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Migrazioni

Welcome to the Hub Sammartini

di Joshua Massarenti

Inaugurato nel maggio 2016, l’Hub di via Sammartini gestito da Progetto Arca ha accolto più di 30mila migranti. Dopo la chiusura delle frontiere e il boom degli arrivi, da centro di passaggio transitorio è diventato con il passare dei mesi un luogo di accoglienza di richiedenti asilo. L’emergenza profughi raccontata da Milano.

L’Hub Sammartini è stato concepito all’immagine del luogo che lo accoglie. Un centro di accoglienza per migranti che, come i treni che partono e arrivano alla stazione centrale di Milano, sono soltanto di passaggio. Ma il paragone si ferma qui. Liberi di circolare, i migranti non lo sono. Per sbarcare a Milano hanno fatto carte false, sfidando la morte e un’Europa che non li vuole. Molti di loro sono approdati proprio qui, al 120 di Via Sammartini, lontani dagli sguardi di viaggiatori e pendolari che con passo veloce animano lo snodo ferroviario più importante d’Italia dopo Roma.

“Sin dal suo lancio nel luglio 2016, l’hub è subito apparso come una tappa obbligatoria per chi, dopo aver lasciato i centri di prima accoglienza in Sicilia, approda per la prima volta a Milano, per poi andare in Francia o nel Nord Europa”, sostiene Fabiana Longo, da oltre un anno coordinatrice delle attività di Progeto Arca presso l’Hub. Ma questo era il periodo durante il quale il 120 fungeva davvero da hub, ovvero una piattaforma di corrispondenza per migranti che come unico obiettivo aspiravano a lasciare l’Italia in fretta e furia per raggiungere Parigi, Berlino, Londra o Stoccolma.

“Da quando le frontiere sono state chiuse, la stragrande maggioranza dei migranti, tutti fotosegnalati, tornano su Milano”, il che ha costretto il Progetto Arca a dover rivedere radicalmente il progetto. “Da luogo di transito dove riorientare i profughi verso i centri di accoglienza di Milano, l’hub è diventato un luogo dove si fa richiesta di asilo. Oggi la situazione è molto critica”, sottolinea a Vita.it Alberto Sinigallia, Presidente di Progetto Arca.

Sin dal suo lancio nel luglio 2016, l’hub è subito apparso come una tappa obbligatoria per chi, dopo aver lasciato i centri di prima accoglienza in Sicilia, approda per la prima volta a Milano, per poi andare in Francia o nel Nord Europa.

Fabiana Longo, coordinatrice delle attività di Progetto Arca presso l’Hub Sammartini.

Sembra lontanissimo il tempo in cui Milano, di fronte agli arrivi continui di migranti, era ancora una “città aperta”. Oggi le capacità di accoglienza sono sature, e la macchina messa in piedi da Comune (che ha concesso gli spazi di via Sammartini e che ne assicura il coordinamento), prefettura e Terzo settore rischia di incepparsi. Ma per cogliere appieno l’effetto saturazione venutosi a creare negli ultimi mesi è bene fare un passo indietro.

2014. La Stazione Centrale affronta il più grande flusso di migranti dell’ultimo ventennio, in maggioranza siriani ed eritrei. Sinigallia ricorda "donne, uomini e bambini di origine siriana costretti a dormire in stazione. Senza cibo, né acqua e letto, mancavano di tutto”. All’epoca si contavano 1.200 arrivi al giorno. Una fiumana che travolge il Comune di Milano e il suo assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino. Passano i mesi, i flussi non si fermano, con i soliti picchi estivi. Tra il 2013 e il 2015, si calcola che oltre 85mila profughi sono passati dalla Stazione Centrale: 1.316 nel 2013, circa 52mila nel 2014 e quasi 32mila nel 2015. Per far fronte all’emergenza, Milano si mobilita.

Da luogo di transito l’hub è diventato un luogo dove si fa richiesta di asilo. Oggi la situazione è molto critica.

Alberto Sinigallia, Presidente di Progetto Arca

Nel maggio 2016 nasce l’Hub di via Sammartini, con l’obiettivo di accogliere “le persone che arrivano negli hot spot in Sicilia e che la Prefettura smista nei centri di accoglienza straordinaria. Chi arriva all’Hub sono coloro che sfuggono dalle maglie delle procedure di collocamento della prefettura”, precisa Fabiana Longo. Ma per loro il passaggio delle frontiere è sempre più dificcile, “e molti di quelli che sono riusciti a farlo tornano qui da dublinati”.

In via Sammartini l’accoglienza è polivalente, anche grazie al sostegno finanziario dell’ong AVSI: si va dalla registrazione dei profughi da parte di Progetto Arca ai servizi sanitari prestati da due medici di Ats Milano, passando per uno spazio dedicato ai minori non accompagnati gestito da Save The Children e Albero della Vita ai computer messi a disposizione da Informatici senza frontiere, ai kit sanitari offerti da Terre des Hommes oppure i corsi di italiano che i volontari del Comune di Milano stanno avviando in una prima fase di test. Questo per il 120, dove un flusso incessante tiene continuamente occupato gli operatori e volontari che ci lavorano.

