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Quelle cento lettere a detenuti sconosciuti

di Marilù Ardillo

La chiamata alle parole lanciata dalla Fondazione Vincenzo Casillo insieme a Eduradio&Tv in occasione del Natale appena trascorso, ha intercettato una moltitudine di storie desiderose di connessioni e di vita. Un centinaio le persone che hanno accolto l’invito a scrivere una lettera a una persona detenuta sconosciuta, isolata e spesso giudicata e ha scelto di mettere nelle sue mani un frammento di vita libera, uno stimolo, un’ispirazione, un auspicio

“Mio caro amico, anche se non ci conosciamo ti immagino con occhi limpidi e ti chiedo: sorridimi, e lasciati andare ascoltando il mare”.
È stata Consuelo a scrivere queste parole, dalla stanza di una residenza a trattamento socio riabilitativo, sulle colline bolognesi. Insieme ai suoi compagni di viaggio, ha dedicato il laboratorio di scrittura creativa a Parlami Dentro.
La chiamata alle parole lanciata dalla Fondazione Vincenzo Casillo insieme a Eduradio&Tv (qui la news) in occasione del Natale appena trascorso, ha intercettato una moltitudine di storie desiderose di connessioni e di vita.
Circa un centinaio di persone ha accolto l’invito a scrivere una lettera a una persona detenuta sconosciuta, isolata e spesso giudicata e ha scelto di mettere nelle sue mani un frammento di vita libera, uno stimolo, un’ispirazione, un auspicio.

Sono storie di persone che parlano ad altre persone con parole universali, che hanno dovuto e voluto lottare per uscire da qualche pena e hanno suggerito la loro chiave di salvezza. Che hanno provato ad essere un balsamo per molte ferite, a voler citare l’amata Etty Hillesum, che di lettere ne ha scritte molte dal lager di Westerbork, dove andò di sua spontanea volontà per prestare soccorso agli internati, scegliendo di vivere “l’inferno degli altri”.

Alcune tra le lettere più intense sono state lette durante il mese di dicembre nel programma radiotelevisivo Liberi Dentro di Eduradio&Tv, seguito potenzialmente da 750 detenuti della Casa circondariale Rocco D’Amato di Bologna sui canali televisivi regionali.
E tra le magie del tutto inaspettate compiute da questa iniziativa, una lettera è arrivata da un’altra Casa Circondariale, da Teramo, oltrepassando muri invalicabili e conferendo alle parole il potere di unire e riconoscere. “Sono già due anni e mezzo che sono recluso, alla prima esperienza carceraria. Vengo da una famiglia molto unita che aspetta la mia uscita, strappato ad una vita quasi normale all’età di 65 anni. Dopo un periodo di sbandamento, con un grande sforzo di volontà ho preteso di riprendermi le redini della mia vita in questo spazio ristretto, dedicandomi alla lettura e poi allo studio. A quel punto la mia mente è uscita fuori dalle sbarre e ha incominciato a fare progetti”.
In risposta a quello che è andato delineandosi come un dialogo aperto che ha sorvolato le leggi del tempo e dello spazio, Fabrizio ha scelto di fare dono a Parlami Dentro di una lettera scritta nel 2009 indirizzata al suo datore di lavoro, che lo ha aspettato e ha mantenuto il suo posto dopo 20 anni di reclusione. “È bello che qualcuno si ricordi di me che vivo un particolare momento della vita. Vorrei continuare con il mio lavoro, il mio obiettivo è il riscatto. Le mie tante sofferenze mi hanno consentito di scindere il bene dal male. Ho pensato che l’unico modo per rispondere ad una società in crisi, spesso priva di senso, fosse quello di reagire. Il vostro amore, la tua tenacia e caparbietà sono stati i miei punti di riferimento. Hai dimostrato che si può convivere con persone al di là dei giudizi degli altri in un confronto libero da preconcetti. La cultura è un’arma indispensabile per la conquista della libertà interiore. Grazie per tutto ciò che mi hai insegnato e per il bene”.

Francesco, ex detenuto che oggi ha 60 anni, aggiunge che il bene esiste, che lo si sceglie ogni giorno con pazienza e umiltà, “perché tu hai un valore in origine”.
E Paolo in una lunga lettera di 8 pagine conferma di aver conosciuto Andrea, compagno di cella per un unico mese di detenzione (piombata all’improvviso nella sua vita da onesto ingegnere), tossicodipendente che a dispetto del dolore e della rabbia si è rivelato un amico premuroso, che si preoccupava di tenere la cella pulita per entrambi, gli lavava i vestiti, gli assicurava il pranzo sul tavolo, l’acqua, il pane. E Claudio, che Paolo ha continuato ad andare a trovare sulla sua panchina anche dopo la libertà, portando vestiti caldi per l’inverno, dentro e fuori dagli ospedali.

Parlami Dentro ha il merito di essere stata un’occasione: per esprimere, per ascoltare, per riflettere, imparare. Per riconoscere il diritto ad esistere, ciascuno nella propria verità.
Ha anche il merito della bellezza, intesa come affermazione di vita, come emblema della bontà dell’umanità. Ogni lettera ci ha incoraggiati tutti ad abbracciare questa causa, l’uno nell’altro.


