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Italian Teacher Prize

Il passato? Può essere una tomba o una bomba

di Sara De Carli

Marco Ferrari, 35 anni, è fra i dieci migliori prof d'Italia. Insegna filosofia e storia a Bologna ed è certo che «ogni ragazzo è un gigante dormiente, che ha solo bisogno di essere stimato». Fra pochi giorni saranno proclamati i cinque vincitori della prima edizione dell'Italian Teacher Prize: «nella scuola c'è una ricchezza enorme, ma spesso non trova i luoghi giusti per esprimersi all’esterno».

Insegna da undici anni, prima a Milano, poi a Roma e ora Bologna, al Liceo Malpighi. Insegna Storia e Filosofia: un po’ come Nietzsche pensa che «se il passato è raccontato male è una tomba, ma se è raccontato bene è una bomba» e un po’ come Socrate crede che il segreto dell’insegnare sia nel far nascere una domanda, «quella che i ragazzi hanno senza nemmeno saperlo». Marco Ferrari ha 35 anni, una moglie e due figli ed è fra i dieci migliori prof d’Italia: alla fine di questa settimana fra loro verranno proclamati i cinque docenti vincitori della prima edizione dell’Italian Teacher Prize.

Professore, intanto che effetto fa essere fra i dieci migliori prof d’Italia?
È una grandissima soddisfazione. Un po’ ancora non ci credo, un po’ penso a tutto quello che mi ha portato fino a qui, agli incontri fatti, i maestri che ho avuto, a tutti i miei allievi. Se metto in fila tutto quello che ho fatto in questi anni vedo che sono tante cose: ho dato benzina a qualcosa in cui uno poteva anche non credere, io ci ho creduto e ci ho messo tutto quello che avevo… Allo stesso tempo però mi rendo conto che ci sono molti colleghi da cui potrei imparare moltissimo e in questo senso forse altri potrebbero essere al mio posto: un docente non è mai “arrivato” e se faccio quello che faccio è proprio perché queste esperienze mi danno moltissimo in termini di formazione, di ricerca, di un insegnamento più vivace e più attento alla realtà attorno a me. Mi accorgo che tutte queste esperienze mi aiutano a calare la mia materia in una realtà più ampia, mi danno una lucidità, un’apertura, una freschezza che a volte manca ai miei colleghi e – sono sincero – anche a me quando sono chiuso su un dettaglio e non aperto alle cose, alla vita. Il rischio per chi sta dentro la scuola è di vedere solo il proprio pezzetto di materia, di chiudersi alla realtà.

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Provo ad elencare le “tante cose” che fa, oltre a insegnare storia e filosofia ed essere vicepreside del suo liceo. Per esempio ha inventato le Romanae Disputationes (qui sopra le foto dell'edizione 2016), un concorso nazionale di filosofia per gli alunni delle superiori, che fra pochi giorni, il 17 e 18 marzo, radunerà 900 studenti per l’evento finale: i ragazzi hanno lavorato per mesi con docenti del calibro di Carlo Sini, Francesco Botturi, Mauro Magatti, che hanno tenuto per loro delle lezioni su YouTube e ora, divisi fra junior e senior, si sono sfidati sul tema "Logos e Techne" (tecnologia e filosofia) con paper, video e dibattiti in presenza. Prima ancora con un collega aveva messo in piedi la Bottega di Filosofia, con webinar di didattica di filosofia e video lezioni online; un modello poi replicato con i webinar di storia contemporanea, di arte e prossimamente di musica. Da due anni è co-curatore del TEDxYouth, di cui in autunno proprio a Bologna c’è stata la prima edizione, ha diverse pubblicazioni, da pochi giorni è nel comitato scientifico di Parole Ostili… Come fa a fare tutto?
Me lo chiedono in tanti e io rispondo “come fate voi a non farle?”. Mi ha sempre soffocato l’idea della sola lezione del giorno dopo, ma attenzione, non perché io non reputi la lezione e la sua preparazione una cosa importante, anzi, quella è la prima cosa, se preparo male la lezione io sto male, devo entrare in classe sapendo che testi leggerò, cosa userò, su quali domande punterò, davanti ai ragazzi non puoi fare il cialtrone. Il punto però è che quando ho visto che grazie alle altre attività la mia lezione poteva “esplodere”, non sono più riuscito a farne a meno. Ad ogni nuova idea o proposta penso “è una cosa in più, ma chissà quali nuove opportunità potranno nascere per i ragazzi, per la scuola…”, così dico sì. Questo sul piano delle motivazioni, sul piano concreto la verità è che posso farlo grazie a mia moglie Dora e al fatto che lavoro molto, la notte, il weekend e che pianifico la mia giornata quasi come se fossi un manager. Dire “non ho tempo” è una scusa, è questione di organizzazione o di disorganizzazione.

