Anniversari
La ferita aperta del genocidio di Srebrenica: senza giustizia non può esserci pace
«Trent’anni, 10.957 giorni fa, è stata cancellata l’esistenza di 8.372 bosgnacchi (bosniaco-musulmani) dai 12 anni in su. Cacciati come bestie nei boschi durante la tentata fuga, o deportati da Srebrenica sotto lo sguardo dei Caschi blu olandesi, e uccisi», scrive dalla Bosnia Erzegovina la giornalista Nicole Corritore dell'Osservatorio Balcani e Caucaso. «Nel trentennale del genocidio, a Srebrenica oggi saranno in migliaia a portare il proprio cordoglio al Memoriale di Potočari. Per non dimenticare, e perché prosegua la lunga strada verso la ricerca di giustizia, senza la quale non può esserci pace»

Trent’anni, 10.957 giorni fa, è stata cancellata l’esistenza di 8.372 bosgnacchi (bosniaco-musulmani) dai 12 anni in su. Cacciati come bestie nei boschi durante la tentata fuga, o deportati da Srebrenica sotto lo sguardo dei Caschi blu olandesi, e uccisi. Corpi occultati in fosse comuni, sparse anche a decine di chilometri dalla base Onu e nei mesi successivi spezzettati in fosse secondarie, terziarie.
Oggi, 11 luglio, si tumuleranno gli scheletri – in maggioranza non completi – di sette vittime del genocidio, tra loro anche una donna, che si aggiungono ai resti delle 6.765 sepolte negli anni passati al Memoriale di Potočari , man mano che ne veniva riconosciuta l’identità con l’analisi del dna presso il centro di Tuzla.
Una commemorazione alla quale è previsto l’arrivo di 30 mila persone, tra rappresentanze nazionali – escluse quelle della Republika Srpska di BiH con a capo Milorad Dodik, che non riconosce e nega il genocidio – e internazionali, accanto a familiari delle vittime, superstiti e altri cittadini e cittadine della Bosnia Erzegovina, persone singole o di associazioni di paesi europei ed extraeuropei. L’Italia – diversamente dalla commemorazione del ventennale, alla quale avevano partecipato la presidente della Camera, altre cariche e l’ambasciatore – è rappresentata dall’ambasciatrice d’Italia a Sarajevo, Sarah Eti Castellani. Con lei, è presente il flautista italiano di fama internazionale Andrea Griminelli, che durante la commemorazione suonerà accanto ad artisti bosniaci.
Come ogni anno, saranno tante le donne: madri, sorelle, figlie, nonne, zie, spesso rimaste completamente sole, che nel conflitto hanno patito perdite familiari, la deportazione nei campi di internamento e stupro di guerra; e che nel difficile dopoguerra hanno mostrato incessante impegno e resistenza nel perseguire verità e giustizia. «Finita la guerra, sono stata tra i primi a tornare a Srebrenica. Abbiamo vissuto di tutto… in quei giorni di luglio ho perso due figli, cinque nipoti, mia sorella bruciata viva con altre donne dentro a una casa… 11 parenti solo tra i più stretti«. Lo ha raccontato Šuhra Malić, incontrata due giorni fa al “Dom za starija lica Hatidža Mehmedović ” a poche centinaia di metri dal Memoriale, assieme ai giovani venuti qui per la Summer School dedicata agli studi sul genocidio. «Ma siamo sopravvissute», ha aggiunto, «e quindi abbiamo lottato, per coloro che ci sono stati portati via».
Dopo di lei, che l’anno prossimo compirà novant’anni, hanno parlato nell’incontro altre donne, sopravvissute agli anni di guerra e all’arrivo a Srebrenica delle truppe serbo-bosniache di Ratko Mladić. Un’operazione che la giurisprudenza ha definito genocidio, perpetrato nonostante l’enclave fosse stata decretata “zona protetta” nel 1993 in base alla Risoluzione 819 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Šuhra è stata anche tra le prime ad essere accolta in questo centro, nell’ottobre del 2022, aperto grazie al sostegno di donatori locali e internazionali e dedicato a Hatidža Mehmedović, donna coraggio che fino alla morte – avvenuta nel 2018 – è stata presidente dell’associazione “Udruženja Majke Srebrenice” (Associazione delle Madri di Srebrenica). «Non so cosa dire, è difficile parlare per ogni superstite…», ha aggiunto Šuhra sospirando. Poi si è lasciata andare e a tratti, anche con inaspettata ironia quasi a voler spezzare l’atmosfera dolorosa che aleggiava nella stanza, ha raccontato degli anni in cui con Hatidža ha combattuto per ottenere giustizia: trovare i corpi degli scomparsi e mantenere viva la memoria del crimine subìto.
Sempre donne, dell’associazione “Udruženje Pokret Majke enklava Srebrenica i Žepa” (Associazione del movimento delle donne di Srebrenica e Žepa”), hanno portato la propria testimonianza alle Nazioni Unite a New York lo scorso 8 luglio, alla commemorazione per la “Giornata di riflessione e commemorazione sul genocidio di Srebrenica” istituita a maggio 2024 con una Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu.
Tra loro, Munira Subašić dell’associazione “Madri di Srebrenica”, che dopo aver ringraziato i paesi che hanno sostenuto la Risoluzione, ha denunciato: «È difficile vivere con il dolore nell’anima, ascoltare la negazione del genocidio. I nostri figli sono stati uccisi perché avevano nomi diversi, erano musulmani. L’Europa e il mondo sono rimasti in silenzio a guardare. Le madri non hanno aspettato, si sono alzate per ottenere giustizia (…) e hanno cresciuto i figli, rimasti orfani, insegnando a non odiare e non cercare vendetta». Ha voluto poi ricordare che mentre parlava, stava avvenendo l’uccisione di civili inermi – tra cui donne e bambini – in Ucraina e Palestina: «Vi prego, unitevi alla lotta per fermare tutti questi crimini».
Sono state sempre le donne di diverse associazioni di Srebrenica, Žepa, Bratunac, Podrinje, in rappresentanza di altre centinaia alle quali sono stati uccisi i cari in quel luglio 1995, ad aprire il panel di ieri alla conferenza internazionale organizzata dal Memoriale “Educazione e ricerca sul genocidio”. Munira Subašić, Fadila Efendić, Šuhra Sinanović, Nura Begović, hanno raccontato al pubblico internazionale la loro lotta che dura da trent’anni.

Ieri sono arrivati al Memoriale anche i seimila marciatori e marciatrici della “Marš mira ” (Marcia della pace) che hanno percorso a piedi nei boschi circa 100 km, un tratto in senso contrario della marcia (della morte) delle migliaia che quel luglio 1995 tentarono la fuga. Oltre a loro, i tanti partecipanti alla Ultramaratona Vukovar-Srebrenica di 227 km, decine di motociclisti bosniaci ed esteri, diverse delegazioni di cittadine e cittadini europei tra cui un nutrito gruppo di italiani. Tutti, sono qui oggi. Attorniati dalla distesa sconfinata di bianche stele del cimitero del Memoriale di Potočari, situato a pochi chilometri da Srebrenica – di fronte alla ex-base del battaglione olandese dell’Onu che nel 1995 doveva difendere la zona protetta e abbandonò invece i civili al proprio destino – condivideremo il dolore di familiari e superstiti.
Nel tentativo di lenire – almeno per un giorno – la ferita mai chiusa, dovuta ai tanti scomparsi ancora assenti. E poter, finalmente, elaborare il lutto.
Fonte dell’articolo e delle immagini: Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.