La foto di Martina

Anna Luisa si è seduta al tavolo della sua cucina e ha scritto su una pagina di una vecchia agenda, con la grafia incerta dei suoi 92 anni, una breve lettera che ha chiesto a suo figlio di inviare: “da una nonna che ti vuole bene”.

Anche Nonna Gegè ha promesso che nel giorno di Natale “parlerò di te ai miei 4 nipoti davanti ad un’immancabile scodella di tortellini e ti ricorderemo come un nuovo amico che non ha potuto aggiungersi alla nostra tavola”.
Maria Lucia è una paziente oncologica che sta imparando a stare nelle sue paure, che si occupa dell’Orto delle donne e di scrittura creativa per bambini. Nella sua lettera ha dimostrato l’equazione dell’amore: “se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo e poi vengono separati non possono più essere descritti come due sistemi distinti, ma diventano un unico sistema”.

Martina ha scritto da Amsterdam, dal tavolino di un furgone camperizzato che è diventato la sua casa. Ha inviato l’immagine di uno scorcio di azzurro dal finestrino al risveglio e ha immaginato il carcere come un piccolo villaggio, dove ogni cella ha il suo orto e dove ogni detenuto può preparare un piatto buono da condividere. Per essere sostenuti e non abbandonati.

Francesca ha scritto dalla scrivania di un cinema parrocchiale e ha raccontato come imparare a farsi andare bene le cose, cercando qualcosa di positivo in ogni situazione. A cominciare da una stufa calda in una sera di pioggia e uno scialle francese appartenuto a sua nonna 20 anni prima di una lunga malattia.

Rosa è una suora missionaria che oggi ha 93 anni e vive su una sedia a rotelle in una casa di riposo. Nella sua lettera ha ricordato la sua prima missione a Roraima, in Brasile, negli anni ’60. Di quando si svegliava alle 4 del mattino per fare il pane e la pasta e setacciare la farina dai vermi, perché arrivava dall’America dopo mesi di viaggio. Il suo lavoro di insegnante di matematica, biologia, fisica e religione formava le giovani madri.

Pasquale dirige il Festival per la Legalità in Puglia, è anche scrittore e poeta e nella sua lettera ha offerto uno sguardo prezioso da rivolgere alle persone detenute, ma soprattuto a noi stessi, alla nostra coscienza: “Vorrei adottarti, come si adottano i bambini. Per adottare anche la tua pena. Portarmela per un po’, per quello che posso. Ogni uomo e ogni donna dovrebbero adottare un carcerato o una carcerata. Non per solidarietà, ma per consapevolezza. Vorrei adottarti come si adotta un bambino perché tutti siamo stati bambini e per questo tutti saremmo potuti diventare ladroni”.

Chi è amato fiorisce

Lucrezia – Parlami Dentro

Francesca è stata bullizzata durante la scuola elementare fino all’adolescenza e mai protetta e difesa dalla sua famiglia. È stata autolesionista, ha patito a causa di una lunga depressione. Nella sua lettera ha raccontato come ha imparato a sorridersi e abbracciarsi davanti allo specchio, a dirsi parole belle. E ad essere oggi finalmente una persona piena di energia e voglia di vivere.
Rosalba ha domandato: “C’è una scena nella tua testa che potrebbe essere il disegno perfetto del tuo concetto di amore?”
Mirella ha raccontato con parole e immagini i colori di una passeggiata solitaria alle prime ore del mattino: ottomila passi sono la misura del tempo trascorso tra la sveglia e il luogo di lavoro.

Lorenzo ha 15 anni, nella sua lettera ha citato Avatar e ha riassegnato un nuovo significato alle parole citate nel film: Essere visti. “Io ti vedo, vedo la tua anima, i tuoi pregi, i tuoi difetti. E ti accetto”.

Molti docenti di numerose classi di scuole superiori si sono fatti spontaneamente portavoce dei pensieri di molti ragazzi che, seppure molto giovani, sono stati capaci di esprimere considerazioni e sentimenti profondi, di valore. E che per questo ci fanno sperare in un futuro possibile.

Roberta dalla Sicilia ha raccontato la sua esperienza con il buddismo, che le ha insegnato che ogni essere è perfettamente dotato dentro di sé. E ha lasciato la traccia di un mantra: Nam Myoho Renge Kyo, che si traduce nel rispettare la dignità e le infinite potenzialità delle nostre vite ordinarie, l’impegno a non cedere mai alle difficoltà e a vincere sulle proprie sofferenze.
Lucrezia ha raccontato di come ha recuperato una pianta quasi morta per strada dentro un vecchio vaso, perché “chi è amato fiorisce”.

Diletta invece ha descritto una statuina sulla mensola del camino: una giovane coppia in attesa di un bambino.

Tony ha raccontato la sua adolescenza prigioniero nella sua stanza e nel suo corpo. Oggi ha quasi 40 anni ed è un uomo transgender felice, libero.

