittadinanza, ancora non esiste», spiega Antonio Russo, portavoce dell’Alleanza contro la povertà. «Ma la povertà assoluta è un’emergenza del Paese e non dipende solo dalla mancanza di lavoro. Come Alleanza abbiamo chiesto più volte al Governo di incontrarci, siamo in attesa. Possiamo dare il nostro contributo partendo dall'esperienza di organizzazioni sociali e sindacali che le varie declinazioni di povertà le incontrano nei luoghi della vita reale»

Si chiamerà “Mia”, misura di inclusione attiva, lo strumento che – stando alle informazioni ad oggi disponibili – sostituirà il reddito di cittadinanza. Nella bozza della riforma si va dal numero di mensilità erogabili ai percettori del sussidio “occupabili”, che scenderebbero a sette, fino ai redditi Isee che, per chi fa richiesta della misura, non possono superare i 7.200 euro. E poi ancora sgravi fiscali per due anni alle aziende che assumono chi percepisce il reddito e l'obbligo, dai 16 anni, di partecipazione attiva, formazione e lavoro nel nuovo sussidio contro la povertà se non impegnati in un percorso di studi. Ma intanto i poveri aumentano e la riforma è ferma. «Da troppi mesi», spiega Antonio Russo, vicepresidente delle Acli – associazioni cristiane lavoratori italiani, e neo portavoce nazionale dell’Alleanza contro la Povertà, «continuiamo a parlare al condizionale, non c’è una proposta definita e siamo in attesa di un documento ufficiale. Non azzardiamo oggi un giudizio compiuto sul nuovo approdo legislativo ma, di fronte ad un Paese in cui crescono le fratture sociali e la povertà, agire sulla sola leva della riduzione dei costi potrebbe presto dimostrarsi un errore strategico. Distogliere risorse dalle politiche di inclusione sociale e di lotta alla povertà potrebbe allargare i divari già esistenti».

Come inquadra il fenomeno della povertà assoluta in Italia?

Guardando, prima di tutto, all’ultimo decennio. Dieci anni fa nasceva l’Alleanza contro la povertà. Oggi siamo più di 35 i soggetti, diversi tra loro, che hanno scelto di fare un percorso comune per contrastare la povertà assoluta in Italia. E dieci anni fa l’Italia, a differenza di molti altri Paesi europei, ancora non si era dotata di una misura diretta di contrasto alla povertà. In questi dieci anni si sono succeduti sette governi e sono state introdotte quattro misure di contrasto alla povertà. Se passasse la Mia sarebbe la quinta riforma, ma le persone in povertà assoluta sono aumentate da 2milioni e 228mila fino a sei.

Gli strumenti adottati non hanno funzionato?

Il tema della povertà assoluta è sempre stato affrontato solo dal punto di vista delle riforme, ma non basta.

Di cosa abbiamo bisogno?

Dobbiamo dotare il Paese di un sistema di infrastrutturazione sociale e del lavoro capace di contenere la crisi in cui siamo, o almeno di arginarla. Autorevoli istituti di ricerca in questi mesi ci hanno restituito una fotografia chiara del problema. Le proiezioni sul futuro, annunciano, se è possibile, un’immagine ancora più drammatica e sembrerebbe che i dati sulla povertà assoluta siano destinati ad aumentare. Quindi è prioritario che il Governo pensi e metta in campo una strategia per affrontare questa crisi, una crisi che non chiama in causa solo il Governo nazionale appunto ma anche tutte le realtà che in questi anni hanno dato piena disponibilità per affrontare una questione tanto seria e impellente.

