Volontariato

Ivrea, così sto ricucendo il velo degli equivoci

È marocchina, fa la mediatrice culturale. Oggi fa dialogare una comunità spaccata da un piccolo fatto, salito alle cronache nazionali. Intervista a Souad Benkhdim.

di Redazione

Parlando con la gente di Ivrea si scopre una città intristita, abbacchiata per una vicenda che le è sfuggita di mano. Il compito di risollevarle il morale è affidato a Souad Benkhdim, marocchina, 43 anni, docente di Comunicazione interculturale all?Università di Venezia, mediatrice culturale, collaboratrice del ministero della Giustizia in tema di minori non accompagnati, residente a Ivrea da 3 anni dopo averne passati 14 a Torino. Servirà tutta la sua preparazione per ricucire uno strappo che da oltre venti giorni tiene sotto scacco la città che diede i natali ad Adriano Olivetti. Da queste parti, nei bar e nelle scuole, ancora oggi è difficile sentir parlare d?altro, se non del presunto rifiuto che le direttrici dell?asilo nido Miele &Cri Cri avrebbero sbattuto in faccia all?educatrice musulmana Fatima Mouayche, in procinto di incominciare uno stage nella struttura di Samone (piccola frazione alle porte di Ivrea). La missione le è stata affidata direttamente dal console marocchino di Torino e da Confcooperative, l?organizzazione cui fa capo proprio il nido Miele & Cri Cri.
Vita: È difficile. Da dove si comincia?
Souad Benkhdim: Dall?incontro. Perché fino ad oggi Fatima e le direttrici dell?asilo non si sono mai viste.
Vita: Quando e dove?
Souad: Il prima possibile. Dopo di che organizzerò una festa nell?asilo di Samone. Ci saranno anche il console marocchino di Torino, rappresentanti del governo di Rabat, i genitori dei bambini e ovviamente Fatima e le insegnanti.
Vita: Fatima è d?accordo?
Souad: Adesso sì.
Vita: Questa è una notizia.
Souad: Dietro ogni hijab (il velo in arabo) c?è sempre un uomo. Non fa eccezione il caso di Fatima. C?è stato qualcuno nella comunità marocchina di Ivrea che l?ha mal consigliata. Questa persona ha organizzato tutto, è stato lui a contattare i giornali, così un ?qui pro quo? è diventato un caso nazionale.
Vita: Come si chiama questo mister X?
Souad: Non voglio dire il nome. Il mio compito è di mediare, non mettere ulteriore legna sul fuoco. Il suo scopo però era chiaro: guadagnare visibilità all?interno della comunità.
Vita: Per motivi religiosi?
Souad: No, non si tratta di un estremista islamico, ma di un laico in cerca di pubblicità.
Vita: Chi ha sbagliato di più in questa storia: gli italiani o i marocchini?
Souad: Io conosco gli eporediesi. L?aspetto che mi è più dispiaciuto è stata l?etichetta di razzismo appiccicata addosso a questa città che si è sempre dimostrata accogliente. Fatima ha commesso un errore nel rivolgersi ai giornali: questa era una faccenda da gestire in silenzio.
Vita: Come sta Fatima?
Souad: Male. È stata travolta da una faccenda più grande di lei. Voglio però dire una cosa agli italiani.
Vita: Prego…
Souad: Sui media sono sempre gli uomini a parlare. Le donne musulmane vengono invitate unicamente come testimoni di dolore: o perché costrette a mettersi il velo o in quanto vittime della crudeltà di qualche integralista. Vi dico: non escludeteci. L?odio e il terrorismo fanno leva sull?emarginazione.
Vita: A proposito di velo, lei non lo porta
Souad: Svolgo una professione che mi richiede la massima neutralità. Ma anche Fatima si era detta disposta a toglierlo. Il problema è che ormai il velo ha acquisito un significato politico che ha corroso la sua valenza religiosa

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