Daniela ha 48 anni e 25 anni fa in seguito ad un incidente stradale e 25 giorni di coma, si è svegliata disabile. Ha scritto di una vita cambiata, 2 anni di logopedia per ricominciare a parlare. Oggi cammina per il mondo non vergognandosi più della sua lentezza, del bastone, del braccio che non si muove.

Dario ha 25 anni e da 6 vive a Bologna. È cresciuto nella Germania meridionale a Tubinga, vicino alla foresta nera. Aveva il sogno di vivere in Italia, e dopo appena una settimana dal suo arrivo, sua mamma è venuta a mancare, dopo un’infanzia dolorosa in un orfanotrofio, un matrimonio infelice e due tumori. Lavorare con ragazzi con disabilità mentale e aver trovato persone speciali che lo hanno accolto, gli ha permesso di continuare a credere nella vita e nelle persone. E non essere più solo. “Il mondo può sembrare freddo, ma si possono incontrare persone stupende. Spero tu possa avere questa fiducia e che questa ti dia la forza per trovare dei sogni e seguirli”.

Non so dove tu sia nato, cresciuto, né quale ambiente tu abbia frequentato. So però che se potessi, per un giorno, portarti a fare un’escursione tra boschi e fiumi, colline e orizzonti, qualcosa dentro di te forse succederebbe. Potresti capire che anche tu hai dei sogni, che anche tu coi tuoi talenti potresti incamminarti verso altri orizzonti. Che i tuoi sogni valgono quanto i miei e quelli di chiunque altro

Davide Sapienza

Parlami Dentro ha sottoscritto un tacito patto di fiducia straordinario. Molte persone, dai 10 ai 93 anni, da tavoli e scrivanie di ogni parte d’Italia, hanno affidato il racconto più intimo della loro esistenza con la certezza di sentirsi accolti e compresi. E questa certezza è stata associata, in un immaginario collettivo del tutto inatteso, alle persone detenute, dimostrando dunque che prima di ogni altra cosa sono persone, capaci di intelligenza emotiva e di calore.

Lo conferma persino Monica che di un detenuto è figlia, che ha indirizzato la sua lettera a se stessa e anche a suo padre: “Gli errori non definiscono le persone, ma conta quello che queste ultime fanno dopo averli commessi”.

Anche alcuni scrittori hanno accolto l’invito a parlare dentro. E illustratori, cantautori.
Il geopoeta Davide Sapienza ha raccontato cosa significa per lui essere dentro il respiro del mondo, auspicando che un detenuto possa essere messo in contatto con la Madre Terra, per non vedere solo confini ma anche orizzonti: “Non so dove tu sia nato, cresciuto, né quale ambiente tu abbia frequentato. So però che se potessi, per un giorno, portarti a fare un’escursione tra boschi e fiumi, colline e orizzonti, qualcosa dentro di te forse succederebbe. Potresti capire che anche tu hai dei sogni, che anche tu coi tuoi talenti potresti incamminarti verso altri orizzonti. Che i tuoi sogni valgono quanto i miei e quelli di chiunque altro”.

Chicca Gagliardo, scrittrice e giornalista, ha fotografato una piccola stella dorata trovata per caso sull’asfalto bagnato dalla pioggia e ha imbastito dei versi intorno a quel “meraviglioso mistero che ci fa sentire piccoli per diventare immensi”.

Pino Pace, noto autore di libri soprattutto dedicati ai ragazzi, ha raccontato di aver scoperto e amato una poesia antica che arriva dal Giappone e si chiama Haiku. E ha provato a mostrare come fare, come giocare con le sillabe e con l’immaginazione.

Viviane Ciampi, poeta e traduttrice italo-francese, ha fatto dono di alcuni suoi versi che credono nel possibile: “(…) Ma prima pianta una quercia, perquisisci il termitaio, rosicchia gli atomi della tua ostilità, e quando poserai il piede sulla terra promessa, sblocca le montagne”.

Paolo Lagazzi, scrittore, saggista e critico letterario, membro del Comitato direttivo dell’Accademia Mondiale della Poesia di Verona, ha menzionato le parole di Sandro Penna: “Ognuno è nel suo cuore un immortale”. E ha narrato di quella specie di ferita che brucia in noi spingendoci a sbagliare e creare altre ferite, in noi stessi e negli altri. “C’è davvero un mistero del male che ci sfiora e ci tenta. Questo mistero però non riesce a intaccare il nucleo più profondo e più vero, il fondo luminoso del nostro essere. Malgrado i nostri limiti e le nostre miserie, c’è una parte irriducibile d’innocenza, di grazia, di grandezza dentro ciascuno di noi”.

E allora forse il compito che questa meravigliosa esperienza ci chiede è imparare a riscoprire quella parte di leggerezza e di innocenza annidata, che può aiutarci a capire che il senso della nostra esistenza non si esaurisce negli errori che commettiamo.


Nelle immagini alcune delle lettere inviate al progetto Parlami Dentro – In apertura l'mmagine simbolo


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