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La bellezza del corpo sfida le ideologie

Intervista a Shirin Neshat, la più famosa artista iraniana

di Redazione

Vive in Occidente. Ma nei giorni della rivolta di Teheran era nel suo Paese. E oggi racconta lo stupore di quei momentidi Sara Hejazi
Shirin Neshat, fotografa e artista iraniana, ha vinto quest’anno il Leone d’argento a Venezia per la sua opera composta da cinque installazioni video e intitolata Donne senza uomini, ispirata al romanzo della scrittrice Sharnoush Parsipour, anche lei iraniana. Di nuovo protagoniste dell’opera dell’artista sono le donne e i loro corpi, mentre attraversano momenti storici chiave per il Paese, come il colpo di Stato organizzato dalla Cia e che ha rovesciato il governo di Mossadeq negli anni 50 del Novecento, eventi raccontati in chiave metaforica e allegorica riprendendo alcuni temi cari alla poesia mistica persiana. Yalla Italia l’ha incontrata a «Torino spiritualità», dov’è stata tra le protagoniste. Sempre a Torino l’artista è protagonista di un’esposizione con Shoja Azari alla galleria Noire contemporary art sino al 5 dicembre.
Yalla: Shirin, si può dire che lei ha inaugurato una corrente artistica di donne iraniane il cui tema è stato proprio una riflessione sulle vicende del Paese in relazione al ruolo femminile?
Shirin Neshat: In realtà all’inizio non mi sono mai posta il problema di diventare ambasciatore della situazione delle donne in Iran, ma come artista che ha vissuto fin da giovanissima fuori dal Paese la mia era più una ricerca personale del rapporto con quello che avevo lasciato e che sentivo il bisogno di riavere. Volevo, in un certo senso, riappropriarmi dell’Iran. E così sono finita in qualcosa di molto più grande di me. È come se questo mio monologo interiore si fosse gradualmente trasformato in un dialogo. In un certo senso è il modo più efficiente per affrontare temi sociologici, quello di rapportarsi in modo personale e introspettivo, come un individuo che pone delle domande. Comunque dico sempre: io vivo fuori dall’Iran, non potrei mai essere un rappresentante di come si vive nel Paese, non ho questo merito.
Yalla: La riflessione che nasce come suo spunto personale al di fuori dell’Iran ha preparato l’Occidente a guardare con occhio benevolo la produzione artistica che invece oggi nasce all’interno dei confini nazionali?
Neshat: Certo, per lungo tempo ad Ovest si è avuta l’impressione che le donne iraniane fossero vittime della società, mentre questo fiorire della produzione artistica e letteraria negli ultimi tempi ha provato il contrario. E ha anche colto l’Occidente di sorpresa perché nessuno si aspettava una così grande forza dalle donne, penso a Shirin Ebadi, Marjan Satrapi, Shadi Ghadirian e Goli Taraghi, e altre ancora. Questa forza è poi ciò che si avvicina di più alla realtà iraniana: abbiamo visto quest’estate, al tempo delle elezioni, la forza delle giovani che sono scese per le strade a fare campagna elettorale prima e per protestare poi.
Yalla: In quanto artista cosmopolita, ha mai rischiato di essere fraintesa sia in Occidente che in Iran?
Neshat: In Iran molte persone non sono abituate all’arte concettuale, per cui non la capiscono, non la trovano familiare. Allo stesso modo in Occidente le persone sono abituate ad uno sguardo molto semplicistico sull’arte, per cui qualsiasi cosa io faccia, come per esempio fotografare una donna velata, può venire letta come «oh, povere donne musulmane, guarda come vivono male». Quando parli di Islam o di politica iraniana sei subito bombardato da banalizzazioni in Occidente.
Yalla: Il corpo è centrale nella sua produzione ed è sempre in relazione con gli eventi storici, che in un certo senso lo attraversano. Come sta cambiando, secondo lei, l’immagine del corpo femminile in Iran oggi?
Neshat: Mi ha colpito molto quest’estate in Iran vedere per le strade vecchi e giovani, uomini e donne? mi ha colpito la contrapposizione tra la bellezza delle persone per le strade, in particolare le donne con il loro trucco, vestite di verde, e l’atteggiamento di lotta per la causa politica. Una contrapposizione tra la bellezza del movimento verde e la violenza che su di lui si è abbattuto. Penso alla faccia di una giovane donna bellissima mentre sta per scagliare una pietra contro i “basij”. Il corpo giocava in questo evento storico un ruolo fondamentale, esprimeva la giustapposizione tra violenza e bellezza, speranza e disillusione. Questi elementi di contrapposizione suscitano delle emozioni molto forti in me. Quando lavoravo sul corpo, per esempio per la videoinstallazione di Zarin, che è una prostituta il cui corpo avrebbe dovuto suscitare il desiderio erotico, ho fatto recitare una donna anoressica, proprio per creare questa contrapposizione, era un modo un po’ sovversivo di usare il corpo di lei e presentarlo come oggetto del desiderio sessuale.
Yalla: E infatti anche lei ha scelto di indossare il verde a Venezia?
Neshat: Sì, siamo andati a Venezia indossando il verde proprio per dimostrare come anche solo l’atto di indossare un determinato colore abbia assunto un significato politico. Di nuovo vestirsi diventa un modo sovversivo di confrontarsi con il governo, il verde diventa minaccioso per l’ordine costituito, diventa simbolo di resistenza. Anche in questo caso l’Occidente è stato colto di sorpresa. La bellezza e la forza giovanile c’è sempre stata in Iran, ma il regime islamico ha promosso una propaganda che creava tutt’altra immagine del Paese.
Yalla: In cosa sono diversi questi giovani iraniani rispetto alla vostra generazione che ha fatto la rivoluzione del 1979?
Neshat: La nostra generazione era molto più ideologizzata, eravamo attratti dal comunismo o da altre forti ideologie, come l’islam politico. La nuova generazione non è ideologizzata. Il loro messaggio è rivolto alla vecchia generazione ed è chiaro: «Prego, andatevene a casa. Adesso tocca a noi. Vogliamo libertà e democrazia».

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