Faccio tante cose, molti mi chiedono "come fai?" e io rispondo “come fate voi a non farle?”. Mi soffoca l’idea della sola lezione del giorno dopo, non perché io non reputi la lezione e la sua preparazione una cosa importante, anzi, non puoi andare in classe a fare il cialtrone. Però è quando ho visto che grazie alle altre attività la mia lezione poteva “esplodere”, non sono più riuscito a farne a meno.

Questo ci dice che l’insegnante del futuro – e del presente – non può essere quello che abbiamo in mente dai nostri ricordi di alunni?
Certo, oggi la vita dell’insegnante è fatta di insegnamento, aggiornamento, alternanza scuola lavoro, progetti, rapporti con il territorio… non è l’insegnante degli anni '30 che studia, va in aula, parla e ripete. Oggi l’insegnante deve essere competente ma anche versatile, perché deve essere in grado di intercettare e accogliere tutte le esigenze dei ragazzi, con le loro difficoltà e "i casini" della loro età.

"Deve" perché è quanto è richiesto o per altre ragioni?
Devi perché il core business della scuola sono i ragazzi, non noi professori. Lo fai perché ti viene chiesto e perché è bello farlo, come quando la tua fidanzata ti chiede di fare una cosa a cui tu non avresti mai pensato… Se la realtà ti chiede questo, tu puoi decidere di arroccarti e lamentarti per i prossimi trent'anni oppure puoi aprirti e buttarti.

La ricerca per me è fondamentale, proporrei al Miur di prevedere un anno di ricerca ogni sette anni di insegnamento, altrimenti si va in classe a ripetere quello che si è studiato nella tesi – la punta più alta di ricerca fatta – o a ripetere il manuale. Se fai ricerca entri in aula con un respiro diverso, quando uno studia davvero gli autori e li porta in classe non può che avere successo, un docente non ha successo quando spiega il manuale.

In aula però com’è la sua lezione? Cioè, come tutto quello che lei fa fuori dall’aula ha ricadute sulla sua didattica e sui suoi ragazzi?
Io porto in aula un me stesso più vivo, più attento e più competente. Ai miei alunni non interessa nulla il tempo che io spendo per organizzare un webinar, magari se ne accorgono quando invito un autore o un personaggio e loro possono godere di questa cosa bella, ma tutto il prima no. I ragazzi però non ascoltano Aristotele perché sono interessati di loro ad Aristotele, sei tu che devi dimostrargli che Aristotele è interessante per la loro vita: le discipline sono uno strumento per far crescere il ragazzo, da sole non bastano. La ricerca ad esempio per me è fondamentale, proporrei al Miur di prevedere un anno di ricerca ogni sette anni di insegnamento, altrimenti si va in classe a ripetere quello che si è studiato nella tesi, la punta più alta di ricerca fatta, o ripetendo il manuale, cioè quello che la scuola vuole che tu ripeta. Se fai ricerca invece entri in classe con un respiro diverso, quando uno studia davvero gli autori e li porta in classe non può che avere successo, un docente non ha successo quando spiega il manuale. Se parti dai testi, se interroghi in modo nuovo e chiedi ai ragazzi di fare un talk su un ragionamento portando lì i fili di tutto quello che hanno studiato… i ragazzi si entusiasmano. Un insegnante deve essere un uomo impegnato con se stesso, appassionato agli autori che così diventano vivi nel presente, hanno una connessione con il mondo, non sono pezzi da museo: sono d’accordo con Nietzsche, se raccontato male il passato diventa una tomba, se proposto bene invece diventa una bomba. Quello che si dice e si fa in classe non può non avere un nesso con il tuo stare nel presente. Io ad esempio per ogni lezione mi chiedo: qual è la domanda che può rendere interessante per un ragazzo la lezione di oggi? A che domanda risponde ciò di cui oggi voglio parlare loro? Quando inizi la lezione ponendo una domanda i ragazzi si attivano, pongono loro stessi domande, magari domande che hanno già ma non sanno di avere. Ovviamente la lezione deve essere molto costruita come ordine e ritmo e i testi sono preziosissimi perché mantengono l’esperienza originaria da cui sono nati e possono arrivare alla soggettività del ragazzo. Se capisci che conoscere è l’esperienza più intensa che un uomo possa fare, che la vita è cultura e la cultura è vita, Aristotele diventa interessante.

Sono d’accordo con Nietzsche: se raccontato male il passato diventa una tomba, se proposto bene invece diventa una bomba. Quello che si dice e si fa in classe non può non avere un nesso con il tuo stare nel presente. Io ad esempio per ogni lezione mi chiedo: qual è la domanda che può rendere interessante per un ragazzo la lezione di oggi?