Il reddito di cittadinanza è stato molto criticato dal Governo guidato dalla premier Giorgia Meloni ed è diventato “arma” di dibattito tra gli schieramenti politici durante l’ultima campagna elettorale. A prescindere dalle polarizzazioni – sia in negativo che in positivo – il rdc però è stata comunque una misura che, soprattutto nei mesi più difficili dell’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus, ha limitato i danni

Come Alleanza contro la povertà abbiamo sempre sostenuto che era, ed è, una misura non perfetta e migliorabile sotto diversi aspetti. Ciò detto non si può non constatare che se non ci fosse stato questo strumento ad ammortizzare il colpo della crisi economica e del lavoro, avremmo avuto oltre un milione di persone in più in povertà assoluta. Ciò per noi non è un dato irrilevante. Certo ripeto, non è quello che avevamo proposto. Come Alleanza non avremmo costruito così la misura ma, a prescindere da questo, possiamo e dobbiamo affermare con convinzione che in Italia una misura di contrasto alla povertà è indispensabile.

La Mia può rappresentare una soluzione?

Di questa nuova riforma possiamo solo parlare al condizionale. Non c’è ancora una proposta definita, siamo in attesa di un documento ufficiale che ci dica in che modo si vuole modificare il rdc. Sentiamo, di tanto in tanto, le affermazioni del Governo e dei ministri che esprimono – più che altro – considerazioni di merito. Oggi non abbiamo nulla nella mani, se non un documento in bozza con 12 punti. Quello che invece sappiamo è che il rdc è stato erogato a un milione e 165mila famiglie e che ha coinvolto due milioni e mezzo di persone. Tra i punti della Mia uno riguarda proprio la platea dei beneficiari. La riforma infatti farebbe una distinzione netta tra soggetti occupabili e non occupabili. Ad oggi i soggetti occupabili che secondo il legislatore usufruiscono della misura sono 660mila, ma di questi – ed è bene sottolinearlo – 480mila sono persone che non hanno avuto esperienze lavorative negli ultimi tre anni e hanno un titolo di studio che non supera la licenza media. Se le cose stanno così dobbiamo necessariamente portare all’attenzione due domande.

Quali?

La prima: quali sono le politiche attive del lavoro che si attiveranno per accompagnare questa platea di 660mila persone occupabili? E la seconda: la povertà è multidimensionale, dipende da più fattori e non solo dal lavoro, quindi quale sistema di infrastruttura sociale sosterrà le persone nel percorso di fuoriuscita dalla povertà?

Quindi sono due i temi su cui il governo si dovrebbe concentrare: infrastrutturazione sociale e lavorativa?

Sì, li riteniamo prioritari. La prima per una reale presa in carico delle persone e per accompagnarle fuori dal disagio sociale, perché, come dicevamo ,la povertà è fatta da più fattori; la seconda perché il Paese sia dotato di politiche attive per il lavoro capaci di farsi carico di chi un lavoro non ce l’ha e di chi è costretto al “lavoro povero”. Persone che pur lavorando, hanno comunque bisogno da un lato di un percorso di emersione da un mercato irregolare in cui non esiste nessuna tutela e, dall’altro, di un sostegno economico. Affrontare, nel nostro Paese il tema della qualità del lavoro è un altro modo per salvare le persone dalla povertà. Ma dalla bozza circolata entrambe le questioni sembrerebbero non comparire. Anche se ripeto che il condizionale è d’obbligo. Quel documento circolato non può essere ritenuto un testo ufficiale di riforma.

Il fatto che si stia temporeggiando non è sintomo di un disinteresse ad affrontare seriamente il tema?

Il tema della povertà è un tema certamente urgente. Ci pare di intendere che la misura sarà rivista e non abolita. Quello che ci dobbiamo augurare, e per cui più volte abbiamo dato nostra piena disponibilità, è che venga fuori la misura migliore possibile.

Avete chiesto un confronto con il Governo?

Si. Siamo in attesa di una risposta. Storicamente il compito dell’Alleanza contro la povertà è sempre stato quello di proporre riforme non strumentali sostenute da uno studio e un approfondimento con al centro i soggetti più fragili che vivono in una situazione di povertà assoluta. Anche nella circostanza di una nuova riforma, offriamo la disponibilità di chi quotidianamente incontra il disagio e le tante forme di povertà che purtroppo nel nostro Paese convivono.


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