Tra il 2013 e il 2015, si calcola che oltre 85mila profughi sono passati dalla Stazione Centrale: 1.316 nel 2013, circa 52mila nel 2014 e quasi 32mila nel 2015. Per far fronte all’emergenza, Milano si mobilita.

Nonostante l’hub sia concepito come centro diurno di prima accoglienza, nei periodi di massima intensificazione dei flussi migratori nella città di Milano Progetto Arca decide di aprire anche uno spazio attiguo, al civico 118, per consentire alle famiglie in transito di trovare riparo durante la notte. Problema: “nell’estate 2016 abbiamo accolto fino a 700 persone, mentre le capacità di accoglienza dell’Hub è di 250 persone al giorno, di cui un centinaio quelle che possiamo ospitare di notte”.

Soprattutto, “se prima i profughi ci passavano qualche giorno per poi andare nei Centri di accoglienza straordinaria (CAS), oggi possono rimanere anche uno o due mesi. Questo perché con le chiusure delle frontiere sono aumentati i richiedenti di asilo e perché i posti disponibili nei CAS sono molto limitati”. A inizio marzo, su circa 250 presenze, 150 hanno richiesto alla Prefettura di Milano. E i tempi di attesa sono lunghi. “Circa un anno per incontrare la Commissione incaricata di rilasciare i permessi di giorno o meno”, sottolinea Sinigallia. Dodici mesi nel corso dei quali i profughi hanno poche alternative ai CAS, il cui numero varia a seconda delle stagioni (una quindicina durante l’estate, sei-sette nell’inverno).

L’Hub di Sammartini è uno di questi. Una boa di salvataggio a cui si è aggrappato F. B., di origine ivoriana. Arrivato in Sicilia nel gennaio scorso, ha passato un mese in un hot spot di Crotone. “Non c’era nulla, cercavamo addirittura i vestiti nelle pattumiere”, racconta senza andare troppo nei dettagli. “Una brutta esperienza che mi ha convinto di lasciare questo centro, prendere il treno e venire a Milano”. Come tanti altri suoi connazionali, è scappato dalla Costa d’Avorio per problemi etnici e religiosi.

Si definisce “un evangelista fervente e vorrebbe fare il pastore”. Dove? “In Italia perché è l’Italia ad avermi salvato la vita”. E come i suoi connazionali, ha fatto domanda di asilo. “Ora devo aspettare, ma qui non conosco nessuno. Non ho né amici, né parenti”. Quel pugno che lo affiancano all’hub sono compagni di sventura incontrati nell’odissea che da Abidjan lo ha condotto nella capitale lombarda. E per quasi tutti coloro che ci sono arrivati sembra essere un capolinea.

Su 13.233 profughi registrati da Progetto Arca nel 2016, il 61% sono Eritrei, seguiti da Sudanesi ed Etiopi (7%), Afghani, Iracheni e Siriani (4%), e poi Somali (3%).

Anche i loro profili sono cambiati. Su 13.233 profughi registrati da Progetto Arca nel 2016, il 61% sono Eritrei, seguiti da Sudanesi ed Etiopi (7%), Afghani, Iracheni e Siriani (4%), e poi Somali (3%). I numeri dei servizi svolti dall’ente non profit sono da capogiro per una struttura di quelle dimensioni: 71.133 notti di accoglienza e oltre 336mila pasti dispensati nella mensa situata al numero civico 116.

Ad oggi Progetto Arca mobilita circa 25-30 operatori, tra autisti, addetti alla registrazione, alla mensa, la pulizia, le donazioni (con il materiale immagazzinato al 122) e la distribuzione vestiti. Inoltre, la onlus mette a disposizione “la onlus mette a disposizione un hub mobile con operatori e mediatori culturali che si muovono nelle zone limitrofe alla Stazione Centrale per intercettare i profughi appena arrivati in città, offrirgli orientamento e accompagnarli all’hub, dove potranno trovare cibo, servizi igienici, abiti puliti e assistenza medica”, assicura Youssef Alattar, 29 anni (di cui gli ultimi tre in forza a Progetto Arca) che presso l’hub cura la logistica, i minori e l'Hub Mobile. Non lontano c’è Mohamed Boustani, specialista in tisologia che assieme ad un altro medico arabofono dell’Ats di Milano cura sette giorni su sette, dalle 10 alle 20, i profughi del centro di via Sammartini. “Ci sono in media dalle 30 alle 40 visite al giorno, fino a 80 con il boom degli arrivi estivi”. Con buona pace di Salvini, le malattie elencate sono piuttosto banali: “problemi dermatologici, gastroinsteriti, qualche volta la varicella. Quella più problematica è la scabbia”, tipica delle persone che viaggiano in condizioni difficili e mai contagiosa. Molto peggiori sono i danni psicologici subiti nel Sahel, in Libia e nella traversata del Mediterraneo. “I profughi arrivano qui psicologicamente distrutti”, constata Boustani.

L’accoglienza e la possibilità di una vita migliore sono le loro uniche ancore di salvezza.

Articolo realizzato nell'ambito di un partenariato con Panos Afrique de l'Ouest (IPAO) sul tema delle migrazioni in Africa e in Europa.

Foto di copertina: migrante ivoriano all'Hub Sammartini (J. Massarenti).


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