Se vincesse, con i soldi del premio cosa farebbe?
In buona parte li userei per continuare i progetti che ho ideato, in particolare i webinar e le Romanae Disputationes. Poi sarei felice di creare qualche borsa di studio per la mia scuola, che è un posto bellissimo: vorrei che tutti quelli che lo desiderano potessero studiare qui. Devo anche dire però che già oggi il 30% dei nostri studenti ha una borsa di studio.

Chi l’ha candidata al Premio?
Mi ha convinto la preside. Ci sono voluti tre giorni e mezzo per preparare e caricare tutti i materiali, cv, articoli, video, rassegna stampa… io credo che qualcuno si sia anche scoraggiato.

Sa che qualcuno ha criticato questa idea di premiare l’insegnante migliore…
Diciamo che noi siamo gli esempi virtuosi di quel molto di buono che c’è nella scuola italiana. L’iniziativa può non piacere, ma secondo me è utile per far capire che anche nella scuola è possibile essere soddisfatti. Gli insegnanti spesso sono dipinti un po’ come degli sfigati, condannati a un basso stipendio e all’insoddisfazione… Ma noi lavoriamo sui ragazzi, abbiamo davanti il capitale umano del Paese, il futuro del Paese: possiamo cambiare davvero l’Italia! A me fa impazzire che a livello sociale non ci si renda conto del valore dell’educazione.

Questo premio è utile per far capire che anche nella scuola è possibile essere soddisfatti. Gli insegnanti spesso sono dipinti come condannati a un basso stipendio e all’insoddisfazione… Ma noi lavoriamo sui ragazzi, abbiamo davanti il capitale umano del Paese, il futuro del Paese: possiamo cambiare davvero l’Italia! Insegnare è il lavoro più bello del mondo

Nel video di presentazione lei ha detto che quello dell’insegnante è il lavoro più bello del mondo: perché?
L’ho imparato dal rettore della scuola in cui insegnavo a Milano, don Giorgio Pontiggia: a noi docenti diceva sempre che i ragazzi ci costringono a mantenere vivo il fuoco della domanda su noi stessi, su cosa vogliamo essere. “Voi insegnando guadagnate molto di più di ciò che date”, ripeteva, ed è vero. Devo ringraziare sul serio i miei ragazzi, è una sfida ogni mattina, ti mettono con le spalle al muro ogni giorno domandandoti chi sei, per cosa vivi, che cosa ha da dire la tua disciplina al mondo. C’è una frase di Papa Francesco che tengo a mente: "non dobbiamo occupare spazi ma innescare processi". È vero, il docente può occupare spazi di vita dei ragazzi, invece tu sei lì per innescare processi positivi nei ragazzi, con le cose che proponi e con la tua persona, perché loro ti guardano. Questa è una soddisfazione che nessuno stipendio ti può dare.

Sempre nel video afferma che «ogni ragazzo è un gigante dormiente che ha solo bisogno di essere stimato». Uno penserebbe stimolato…
Se uno non sente stima, rischia di rifiutare anche la proposta di lavoro. Invece quando è investito di stima allora tutto l’io della persona viene messo in moto e guarda con serietà al lavoro. Avere passione per la crescita dell’altro è il passo primo per prendere a bordo ogni ragazzo, così com’è, e iniziare il cammino verso il segreto delle cose. Vale per tutti, il docente neutro non esiste, ogni docente non può che essere educatore: chi dice che non educa, in realtà educa al cinismo. Tu entri in classe e annunci quello che sei, non c’è neutralità possibile.

Chi sono i suoi maestri?
Mia mamma, docente di lettere in pensione, e don Giorgio Pontiggia, il mio primo rettore. Poi tanti colleghi a Roma che mi hanno aperto piste di lavoro.

Leggendo i profili degli altri finalisti, che riflessioni ha fatto?
Alcuni profili mi hanno colpito, chi fa matematica col teatro, l’insegnante che lavora con i carcerati, quella che fa educazione all’imprenditorialità. Penso che ci sia una varietà enorme di esperienze nella scuola e che questo premio serva per tirar fuori una ricchezza che c’è ma è come imbalsamata e non trova i luoghi giusti per esprimersi all’esterno. Gli insegnanti fanno cose bellissime, io mi sento uno tra tanti, ci sono un sacco di storie mirabolanti, ne sono convinto. La scuola oggi deve scegliere e magari osare un po’ di più su temi come il merito, l’autonomia di scegliere i docenti… provare a pensare la scuola come ciò che uno desidera può liberarla di tante pesantezze. Io quando racconto le cose che faccio vedo accendersi una luce negli occhi di tanti colleghi, forse devo prendere più sul serio l'impegno a contagiare e stimolare, il dire “perché non lo fai, dai fallo, è bellissimo”.


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