Welfare

la filiera della sicurezza:certezza della pena, certezza del lavoro

onlus sotto la lente Consorzio sociale Rebus

di Redazione

Il carcere come occasione di recupero, non come punizione. Il Consorzio Rebus si occupa di fornire una seconda possibilità a chi ha sbagliato, grazie al lavoro. «L’indulto ha reso un po’ più vivibile il carcere nel breve periodo, ma ben presto, per l’assoluta assenza di prospettive lavorative e di interventi strutturali, è stato tutto vanificato. È stata un’altra occasione persa». Il commento è di Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio Rebus, che promuove l’integrazione lavorativa di persone svantaggiate e normodotate. Attualmente sostiene le attività che le cooperative consorziate svolgono all’interno del carcere di Padova, dove si occupa di fornire un’adeguata professionalità ai detenuti. Rebus lavora sul territorio grazie a un ufficio che provvede alla direzione tecnica delle attività e a un ufficio sociale che si occupa di selezione, formazione e inserimento lavorativo attraverso la programmazione e gestione di tutte le fasi.
Il lavoro è la risposta che Rebus offre al reinserimento nella società di chi “è finito dentro” per reati di microcriminalità. Una risposta strutturale, non una soluzione una tantum. «La strada da seguire è quella della “filiera della sicurezza”, in base alla quale per chi delinque devono essere garantiti: rapidità e certezza del giudizio, certezza della pena, certezza del recupero» afferma Boscoletto. «Senza il recupero le prime due azioni sono vane, poiché chi esce dal carcere senza prospettive torna a delinquere e i dati sulla recidiva sono a dir poco allarmanti. Vanno perciò favoriti i percorsi di recupero e reinserimento sociale dei detenuti, attraverso l’incentivazione del lavoro che rimane la misura più efficace».
Per operare in questo settore il consorzio ha scelto di riunire solo cooperative sociali. «Le nostre sono cooperative sociali di tipo B. In attesa di conoscere le possibilità dell’impresa sociale, ancora piuttosto nebulose, questa è l’unica forma giuridica che rende possibili le nostre attività basate sul lavoro. Riteniamo che ogni azione svolta nel sociale si configuri con lo strumento giuridico più adeguato rispetto a ciò che si vuol fare. Invece c’è troppa confusione e molti fanno un po’ di tutto e questo nuoce innanzitutto al cosiddetto terzo settore», spiega Boscoletto. «A livello generale il problema è innanzitutto culturale, poiché alcune riforme degli ultimi anni, nazionali e regionali, hanno costituito indubbi passi avanti. Ma nell’esperienza di tutti i giorni verifichiamo che se da un lato c’è grande risalto per le dichiarazioni di principio, dall’altro l’applicazione concreta delle leggi è ancora confusa. La sussidiarietà è una formula affascinante e moderna ma rimane sulla carta».

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