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Torino

Zero Sei, storie e volti

di Fabrizio Floris

Un progetto è qualcosa di più di una serie di azioni: è una visione, un desiderio, un sogno. Per capirlo bisogna incontrare i volti che hanno incontrato l'iniziativa di Compagnia di San Paolo per i bambini e le famiglie in condizioni di marginalità

Un progetto è qualcosa di più di una serie di azioni: è una visione, un desiderio, un sogno che sta soprattutto sulle spalle di chi fa del lavoro qualcosa di più del lavorare: cerca di essere parte attiva di una catena vitale che stringe mani che lavorano e, lavorando, trasformano la vita. Zero-Sei Insieme per tutti i bambini è un’iniziativa della Compagnia di San Paolo per i bambini e le famiglie che mette in fila una serie di azioni e attività qui le storie di chi ne ha incrociato il destino.

Sara
Sono per strada quando Gezim inizia a sbracciarsi per indicare una persona: «Vedi quella donna che corre veloce con il suo zaino sulle spalle? Lei si chiama Sara, è una che aiuta tutti, ha una spinta interiore formidabile». Ricordi la parola più pronunciata dalle ostetriche? spinga, spingi, la stessa che racconta Marco: “lo spirito spinse Gesù nel deserto”. Cosa pensi? Cosa c'entra questo con la città? Ti sembra che al massimo potrebbe avere una rilevanza antropologica vero? Non capisci che è sulle persone come Sara che si regge questa città che altrimenti imploderebbe nel rancore. È in fondo la società ha solo due componenti: quelle che la costruiscono e quelli che la distruggono: rompono relazioni, legami, vite… in qualsiasi posizione essi si trovino. Devi capire perché lo fanno, devi capire gli uni e gli altri. Ci sono quelli fortemente motivati nel costruire così come nel distruggere, poi c'è gente che sta un po' qua e un po' la’. Sara segue progetti, manifestazioni, iniziative. Tu questo non lo vedi, come i genitori che non "vedono" che i figli crescono, non tutti i giorni perché il loro sguardo è vicino, quotidiano, ma per vedere vicino devi imparare a guardare lontano. In un territorio dove finiscono le lotte e i sogni per fare spazio all’isolamento e alla solitudine, dove le soluzioni non sono più collettive, ma rigorosamente individuali restano le persone “fanno la differenza” nella solidarietà. È vero c’è un crollo, ma insieme c’è una ricerca di qualcosa di bello su cui posare lo sguardo: sono fiorellini deboli, deboli, piccoli stupori, espressioni e respiro di un’attesa di volare: vincere la gravità non è solo scienza, ma poesia.

Franca
Franca mi blocca per la strada mentre corro veloce verso il teatro forum di Beinasco, mi implora di fermarmi perché nessuno l’ascolta, nessuno l’aiuta. Dato che anch’io non ho niente da fare ci fermiamo a parlare: cosa fai perché sei qui? “Ho tre figli, il mio compagno mi ha lasciato perché ha trovato una tipa migliore su facebook, così dall’oggi al domani sono rimasta sola con tre figli di 3, 6 e 1 anno. Sono andata dappertutto credimi: centro di ascolto, servizi sociali, Ufficio Pio, ma nessuno mi aiuta, aiutano solo gli extracomunitari. Adesso non pago l’affitto da tre mesi e mi hanno già intimato di andarmene-. Ti prego hai 5 euro così compro il pane e il latte per oggi per i bambini”. Gli chiedo e domani? Franca resta in silenzio poi dice: “la vita ha sempre un domani anche le pietre hanno un domani, anche l'erba, le foglie e i fiori hanno un domani, anche le idee, la filosofia e i pensieri hanno un domani, anche l'inquinamento ha un domani persino la morte ha un domani. Perché noi non dovremmo averlo?”. Già.

Elisabetta
Elisabetta ha studiato psicologia e psichiatria lavorando sia in Italia che in America Latina: una lunga esperienza e un curriculum che alterna studio e pratica. Nel suo studio riceve tutti gli scarti della società moderna in poveri che non si possono curare perché la malattia mentale sta diventando un problema che solo chi ha i soldi può permettersi di curare. I centri di salute mentale seguono centinaia persino migliaia di persone e ogni anno arrivano nuovi utenti a cui se va bene danno una terapia e un saluto poi se tornano bene altrimenti ciao. In alcuni Csm ci sono tremila cartelle aperte e un nuovo arrivo ogni giorno così il diritto alla cura, senza mezzi e persone, diventa un rovescio. Quindi Elisabetta riceve le persone chi può paga, chi non può si impegna in qualche forma di restituzione poi tutto quello che incassa (eccetto 200 euro al mese per lei), dico tutto, lo manda in Africa e America Latina. Piccoli progetti, ma ben studiati per tirare fuori dalla miseria altri volti, altre storie. Con questi soldi ha salvato la vita ad Emmanuel in Kenya che non aveva i soldi per curarsi e i medici avevano detto alla moglie di preparare i soldi per il funerale. Ha tirato fuori dal ghetto di Korogocho Milly che ha aperto una sartoria e nel tempo libero insegna a cucire ad altre donne. Ha fatto studiare e ha garantito le cure ad una serie di bambini della periferia di Nairobi. Quando mi telefona si dispera perché non è soddisfatta, non è abbastanza. Hai ragione la vita sulla terra costa abbastanza poco. Per i sogni ad esempio qui non paghi un soldo.

Paolo
Paolo è un operatore sociale, sempre un po’ fisso e un po’ precario, che è dovuto, suo malgrado passare dall’altra parte. Racconta: “quando sei disoccupato i pensieri sono ossessioni, ti rincorrono ovunque tu sei, qualsiasi cosa fai. Non c’è distrazione, svago. La mattina porti i bambini a scuola, poi in biblioteca per connettersi ad internet, consultare offerte e spedire curriculum così fino a sera. Risultati zero, chiamate nessuna, non hai fatto niente, non sai il senso della giornata trascorsa, nessun sorriso, strette di mano: è un peso che ti schiaccia e ti impedisce di muoverti dall’ultima panchina del parco. Ti trascini verso casa, ma non vuoi tornare perché non hai il coraggio di guardare i tuoi figli in faccia, per loro non hai fatto nulla, non hai messo insieme neanche un piatto di minestra fredda, ma il loro sorriso la scalderà.


Zero Sei, storie e volti

Testi a cura di Fabrizio Floris
Foto a cura di Annalisa Simonato



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